I segreti di Interstellar.

Ambientato in un futuro prossimo, in cui la crisi delle produzioni agricole ha messo il mondo in ginocchio, “Interstellar” racconta la missione audace di abbattere le barriere del tempo e dello spazio, nel disperato tentativo degli uomini di preservare la propria estinzione.

La razza umana ha sempre plasmato il suo destino, spingendosi oltre i propri limiti – salpando a bordo delle prime navi verso orizzonti ignoti, fino a muovere i primi passi sulla luna – ma la frontiera finale più allettante, rimane pur sempre quella oltre i propri confini. Il regista/sceneggiatore/produttore Christopher Nolan, con “Interstellar”, continua ad imperniare il quesito provocatorio di trovare un posto tra le stelle per l’umanità.

interstellar2“Per me, l’esplorazione dello spazio rappresenta l’estremo assoluto dell’esperienza umana”, dice Nolan. “E’ per certi versi un modo per definire la nostra esistenza nell’ambito dell’ universo. Per un regista, la straordinarietà di pochi individui selezionati che si spingono oltre i confini della specie umana, verso l’ignoto o dove possono eventualmente arrivare, fornisce una risorsa infinita di opportunità. Ero elettrizzato all’idea di fare un film che avrebbe fatto vivere al pubblico quell’esperienza attraverso gli occhi dei primi esploratori che viaggiano verso l’infinito della galassia – anzi attraverso tutta un’ altra galassia. E’ come un viaggio talmente grande, difficile da immaginare e raccontare”.

“Sono sempre stato incuriosito da come potrebbe essere la nostra futura evoluzione. Se la Terra è un nido, come ci comporteremmo quando arriva il momento di lasciarlo?”.

Al di là dei limiti insiti in questa rischiosissima avventura interstellare, Nolan rivela che quello che alla fine muove il film, è la vicenda umana. “Sostengo che la grandezza e la magnificenza dello spazio è uno sfondo interessante per esplorare le relazioni interpersonali, che sono tanto forti e significative per noi, quanto trovarci una collocazione nell’universo”.

Nolan conferma che pur volendo immaginare un viaggio ambizioso verso l’ignoto, il concetto di famiglia rimane il fulcro attorno al quale ruota tutta la trama. “Interstellar” riguarda un po’ tutto – chi siamo, dove stiamo andando – ma per me, prima di tutto approfondisce il concetto di paternità. Sono tutti questi concetti messi assieme che fanno la storia del film, non si tratta unicamente di godersi un viaggio intergalattico solo per amore dello spazio”.

Il co-sceneggiatore Jonathan Nolan ammette che le dimensioni quasi inconcepibili dell’universo li ha portati a dei percorsi narrativi molto affascinanti. “La realtà dell’universo è che, oltre ad essere magnifico da osservare e ad ispirare un grande senso di meraviglia, è freddo, privo di vento e vasto – talmente vasto che non abbiamo idea di quanto sia grande”, dice. “Quindi, lo sforzo è stato quello di renderne l’idea e lavorare al meglio per cercare di dare un senso il più possibile veritiero di come dovrebbe essere un viaggio interstellare, non solo come esperienza empirica, ma anche in termini emotivi, di come un viaggio pieno di pericoli e di isolamento possa suggestionare gli esseri umani”.

Il tentativo di trasformare lo script in un’esperienza cinematografica coinvolgente e vibrante, ha spinto tutte le persone coinvolte in un’avventura cinematografica a tutto campo e contro le regole, che seppur terrestre, a volte ha rispecchiato l’odissea che stavano portando in vita sullo schermo. “La cosa principale per me nel fare questo film, è stata cercare di trasportare il pubblico nello spazio”, afferma Nolan, “per metterli nei panni degli astronauti che vanno ad esplorare questi nuovi mondi e queste nuove galassie. E’ questo quel che più mi entusiasma: far sì che il pubblico possa vivere lo spettacolo di un grande viaggio interstellare”.

Nolan ha iniziato il processo di progettazione della triade delle navicelle del film – la Ranger, la Lander, e l’Endurance- documentandosi sulle spedizioni passate, il presente ed il futuro del settore spaziale, con la visualizzazione di ore ed ore di documentari IMAX sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), di sopralluoghi sul complesso dello SpaceX dell’imprenditore Elon Musk ed il Dragon, e facendo una passeggiata all’ombra della navetta spaziale Endeavour, ora ferma al California Science Center.

La Ranger – il veloce shuttle dell’Endurance- è stata la prima a prendere forma. Per perfezionare il modello generato dalla stampante 3D, lo scenografo Nathan Crowley ha convocato un team di scultori per apportare ulteriori dettagli al suo telaio, al carrello di atterraggio, ai motori, alla chiusa d’aria ed altri elementi senza comprometterne l’ elegante forma ricurva.

interstIn seguito è nata la Lander: un colosso di forma angolare più massiccio che veloce. “Se la Ranger è una macchina da corsa tedesca che può sfrecciare su un pianeta e tornare indietro, la Lander è un pesante aereo cargo russo”, descrive Crowley.

“E’ un ‘cavallo da tiro’ adibito al trasporto di carichi dall’Endurance per depositarli sulla superficie di un pianeta, e lo fa a testa in giù. Così i sedili degli astronauti dovevano ruotare di 360 gradi, e la cabina di pilotaggio è stretta per fare spazio al cargo”.

La Ranger e la Lander sono state entrambe progettate per adattarsi perfettamente al modulo circolare della navicella madre Endurance: una sfida del design su molti fronti per Crowley e Nolan, che hanno sapientemente affrontato utilizzando metodi low-tech. “Abbiamo utilizzato dei blocchi acrilici, che abbiamo combinato in vari modi, fino ad ottenere una forma geometrica circolare formata da 12 moduli”, dice Crowley.

Il modulo circolare della Endurance appare come grande ruota segmentata, con un mozzo centrale, che gira ad una velocità di cinque volte al minuto, per generare 1G di gravità attraverso la forza centripeta. Collegate attraverso un sistema di chiuse d’aria ed un pavimento ricurvo continuo, ciascuna delle 12 capsule della navicella ha uno scopo ben preciso nell’ambito della missione – quattro sono i motori, le altre quattro contengono le zone vivibili, la cabina di pilotaggio, la criogenia ed il laboratorio medico, e le quattro rimaste servono all’atterraggio ed all’istallazione sulla superficie di un pianeta.

Una volta che i disegni della navicelle sono stati visualizzati in 3D ed i loro particolari ad incastro sono stati accuratamente progettati, il passo successivo è stata la realizzazione delle stesse. Crowley ha riunito un team di artigiani altamente qualificati per costruire a mano con acciaio e polistirolo la Ranger lunga 14 metri, e la Lander della lunghezza di 15 metri. Scott Fisher e la sua equipe addetta agli effetti speciali hanno quindi progettato i portelli del carrello di atterraggio e le parti idrauliche e le chiuse d’aria a tenuta stagna degli scafi di entrambe le navicelle. Sono state poi impermeabilizzate con uno strato irto di fibra di vetro: una necessità dettata dall’uso che Nolan aveva in mente per loro. Fisher ha anche voluto allestire dei lettini per la crioconservazione, per porre gli astronauti in uno status di animazione sospesa1 durante il lungo viaggio, così come dei sedili idraulici che ruotato di 360 gradi.

interstellar1Quando le parti delle navicelle sono state trasportate nei teatri di posa presso gli Studios Sony, Fisher li ha montati per il Waldo – un giunto cardanico a sei assi collegato ad un sistema di controllo che permette all’operatore di manipolare il suo movimento con un altissimo grado di stabilità e precisione. “Ogni volta che preparavamo questo giunto sospeso, Chris passava tutto il tempo a simulare il volo”, ricorda Fisher. “Penso che gli sia piaciuto molto farlo”.

Sull’esempio di un reale filmato IMAX di un viaggio interstellare, Nolan e van Hoytema volevano anch’essi cimentarsi nell’arduo compito di montare una telecamera IMAX sulle navicelle stesse, una libertà che sia il sistema Waldo che le reali dimensioni delle navi, hanno concesso loro. Il direttore della fotografia afferma: “Si finisce per creare le piattaforme più strane, per far sì che tramite la telecamera si possa assistere a qualcosa di molto simile alla realtà, piuttosto che dare delle immagini generiche della situazione. Abbiamo in aggiunta mantenuto l’hard mount, montando delle telecamere sui caschi e sui corpi”.

Gli hard mount e Waldo sono stati essenziali per soddisfare la volontà di Nolan di evitare i green screen per “Interstellar”. Piuttosto, Nolan ha voluto dare dinamicità a queste navicelle dalle grandi dimensioni, piazzando sullo sfondo delle incisioni raffiguranti lo spazio e delle piastre di diffusione di luce, con dei veri modelli di razzi, bagliori ed artefatti idonei all’illuminazione dell’ambiente. Racconta Nolan. “E’ stato un lavoro molto impegnativo, ma avendo già costruito le navicelle per altri motivi, la cosa migliore da fare era ottimizzare il loro utilizzo. Quindi, quella che sarebbe stata una ripresa piatta molto statica, si è invece trasformata in una delle cose più importanti che avvalora il linguaggio visivo del film”.

I realizzatori hanno tra l’altro utilizzato la tecnica dell’hard mount per rappresentare la complessa operazione di aggancio, tutte le volte che gli astronauti devono tornare con la Ranger o la Lander all’Endurance, con il Waldo pronto a sincronizzare perfettamente i giunti. “Non è il tipo di film di fantascienza in cui l’attracco è una fase da saltare per focalizzarsi su eventi altrettanto straordinari”, spiega Nolan, “ci sono altri generi di film – a cui ‘Interstellar’ voleva appartenere- che fonda le sue credenziali per mostrare i viaggi nello spazio, e che nasce da uno sforzo in scala molto comprensibile ed umano. L’operazione di aggancio era un’impresa ardua per l’equipaggio, e poteva non andare a buon fine. Così, la prima volta che attraccano la Ranger all’Endurance si sono presi tutto il tempo necessario per girare l’intera sequenza, anche se nello script era solo accennata. Ed in fase di montaggio, sono stati rispettati i tempi impiegati”.

Interstellar-2014-MovieMentre le miniature nel corso degli anni sono state protagoniste dell’animazione degli effetti visivi, Nolan le ha utilizzate per offrire l’immagine migliore e più tangibile delle navicelle nello spazio. In questo caso, tuttavia, le miniature create per “Interstellar” presso gli Studios New Deal di Los Angeles, sono state costruite su larga scala, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “maxatures”. Tra loro c’era una miniatura in scala 1/15 del modulo circolare dell’Endurance che misurava 7 metri, così come un modello pirotecnico di una porzione della navicella costruita in scala 1/5, e varie miniature in scala della Ranger e della Lander – tutte costruite in meticoloso dettaglio per mantenere la loro consistenza durante le riprese sugli sfondi galattici di Paul Franklin.

I realizzatori hanno voluto migliorare ulteriormente questo effetto utilizzando un impianto di controllo del movimento più piccolo, ed impiegando una ratio di esposizione con telecamere VistaVision in large format, che ha permesso all’obiettivo di catturare tutti gli artefatti spontanei, appena le navi si muovevano contro la fonte di luce. “Queste sono cose che si potrebbero lavorare in CG dove necessario, ma la cosa meravigliosa delle riprese sulle miniature è che mostrano cose non prevedibili né pianificabili”, dice Nolan. “Mi riferisco alla casualità, una qualità che dà all’immagine una certa vitalità”.
La stessa Endurance – nello specifico un segmento della sua struttura circolare, lungo 60 metri – è stata costruita all’interno del cavernoso stage 30 degli Studios Sony. Questo immenso arco è stato appoggiato da una gru su un giunto cardanico di 150 metri montato su tre punti di snodo, con una meccanica colossale, in grado di inclinare la struttura di 180 gradi per le sequenze del volo spaziale.

La rigorosa praticità dell’estetica degli esterni delle navi, è stata mantenuta anche nella progettazione dei loro interni. “Abbiamo voluto integrare il maggior numero di componenti aerospaziali esistenti, sempre rimanendo realisti”, rivela Nolan. “Quando hai a che fare con delle navicelle spaziali e la galassia, il pericolo è che si perda l’elemento umano, e Nathan ed i suoi ragazzi si sono moderati, pensando alla praticità e la funzionalità degli ambienti”.

L’influenza della NASA è particolarmente evidente nei sistemi di stoccaggio, con particolare attenzione alle dimensioni compatte, l’intercambiabilità e l’efficienza. “L’Endurance riflette veramente ciò che abbiamo imparato alla ISS, e la Endeavor nello spazio, non ha una cima e un fondo, un soffitto ed un pavimento, tutto è ben posizionato ed intercambiabile, e viene utilizzata ogni superficie”, descrive Crowley. “Chris voleva che gli attori utilizzassero ogni cosa, così all’interno della nave i monitor e gli interruttori sono stati tutti progettati per servire ad uno scopo”.

FL-27476rGli effetti visivi e l’avanzamento tecnologico delle proiezioni hanno valorizzato i film. Ma l’evoluzione di queste tecnologie ha suggerito dei modi nuovi ed audaci di utilizzazione, in sostanza, si è arrivati ad integrare il filmato interstellare sbalorditivo creato da Paul Franklin e la Double Negative, alle riprese. Nolan afferma: “Se si utilizzano le tecniche del passato, per creare nuovi espedienti, siamo come ‘nani sulle spalle dei giganti’, quindi in grado di realizzare qualcosa di nuovo ed insolito”.

Con uno schermo gigante fuori dalle finestre del set, Franklin ha inventato un sistema di precisione allineando due proiettori per creare una singola immagine con una grado sufficiente di luminosità e chiarezza, da riflettere all’interno del frame IMAX. Il sistema si è evoluto in ultima analisi, incorporando più proiettori, con carrelli elevatori che posizionavano dei dispositivi che pesavano più di 500 chili, in una matrice che proiettava un fascio luminoso sufficiente a far penetrare la luce dalle finestre della navicella ed illuminare i volti degli attori. “Da un punto di vista oggettivo, creare questa situazione è stato cruciale per gli astronauti, che in un ambiente così circoscritto rischiavano la claustrofobia”, aggiunge il regista. “Abbiamo potuto muoverci sul set con una telecamera a mano per delle riprese a lunga durata, ed effettuare delle inquadrature da più angolazioni. E’ stato straordinario”.

Franklin ed il suo team addetto agli effetti visivi hanno utilizzato un programma che ha permesso loro di combinare e manipolare le immagini istantaneamente sui computer dei proiettori, in modo che Nolan potesse orchestrare i cambiamenti nel panorama spaziale in tempo reale sul set. Franklin descrive l’effetto della prima apparizione del buco nero come “affascinante, e un po’ inquietante. Aveva un aspetto quasi tridimensionale, come se uscisse dallo schermo”.

Le proiezioni hanno dato agli attori un aspetto reale del buco nero, ed hanno simulato la luce del nostro sole, e hanno contribuito ad avvalorare i design di van Hoytema dello spettacolo infuocato della luce solare libera nelle riprese dello spazio. Il direttore della fotografia ricorda: “Le proiezioni frontali del sole ci indicavano la sua posizione durante il tragitto per raggiungere il punto Zero-G. La maggior parte del tempo abbiamo cercato di replicare il sole o la luce emessa dal buco nero in modo veritiero e corretto. Non ho mai girato un film con tanta luce così difficile come questo, ed è stato divertente giocare con i modelli ed i contrasti di quella luce singolare”.

Queste tecniche innovative hanno molto impegnato il cast e la troupe, ma ha permesso loro di calarsi pienamente nella realtà del viaggio. “La sensazione a bordo di quelle navicelle, era quella di sentirsi sigillati in un vero e proprio veicolo in movimento”, descrive Nolan. “Era come se la sequenza si stesse svolgendo per davvero, con il panorama fuori dalle finestre che cambiava proprio come se i protagonisti lo stessero attraversando in volo”.

Lontani dalla Terra, i personaggi di “Interstellar” hanno anche provato l’esperienza dell’assenza di gravità in volo. Nolan aveva già affrontato l’illusione dello Zero G in “Inception”, e ha lavorato con il coordinatore degli stunt George Cottle, per ampliare le tecniche già utilizzate. Per “Interstellar”, Cottle ha sviluppato una combinazione di arrangiamenti che fornivano al regista ed al cast, la massima flessibilità ed il miglior comfort possibile per le molte scene di mancanza di gravità presenti nel film.

Per una migliore comprensione del movimento in assenza di gravità, Cottle ha visionato molteplici filmati di astronauti, al fine di progettare gli impianti che emulassero la tecnica del galleggiamento, e le varie azioni e reazioni. Da lì, insieme al suo team ha intrapreso un periodo durato mesi di indagini e ricerche, con l’obiettivo di realizzare e massimizzare i risultati possibili sul set. “Abbiamo testato varie attrezzature con gli stuntmen su diverse piattaforme, a partire da quelle verticali che abbassano gli attori quando tutto il set è sottosopra, fino ad attrezzature più piccole che potevamo manipolare con i fili. Ma Chris ricercava dei primi piani ravvicinati, in spazi ristretti”, afferma.

Perciò Cottle ed il supervisore agli effetti speciali Scott Fisher hanno utilizzato un impianto complesso chiamato parallelogramma- un’imbracatura con cosciali o un asse da mettere sotto la pancia, attaccata ad una gru controllata manualmente. L’operatore che più sovente era ai comandi del parallelogramma è stato Nolan stesso. “Penso che la teoria di Chris è che per ottenere il risultato che vuole, se può farlo da solo, allora è meglio che lo faccia”, sorride Thomas. “Quindi, ebbene sì: gli attori erano su un’attrezzatura folle che li faceva galleggiare nello spazio, e Chris era colui che li faceva muovere”.

Lo sforzo logistico monumentale di riempire questi set giganteschi con i particolari, la funzionalità e la coesione fisica, hanno ripagato il regista con i progetti ambiziosi che aveva in mente Nolan, perlomeno due in particolare. “Quello che cercavamo erano location che ti facessero sentire su un altro pianeta”, dice. “E se l’intenzione era quella di girare mezzo mondo per fare delle riprese di un paesaggio, allora bisognava organizzarsi per bene.”

Nolan una decina d’anni fa aveva visitato l’Islanda per girare le sequenze di “Batman Begins”, ed aveva la sensazione, prima ancora di fare i sopralluoghi per questo film, che avrebbe trovato terreno fertile per i personaggi di “Interstellar”.

“Volevamo che gli ambienti ultraterreni fossero reali e tangibili come questo”, dice. “Così, per far sì che il pubblico accompagnasse gli astronauti che muovono i primi passi su altri pianeti, sapevamo che avremmo dovuto fare delle riprese stando sul posto, ed i paesaggi dell’Islanda sono davvero dei posti estremi”.

Nolan e Crowley sono saliti su un aereo con destinazione l’Islanda, per vedere se il ghiacciaio che si ricordavano avrebbe funzionato cinematograficamente per rappresentare il pianeta di ghiaccio che esplorano i personaggi. Così hanno scoperto che il ghiacciaio Vatnajökull era stato colpito dalle recenti eruzioni vulcaniche, lasciando un effetto surreale di grigio marmorizzato sul ghiaccio. “In realtà ci ha aiutato a descrivere l’atmosfera del film: avevamo immaginato infatti un ambiente grezzo, cupo, ostile”, descrive Crowley. “Non doveva essere magico; doveva essere triste. I personaggi stanno prendendo in considerazione l’idea di lasciare la Terra per una nuovo posto in cui vivere, ma la sensazione che dà il ghiacciaio è piuttosto dura. Il che ha alimentato nuovamente l’idea di continuare il viaggio epico verso l’inferno e proseguire quest’ardua missione”.

Fu chiaro che il particolare territorio Islandese ha fornito la location ideale per due delle destinazioni planetarie della storia, e nei dintorni si scorgevano le acque basse ma apparentemente infinite della laguna Brunasandur, che avrebbe rappresentato la zona d’atterraggio sul pianeta d’acqua del film. Sebbene l’ambiente fosse perfetto, senza litorale visibile nelle varie direzioni, la produzione ha dovuto costruire una strada di 15km per allestire un campo base abbastanza ampio per le roulotte del cast, e le attrezzature della troupe sulla laguna.

Mentre l’unità principale stava girando in Canada, contemporaneamente venivano allestite le location in Islanda, richiedendo uno sforzo enorme per coordinare le due postazioni remote non solo per il cast e la troupe, ma anche per due delle navicelle spaziali. “Sia la Ranger che la Lander sono state costruite in toto, perciò poterle riprendere nell’ acqua o sulla cima del ghiacciaio è stato un enorme vantaggio per il film”, afferma Nolan.

Fresche di catena di montaggio, le navicelle – del peso di circa 4,5 tonnellate ognuna, sono state smontate, imballate in container e spedite nella stiva di un jet 747 cargo verso l’aeroporto di Reykjavik, poi caricate su camion, portate a destinazione, e poi rimontate in tende giganti.

Nel bel mezzo delle riprese sul ghiacciaio, la produzione si è dovuta blindare in hotel durante una potente tempesta che soffiava talmente forte da sradicare l’asfalto dalle strade. Ansiosi di controllare i set, Nolan e Crowley volevano sfidare le intemperie raggiungendo in auto il ghiacciaio. “Ma quando siamo arrivati ​​dalla macchina, ci siamo resi conto di non riuscire a camminare, perché il vento era fortissimo”, ricorda Crowley.

Malgrado ciò, il regista – noto per essere sempre presente alla programmazione – era restio a perdere la giornata lavorativa. Thomas ricorda: “Chris si vanta di aver effettuato le riprese con qualsiasi condizione atmosferica, ma questa è stata la prima volta che abbiamo dovuto fermarci perché il vento era davvero pericoloso. Ma Chris, essendo Chris, non voleva che noi stessimo seduti con le mani in mano in albergo, così tutti ci ha fatto andare nel parcheggio dove abbiamo girato alcuni spezzoni”.

Negli annali del cinema di fantascienza, i propulsori dei razzi emettono un suono assordante, e l’udibilità delle navicelle si perde nello spazio, ma con “Interstellar” Nolan è alle prese con l’assenza di suono. “Il suono non viaggia nello spazio, ed utilizzare gli effetti sonori per l’ambiente circostante ne avrebbe tradito la veridicità”, osserva.

Il lavoro di Nolan svolto con il sound designer nonché supervisione al montaggio sonoro Richard King per fare da cornice sonora alle scene, ben presto si è tradotto in un silenzio assoluto, per rafforzare la dimensione umana del viaggio. “Visivamente, siamo stati in grado di sottolineare l’effetto claustrofobico delle navicelle, mettendo in contrasto un ambiente confinato contro la vastità dello spazio fuori dalle finestre, quindi anche con il suono si doveva dare la stessa sensazione”, rivela Nolan. “Ogni volta che cala questo silenzio assoluto, sembra che nella stanza manchi l’aria. E’ un richiamo continuo all’idea che al di fuori di queste mura di metallo, ci sia un ambiente alieno ostile, e se qualcosa va storto, la morte istantanea è certa. Così, per descrivere un’emozione profonda, il silenzio totale in un film si è rivelata essere la scelta più stimolante”.

Questo contrasto è inoltre ben evidenziato anche con la musica, quella composta da Hans Zimmer, che con questo lungometraggio firma la sua quinta collaborazione con Nolan. “Ci sono momenti in cui Hans sceglie un approccio delicato ed intimo con la musica, quando invece ci si aspetterebbe un ritmo pomposo ed altisonante, e viceversa”, afferma Nolan, “che è un modo molto naturale per attirare l’attenzione del pubblico sulle scene che hanno di fronte, e talvolta rappresenta un semplice contrasto tra la dimensione umana e la scala interstellare”.

Tra le interpretazioni vocali della alternante grandiosa ed intima colonna sonora del film, c’ è un breve pezzo intitolato “Day One”, ispirata ad un’ insolita proposta di Nolan fatta al famoso compositore. “Hans è una parte molto importante del mio team creativo, e nel caso di questo film, gli ho chiesto di scrivere le musiche prima ancora di cominciare a ri-scrivere la sceneggiatura”, spiega Nolan. “L’ho tenuto all’oscuro di tutto, anche sul genere di questo film”.

Il regista ha dato seguito alla sua proposta con una busta contenente il dattiloscritto di una breve scena. Zimmer ricorda: “Era la storia meravigliosa di un padre e del suo rapporto con il figlio; e mi ha molto colpito, perché mio figlio non vuole diventare un musicista – e sogna di fare lo scienziato – era evidente che Chris aveva toccato tutti i tasti giusti con me”.
Il compositore si è seduto al pianoforte e ha cercato di ricordare le emozioni che vissuto da padre. Poco dopo, Nolan è venuto a sentire quel che aveva composto. Zimmer ricorda: “Gli ho chiesto cosa ne pensasse, e lui ha detto: ‘Beh, suppongo che ora farò sicuramente meglio il film’. E ‘stato solo allora che ha iniziato a descrivere questo film epico, e ho scoperto che non si trattava di un figlio, ma di una figlia. Ma per lui questo piccolo angolo d’intimità della mia esperienza con mio figlio, è racchiuso al centro della storia. E nel plasmare la colonna sonora, abbiamo scoperto che man mano che nella narrazione ci si allontana dalla Terra, si tornava ad evocare l’emozione di quel momento”.

Dopo aver trascorso quasi un decennio a lavorare sulla profondità delle tematiche dei film di Nolan, il compositore ha voluto evitare di ripetersi nelle eventuali espressioni musicali, inventando una melodia del tutto nuova per “Interstellar”. “Chris ed io ci siamo avvicinati all’intero processo musicale in modo avventuroso”, dice. “Abbiamo aperto le nostre menti per vedere cosa veniva fuori. Non sarei stato fedele alla storia se non avessi allargato le mie vedute”.

Zimmer ha individuato la spina dorsale della colonna sonora nelle note robuste ma esaltanti dell’organo, uno strumento che egli considera un trionfo dell’ invenzione umana. “L’organo racchiude un elemento umano, perché ha bisogno del soffio per emettere il suono”, dice. “Su ogni nota, si sente il respiro, ed all’apice del suono si avverte l’impeto dell’aria nell’ambiente che segue il plesso solare fino a far vibrare le finestre. Così, pur trattandosi di uno strumento complesso tecnologico, crea suoni di una qualità molto primordiale”.

Per arricchirne i suoni che emette, Zimmer ha aggiunto un coro di strumenti -fiati, archi, pianoforte ed ottoni – che, come l’organo, appartengono ad un’epoca in cui gli strumenti venivano suonati in modo analogico e meccanico, piuttosto che generati digitalmente. L’idea era quella di coinvolgere dei musicisti di talento che con i loro strumenti emulassero i suoni terreni – un riferimento costante che Cooper sta cercando di salvare dentro di sé, ma che rischia di perdere.
Il foro dell’esecuzione di questi suoni, che racchiudono la massima espressione dell’ascesa dell’uomo dal terreno al celestiale è il Temple Church, una chiesa attiva del XII° secolo nel cuore di Londra. “Il punto centrale della sua architettura è quello di trasportarci in altri mondi, e quindi abbiamo voluto sfruttare la qualità dei suoi spazi per farci trascinare in questo viaggio”. Detto ciò, Zimmer ha assemblato un’orchestra di artisti di fama mondiale, e li ha invitati a personalizzare la musica attraverso i loro strumenti, spesso secolari.

Dopo l’incredibile cifra di 45 sessioni sottoposte a Nolan, la musica è passata al mixaggio, in cui il regista ha lavorato assieme a Zimmer, King ed il supervisore al montaggio musicale Alex Gibson per armonizzare i suoni con le immagini. Nolan osserva: “Hans è partito dalle emozioni alla base della storia, ed è andato ampliandole, ottenendo dei risultati tra i più eleganti del suo lavoro. E’ davvero una colonna sonora straordinaria, e totalmente diversa da tutto ciò che abbiamo fatto insieme precedentemente”.

Anche per il compositore scrivere la musica in maniera inversa, e lasciare che il film stesso fosse il direttore d’orchestra, è stata una rivelazione. “La musica va al di là dei campi di grano”, dice. “Va oltre la situazione che vivono i personaggi, gira sempre intorno al concetto dell’amore. Al centro della storia di Cooper c’è l’idea che prima riesce a salvare il mondo, e prima riesce a riabbracciare i suoi figli: al contempo il suo cuore, la sua connessione spirituale, si fortifica”.

Dopo questo lungo percorso necessario per trasformare in potenziale cinematografico le teorie scientifiche di Kip Thorne, la produttrice Lynda Obst confessa di esser scoppiata in lacrime quando Nolan ha proiettato il film per la prima volta. “Chris è riuscito a tessere le teorie scientifiche nella narrazione, e tutto ciò appare evidente attraverso le emozioni dei personaggi”, dice meravigliandosi. “E si assiste a tutto ciò stando comodamente seduti sulla propria poltrona, pronti per questo giro mozzafiato nello lo spazio”.

“Tutto ciò che fa Chris – spronando anche tutte le persone coinvolte a fare altrettanto- è far vivere al pubblico un’esperienza completamente nuova in ogni film: niente di più vero con ‘Interstellar’”, aggiunge Emma Thomas. “La considera una storia molto personale, ma che in molti modi si aggancia a temi universali: dall’amore per la famiglia all’emozione dell’esplorazione, fino ad interrogarsi sul vero significato dell’essere umano”.

“Non c’è nessun altro che lavora allo stesso modo di Christopher”, dice Matthew McConaughey. “Ha un approccio originale in tutto, e segue sempre i suoi istinti. Credo anche che sia sempre proiettato a superare i risultati attesi. E guardando questo film, si noterà, perché penso che sia di gran lunga il film più ambizioso che abbia mai diretto”.

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