Artiste del ‘900.

foto_3_galleryFino al 5 ottobre alla Galleria d’Arte Moderna di Roma è di scena la mostra Artiste del novecento tra visione e identità ebraica. Attraverso un percorso espositivo di circa 150 opere di artiste ebree italiane la mostra vuole ampliare la conoscenza di una realtà come quella ebraica e dare il giusto risalto a quelle esperienze femminili che sono state in grado di trasformare una condizione di minorità sociale in una ragione di affermazione e di indipendenza creativa, contribuendo al valorizzare, insieme alla loro dimensione privata, anche la vita culturale del nostro paese

Nell’anno in cui la Giornata Europea della Cultura Ebraica (14 settembre 2014) ha come tema ”La donna nell’ebraismo” la Galleria offre al pubblico un percorso espositivo di circa 150 opere di artiste ebree italiane che è una riflessione sull’identità di genere, sullo spazio e sul ruolo della donna.

L’esposizione, a cura di Marina Bakos, Olga Melasecchi e Federica Pirani, è promossa da Roma Capitale, assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dalla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia Onlus e dal Museo Ebraico di Roma.foto_1_gallery

A una attenta selezione di opere di Antonietta Raphael pittrice e scultrice protagonista della Scuola romana di via Cavour, si affiancano i lavori di artiste quali Paola Consolo, Eva Fischer, Paola Levi Montalcini, Gabriella Oreffice, Adriana Pincherle e Silvana Weiller che arricchiscono l’esposizione con differenti idiomi e soprattutto con opere inedite il cui prestito è stato gentilmente concesso da eredi, collezionisti, Fondazioni ed Enti sia privati sia pubblici.

Tra queste, anche un prezioso nucleo appartenente alla collezione della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale che, nella sede storica di Via Crispi, ospita l’esposizione.

foto_2_galleryIl panorama romano, solo parzialmente studiato, viene in questo contesto analizzato anche attraverso l’attività di altre artiste ebree attive nella capitale agli inizi del Novecento. Le sale sono infatti arricchite dalla produzione di Corinna e Olga Modigliani, Annie e Lilly Nathan, Wanda Coen Biagini, Amalia Goldmann Besso e Pierina Levi, alcune delle quali assidue frequentatrici dello studio di Giacomo Balla.

Nell’allestimento le opere delle allieve di Balla e di Amelia Almagìa Ambron, amica carissima del pittore e della sua famiglia, fungono da corollario a due splendidi ritratti del maestro: ‘Ritratto del sindaco Nathan’ e ‘Ritratto di Amelia Ambron’, concesso in prestito ed esposto per la prima volta in pubblico per questa mostra. Questi lavori sono esemplificativi di una produzione di qualità e costituiscono una prima ricognizione che si auspica germinale per ulteriori studi del settore.

La risonanza della voce femminile, nella prima metà del Novecento, è in generale molto limitata, e ciò vale ancor più per le donne ebree.

Penalizzate dall’appartenenza ad una minoranza che di per sé ne condiziona l’emergere sulla scena culturale, esse si vedono accomunate alle sorti delle loro contemporanee non ebree dal pregiudizio, tanto infondato quanto radicato, che l’uomo debba essere il solo depositario della vera professionalità.

Il ruolo che le donne ebree hanno ricoperto nell’arco dei secoli in seno all’ebraismo le porta a una posizione maggiormente defilata nell’ambito sociale quanto, invece, centrale nella realtà familiare. Non per questo esse furono assenti o esitanti nell’assumere con la massima competenza iniziative di primo piano sulla scena culturale e artistica.

foto_4_galleryMediando continuamente tra la vita pubblica e la vita privata, tra l’identità religiosa e quella nazionale, esse realizzarono un operato sostanzialmente legato e concorde a quello che andava consolidandosi sulla scena della cultura europea contemporanea.

Plurilinguismo e pluriculturalismo sono valori che contraddistinguono un’attitudine della conoscenza libera da pregiudizi, propria anche di molte altre protagoniste sulla scena artistica tra le due guerre.

“Attraverso l’operato di queste artiste – spiega Marina Bakos – si è cercato di proporre una ricostruzione breve e forse anche lacunosa, ma con l’unico merito di voler risvegliare dall’oblio percorsi appassionati e audaci, universi dispersi in cui le donne credevano in quello che facevano e soprattutto lo facevano con passione. Non furono combattenti solo di trincea: vivacità, energia e coraggio le posero in prima linea. Relegarle in una pagina marginale o lasciarle perdersi nella polvere del tempo sarebbe ingiusto e storicamente non corretto”.