Revolver.

imageEsattamente quarantotto anni fa usciva Revolver. Il più bell’album dei Beatles secondo i critici e anche secondo me. È il 1966 e i quattro giovanotti decidono di non fare più concerti. In due anni sono stati di tutto. Due anni che sembrano un’eternità. Da fenomeno pop di massa, a baronetti fino a precursori di nuove sonorità. George ormai aveva solo l’India in testa. Fu David Crosby dei Byrds a introdurlo ai sitar e alla filosofia tibetana. L’album è sicuramente il più Harrison di tutti gli altri. Revolver ha rivoluzionato il modo di fare e registrare musica. Tomorrow never knows era una bomba sonora, quasi inascoltabile per l’epoca. Per la prima volta c’erano dei veri e propri arrangiamenti orchestrali da parte di George Martin. Forse un pò sono debitori del Pet Sounds dei Beach Boys (Here, there and everywhere su tutte). George Harrison apre il disco con Taxman, Paul suona la chitarra nel pezzo. Eleanor Rigby invece riprende gli archi della colonna sonora di Fahrenheit 451, Paul voleva così. Il resto è LSD. Il Doctor (lisergico) Robert, la filastrocca di Ringo del sottomarino, la filosofia di I Want to Tell You, She Said She Said (una sera i 4 si ritrovarono nella villa di Beverly Hills appartenuta a Zsa Zsa Gabor in compagnia di Peter Fonda che sotto effetto LSD raccontò un suo gravissimo incidente da bambino con un’arma da fuoco… insisteva nel sussurrare ai Beatles di essere morto…a questa storia si deve il pezzo). La copertina è dell’illustratore e bassista di Amburgo Klaus Voorman, un amico di vecchia data. L’album si doveva intitolare Abracadabra, poi Paul suggerì Revolver. Come la pistola e come il revolving del disco sul piatto.