L’ultimo lupo di Jean-Jacques Annaud.

Dal regista de ‘Il nome della rosa’, ‘Sette anni in Tibet’ e ‘L’orso’, arriva una nuova “storia sentimentale” tra l’uomo e un animale: ‘L’ultimo Lupo’. Un film da 40 milioni di dollari, 200 cavalli, un migliaio di pecore, 25 lupi e una cinquantina di addestratori, girato in tutto e per tutto in Mongolia, dove alcune sequenze hanno una grandezza dantesca in termini di comparse, animali, azioni e scenografia.

La storia è tratta dal bestseller ‘Il totem del lupo’ di Jiang Rong. “E’ stato un fenomeno letterario sconvolgente in Cina che è scampato alla censura – sottolinea il regista durante la presentazione stampa del film a Roma, dopo l’anteprima al Bif&st di Bari -. Il libro si svolgeva nella lontanissima Mongolia Interna, nel 1967, all’inizio della rivoluzione culturale”.

“L’impatto sulla società è stato colossale. ‘Il totem del lupo’ è diventato il successo letterario più importate dopo il ‘Libretto rosso’ di Mao. I lettori hanno scoperto l’esistenza dei questi luoghi magnifici e puri della Mongolia, che oggi è fortemente minacciata”, dice il regista, che aggiunge “il protagonista della storia mi ha ricordato il giovane uomo che ero stato io, quando proprio nello stesso anno partii alla scoperta del Camerun e mi approcciavo a girare il mio primo film, ‘Bianco e nero a colori’. I temi sviluppati, quindi, mi erano familiari”.

Chen Zhen and his Wolf CubNel film Chen Zhen è un giovane studente di Pechino che viene inviato nelle zone interne della Mongolia all’interno di una tribù nomade di pastori. A contatto con una realtà diversa dalla sua, Chen scopre di essere lui quello che ha molto da imparare sulla comunità, sulla libertà ma specialmente sul lupo, la creatura più riverita della steppa. Sedotto dal legame che i pastori hanno con il lupo e affascinato dall’astuzia e dalla forza dell’animale, Chen un giorno trova un cucciolo e decide di addomesticarlo. Il forte rapporto che si crea tra i due sarà minacciato dalla decisione di un ufficiale del governo di eliminare, a qualunque costo, tutti i lupi della regione.

L’ultimo Lupo è un film che ha la forza necessaria per scardinare gli ostacoli “culturali” che impediscono la corretta conoscenza di un animale che è un “simbolo” della natura selvaggia, ancora così importante per gli equilibri naturali. Ed è proprio per questa sua forza che il WWF affianca la promozione in Italia del film del regista Jean-Jacques Annaud nelle sale cinematografiche dal 26 marzo con Notorious Pictures.

Annaud racconta di essere stato “accolto a braccia aperte dalle autorità cinesi: ci hanno lasciato liberi di girare il film senza vincoli”. E lo straordinario successo de ‘L’ultimo lupo’ in Cina (più di 100 milioni di dollari d’incasso in 4 settimane) vuol dire solo una cosa: a Pechino effettivamente qualcosa è cambiato. Solo qualche anno fa, infatti, il regista non avrebbe trovato neanche ospitalità nei multisala della Repubblica Popolare.

La vicenda di Annaud è una di quelle che attestano un cambiamento in atto nell’approccio politico-culturale di Pechino. Il regista era stato messo al bando dal Paese dopo ‘Sette anni in Tibet’ e da allora non vi aveva più fatto ritorno: “Avrei voluto andare in Cina e girare un adattamento del libro ‘Il totem del lupo’ ma non c’erano le condizioni. Poi un giorno sono venuti a trovarmi a Parigi degli uomini da Pechino con la proposta di realizzare il film da loro! Mi hanno detto: sappiamo che lei ama le minoranze, ama la Mongolia e ama i lupi. Speriamo che dopo questo film imparerà ad amare anche noi. E così è stato”.

DSC00085Eppure nel film si parla di Mao in termini non sempre positivi, di dominazione culturale cinese contro l’antica cultura mongola, dei suoi templi e dei suoi lupi sterminati per liberare i campi e sfruttarli per la coltivazione intensiva: “Il risultato è che la sparizione dei lupi ha causato la proliferazione di roditori come i ratti, che hanno contribuito alla desertificazione del territorio con conseguenze drammatiche sull’ecosistema”, dice il regista Jean-Jacques Annaud.

“Noi uomini viviamo tante sensazioni ed emozioni in comune con il mondo animale. E così quando affronto questo tema nei miei film cerco in modo particolare di trasmettere proprio il rapporto tra uomo e natura e quanto questo è importante. Così di conseguenza il rispetto assoluto che ognuno di noi deve avere per la natura e per il mondo animale perché quello che io ho capito è che noi uomini altro non siamo che animali. Tra noi e loro non c’è alcuna differenza, tranne che noi ci vestiamo”.

ultimo lupo“Cloudy (il lupo ‘protagonista’ inconsapevole del film), dall’inizio ha preso a girarmi intorno, ad annusarmi, gli sono piaciuto e tutte le mattine c’erano dieci minuti di passione, mi prendeva il naso, l’orecchio, mi leccava la faccia”, ricorda il cineast francesea. “Nonostante l’amore – dice Annaud – ci sono state scene davvero difficili da girare come quelle in cui far correre insieme lupi e cavalli, “ai lupi piace la carne dei cavalli e ai cavalli non piace diventare pasto per lupi”.

“Queste scene sono state davvero complicate da girare e molto pericolose perché giravamo in movimento, di notte, su dei quod instabili e in piena tempesta di neve; ma Andrew Simpson, l’addestratore capo, non avrebbe mai lasciato che i suoi animali corressero i rischi che abbiamo corso noi!”, dice ancora Annaud.

Wolf Hill (1)Ci sono voluti tre anni per girare la prima scena. “Abbiamo utilizzato lo stesso processo fatto per ‘L’Orso’. Durante l’addestramento dei cuccioli di orso, avevo avuto il tempo di girare ‘Il nome della rosa’ – sottolinea il cineasta francese – Aspettando che i nostri lupi crescessero ho girato invece ‘Il principe del deserto’. Bisognava prendere dei cuccioli di lupo, farli crescere all’interno di parchi costruiti appositamente per il loro sviluppo, sotto una sorveglianza costante. Conosco pochi produttori che sarebbero stati disposti a fare questo salto nel buio”.

La terra, i paesaggi ancora una volta sono quasi primordiali. “La verginità degli spazi è uno degli elementi fondamentali del film. Lo splendore della steppa è lo scrigno del lupo della Mongolia, il simbolo eroico e selvaggio della vita selvaggia – dice ancora Annaud – Massacrando la vita degli altri ci stiamo avvicinando a un epilogo tragico”.

“E’ in atto un pericoloso ritorno al passato, che rischia di cancellare gli straordinari sforzi finora fatti per la conservazione di questa specie e la messa a frutto delle migliori esperienze di convivenza uomo-predatori già avviate in molte parti del nostro paese”, conferma Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia.

“La storia da cui è tratto il film chiarisce molto bene come siano saltati gli equilibri su cui si basa la convivenza tra lupi e uomini e quanto questo provochi l’accanimento di questi ultimi verso i predatori. L’ultimo lupo di Jean-Jacques Annaud rappresenta questa drammatica realtà con immagini potenti e suggestive, capaci di descrivere il legame profondo che Annaud ha saputo mostrare tra la natura e le popolazioni indigene, abituate a sopravvivere in ambienti estremi, e l’importanza della loro sapienza rispetto a tali relazioni. In questo film la favola del lupo ‘cattivo’ cui siamo abituati, si ribalta: il lupo è sì una specie crudele ma trova nel suo cammino uomini capaci di azioni orribili e “incomprensibili”: l’uomo diventa corruttibile, crudele e a volte anche stupido”.

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