Il cerchio spezzato.

Dopo (quasi) un mese di vacanza, in un terra lontana e selvaggia, dove non è possibile andare a vedere le ultime uscite, sono finalmente tornato al cinema a Roma. Per il mio grande ritorno ho scelto il Savoy, e uno dei candidati all’Oscar come miglior film straniero con un titolo originale fighissimo (The Broken Circle Breakdown), tradotto in italiano con uno spoiler enorme del finale del film, Alabama Monroe, di Felix Van Groeningen. Complimenti al marketing.

Questo aveva tutte le potenzialità di diventare uno dei miei film preferiti di sempre. Se solo si fosse concentrato sulla storia d’amore indie americana-che-in-realtà-siamo-in-Belgio (una mia amica non capiva perché i personaggi avessero nomi francesi, e solo dopo ha scoperto che Gand è in Belgio). E invece no. Ci hanno piazzato una bambina che muore di cancro, e tutta una filippica sulle cellule staminali, sull’America che fa schifo, sull’eutanasia, e io stavo lì a chiedermi come solo avessero potuto pensare di vincere l’Oscar con tutta quella critica agli USA. Cioè, per carità, d’accordissimo. Anch’io sono pro-Vecchio Continente, e probabilmente sarò un insensibile perché non empatizzo per niente con la tematica bambini (mentre la mia suddetta amica ha pianto per tutta la prima ora di proiezione), mentre mi sarei sciolto con la storia di una vita raccontata dai tatuaggi sul corpo di una ragazza (che a inizio film sembrava Toni Collette, per poi lentamente trasformarsi in Claire Danes), innamorata di un tipo barbuto suonatore di banjo, fissato con il bluegrass (una branca del country), con un gruppo di amici ancora più barbuti di lui.am

Molto belle le esibizioni musicali, orribile doppiaggio (credo che parte del mio giudizio non troppo positivo sia dovuto anche a quello), sbandata onirico-disturbante alla fine, con i cavalli rossi e la bambina che corre (questa la capisce solo chi ha visto il film, ed è una cosa che dura mezzo secondo ma che rimane impressa). Il film poi non ha una linearità temporale, ma è un continuo di salti avanti e indietro poco riconoscibili. Il pubblico medio dai 35-40 in su non credo abbia capito molto, e impiegava almeno 10 minuti per localizzarsi temporalmente. Dimostrato da tutti quelli che intorno a me non stavano capendo nulla.

Niente. A fine film avevo solo voglia di comprarmi un banjo e farmi una cinquantina di tatuaggi. E io non sarei proprio della politica pro-tatuaggio su me medesimo.

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