Sopravvissuto – The Martian dalla A alla Z.

martian-gallery3-gallery-imageMarte è inospitale. Il suo clima estremo, che offre un’escursione termica che va dai -153?C ai 22°C d’estate, rende piuttosto difficile la scelta del guardaroba. (E’ consigliabile vestirsi a strati). Per non parlare della respirazione, che è praticamente impossibile: il 95 per cento dell’aria è composto da anidride carbonica. Il terreno non possiede batteri e quindi non è coltivabile. L’acqua esiste ma solo sotto forma di ghiaccio.

Persino il suo colore rossastro sembra un avvertimento: qui non c’è nulla per nessuno, a parte asfissia e ipotermia.
Tuttavia gli esseri umani adorano inoltrarsi dove non sono desiderati. E così eccoci su Marte.

Per facilitare l’esplorazione umana del pianeta è necessario creare un habitat artificiale (Hab). In SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN, la NASA ha inviato per 4 anni, delle sonde senza equipaggio che hanno trasportato costruzioni prefabbricate sul pianeta, per assemblare un Hab, oltre a provviste e strumenti vari. L’equipaggio di Ares III avrà a disposizione diversi comfort che includono computer, l’occorrente per la cena del Giorno del Ringraziamento e un Rover, un fantastico SUV. Avranno inoltre a disposizione un MAV (Mars Ascent Vehicle), cioè un veicolo che li riporterà su Hermes dopo la missione del 31° sol.

La storia inizia nel 18° sol, quando l’equipaggio ha già assemblato il suo Hab: una struttura di tela pressurizzata, di 90 metri quadrati. Una gran quantità di radiazioni solari e di neutroni penetrano la sottile atmosfera di Marte, infatti Hab deve essere schermato all’esterno con vari strati di lamine di fibra sintetica e di poliestere e deve essere tappezzato di polistirene.

martianAll’interno dell’Hab troviamo alcuni alloggi, un’area di lavoro in comune, una camera d’equilibrio pressurizzata per entrare e uscire, e un magazzino per l’equipaggiamento, nonché strumenti vitali quali l’ossigenatore, il regolatore atmosferico e un serbatoio che bonifica l’acqua. Dispone di razioni sufficienti affinché sei astronauti sopravvivano per 68 sol. Ma ora che Watney è rimasto solo, il tempo di rimanenza è aumentato a 400 sol. Quindi Watney da solo dispone di più tempo, ma non abbastanza per farcela fino all’arrivo di una missione di soccorso.

Watney, un botanico, intende dotare il suolo marziano dei batteri necessari per far crescere le patate. Questi modesti tuberi, che un tempo hanno salvato un’intera civiltà dalla fame, ancora una volta avranno il compito di sostentare la vita umana, stavolta su un altro pianeta. Un problema risolto.

A dimostrazione che ciò che per qualcuno è uno scarto, per qualcun altro può essere un tesoro, Watney usa il Rover per rintracciare la sonda Pathfinder, ormai in disuso dal 1997. Utilizza la sua videocamera per comunicare con la NASA e JPL. Due problemi risolti. Riesce anche a capire come creare più ossigeno.

Le cose migliorano. Watney ha pressurizzato il suo rifugio e dispone di ossigeno. Ha cibo a sufficienza e ha trovato il modo di coltivarne altro. Ha l’acqua e sa come ricavarne altra. Può comunicare con la NASA, con cui scambia battute e parolacce quando non concorda con i suoi capi.

Se non ci saranno altri problemi, le probabilità della sua sopravvivenza sono aumentate sensibilmente da quando ha estratto il pezzo di antenna dal suo addome.

Tuttavia la Legge di Murphy è universale. E qualcosa va sempre male per forza.

Un incidente terribile distrugge il duro lavoro di Watney e gran parte del suo ottimismo.
Il tempo stringe e saltano tutte le previsioni di soccorso della NASA. La sensazione di emergenza lascia il posto al timore di un disastro incombente. Bisogna lavorare 24 ore su 24.

THE MARTIANUn uomo è in pericolo. Il mondo è impietrito di fronte al suo dramma. E un esiguo gruppo di scienziati e di astronauti devono prendere decisioni difficili per poterlo salvare.

Da Houston a Pechino, da Melbourne a Mosca, tutti pensano solo alle vicissitudini di Mark Watney che ormai è diventato molto più di un astronauta: è un simbolo. La sua crisi sta mettendo alla prova alcuni dei migliori pensatori del nostro pianeta, che non stanno solo cercando di soccorrere un essere umano, bensì di salvare le aspirazioni dell’umanità. E’ Marte contro i terrestri e il mondo fa il tifo per la squadra di casa.

La fotografia principale di SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN è iniziata l’8 novembre 2014 a Budapest. La splendida capitale centro-europea di recente ospita grandi produzioni hollywoodiane, attratte dalla sua bellezza e dalla competenza delle sue troupe. Ma, in particolare, i filmmaker hanno scelto questa città per i teatri di posa dei Korda Studios.

Il Teatro 6 dei Korda Studios, reputato il più grande al mondo, era il luogo ideale dove costruire un paesaggio marziano che potesse ospitare l’Hab e la piattaforma di lancio del MAV. Il set è stato utilizzato soprattutto per le scene di dialogo, gli interni dell’Hab, e per mettere in scena la gigantesca tempesta di sabbia. I panorami e le vaste prospettive sono stati invece girati in Giordania.

Dice il produttore Mark Huffam: “Abbiamo effettuato un sopralluogo nelle aree semi-desertiche dell’Outback australiano, perché cercavamo il posto dove effettuare le riprese della superfice marziana. Però non andavano bene, e abbiamo deciso di girare la maggior parte delle sequenze di Marte all’interno: in questo modo abbiamo avuto un controllo maggiore dell’ambiente. In seguito abbiamo abbinato queste riprese agli esterni di Wadi Rum, in Giordania”.

Nel corso della produzione, i Korda Studios fervevano di attività, con tutti e sei i teatri di posa utilizzati per costruire e rivitalizzare una decina di grandi set, fra cui quello del veicolo spaziale Hermes e dell’Hab su Marte. Il dipartimento artistico ha lavorato freneticamente, per tenere testa a Scott, regista noto per la sua rapidità e per essere sempre in anticipo rispetto al programma di lavoro.

THE MARTIANA parte i Korda Studios, Budapest offriva il vantaggio di possedere un edificio affascinante che viene chiamato The Whale (La Balena, per via del suo profilo e della sua vicinanza al fiume Danubio). The Whale ha ospitato le sequenze in cui compare lo staff della NASA, fra cui gli uffici di Teddy Sanders e di Annie Montrose, le sale conferenza, l’area break e un bar, l’entrata principale e la sala di controllo. Lo scenografo Arthur Max lo descrive come “un edificio sofisticato, architettonicamente all’avanguardia. E’ un’enorme struttura sferica, di vetro e cemento, con meravigliose persiane che si aprono e si chiudono elettricamente e che ci hanno fornito il controllo totale dell’illuminazione. Questo edificio è stato una benedizione. Sarebbe costato una fortuna dover costruire un set di questo genere, in un teatro di posa”.

Per poter creare e modificare facilmente la struttura degli uffici, alcuni muri di cemento sono stati provvisti di ruote. Gli esterni in vetro, curvi e scintillanti di The Whale hanno fornito anche l’immagine della futuristica sede della NASA.

Il pezzo forte è la Sala di Controllo Missione, il centro di comunicazione della NASA. Un grande schermo centrale, circondato da una decina di altri schermi, visualizza dati e immagini che lo staff della NASA monitora costantemente. Sono le immagini trasmesse dai satelliti orbitanti da ricognizione, da sonde spaziali e dalla Stazione Spaziale Internazionale. E’ nella Sala di Controllo che Mindy Park si rende conto che Watney è ancora vivo, ed è sempre lì che i leader della NASA – qualche mese dopo – comanderanno il lancio di un razzo allo scopo di portarlo in salvo.

Al posto dello schermo verde su cu proiettare le immagini desiderate, il regista Scott, sugli schermi della Sala di Controllo, ha voluto immagini grafiche che hanno usato come fonti di luce e che hanno generato negli attori reazioni più autentiche, dato che erano presenti sul posto in tempo reale durante la loro recitazione. La compagnia inglese Territory (Spy, Mission: Impossible – Rogue Nation) ha lavorato con l’artista Felicity Hickson utilizzando una grande quantità di immagini satellitari ad alta risoluzione, e materiale video della NASA.

La NASA ha fornito un’importante consulenza al progetto cinematografico, dal copione alle riprese. Il produttore Mark Huffam ricorda di aver interpellato la NASA durante il primo meeting di produzione con Ridley Scott e di essere stato “molto contento di sapere che la NASA conosceva il libro e che era entusiasta all’idea di una collaborazione aperta e di uno scambio di idee”.

THE MARTIANLa produzione ha avuto modo di filmare il lancio dei missili a Cape Canaveral, fra cui il decollo, a dicembre 2014, di Orion, un’astronave di ultima generazione, ideata per trasportare gli umani nello spazio in vista di una loro futura possibile esplorazione di Marte. Orion è stata mandata in orbita con un omaggio a Ridley Scott: il primo sketch di Mark Watney, fatto dal regista e apparso sulla copertina del copione, con la coraggiosa dichiarazione dell’astronauta “Questo pianeta non avrà più segreti per me!”

La partnership con la NASA ha avuto inizio con Bert Ulrich, che cura i rapporti fra l’organizzazione e il mondo del cinema e della televisione, e quindi si è ampliata fino a includere Dr. James Green, il direttore NASA delle Scienze Planetarie, e Dave Lavery, responsabile dell’esplorazione di Marte; entrambi hanno fornito una preziosa consulenza tecnica al copione e alla produzione.

Ulrich afferma che il romanzo di Andy Weir in questo momento è una lettura particolarmente in voga presso il Johnson Space Center, e che l’apprezzato lavoro di Ridley Scott viene molto considerato dall’agenzia durante la preparazione del viaggio su Marte.

“La fantascienza, specialmente al cinema, influenza sempre la scienza vera”, dice Ulrich. “Credo che sia l’arte che la scienza si basino entrambe sulla creatività, curiosità e immaginazione”.

La scenografia di Arthur Max inizia a prendere forma durante un ampio tour del Johnson Space Center di Houston, guidato da Dr. Green; l’ambiente presenta tutti i requisiti necessari per poter portare un essere umano su Marte. Max ha inoltre visionato i vecchi centri di controllo di Mercury e Apollo nonché l’attuale Centro che ha coordinato le missioni spaziali dello Shuttle e che monitora la Stazione Spaziale Internazionale.

“Ho mescolato alcuni degli elementi che ho visto alla NASA e li ho arricchiti con un look futuristico, immaginando come potrebbe essere una centrale di controllo del futuro”, dice Max. “La NASA è stata estremamente collaborativa non solo nel fornirci un grande apporto e risorse, ma anche approvando tutti i nostri design”.

THE MARTIANDopo aver girato nei set creati da Max all’interno di The Whale, la società si è trasferita in un complesso di edifici di 40 ettari chiamato Hungarian Expo, dove sono stati costruiti i set degli uffici del JPL, del laboratorio e del garage.
Le riprese effettuate presso l’Hungarian Expo, si sono concluse alla fine di novembre, e con loro è terminato anche il lavoro degli attori Ejiofor, Daniels, Wiig, Bean, Davis, Wong e Glover. Dopo una breve interruzione, i filmmaker hanno iniziato a girare nei Korda Studios, per raccontare le storie separate di Watney e degli astronauti.
Dice Damon: “Prima di arrivare negli Studios, 54 attori avevano già terminato il proprio lavoro”.
Il programma di lavoro di Damon si è sovrapposto a quello di Chastain e degli altri astronauti, ed è durato 3 giorni, a metà dicembre; poi, a febbraio, ha girato con Chastain per altri due giorni.

“Avevo girato due film con Matt [Interstellar è l’altro], e sul set abbiamo lavorato insieme solo per una settimana”, dice Chastain.

L’intero equipaggio di Hermes appare insieme nella terribile tempesta marziana che mette in moto la storia. Per evitare di affidarsi agli effetti visivi, Ridley Scott voleva che la tempesta sembrasse reale, sia al cast che al pubblico. La sequenza è stata girata nel corso di tre giorni, nel gigantesco Teatro 6 che ospitava gli esterni di Marte, e ha comportato la presenza di ventilatori giganteschi, polvere fitta, scarsissima visibilità e un nugolo di sporcizia. La prima giornata di tempesta è stata dura per tutti.

“E’ stata l’esperienza più difficile della mia carriera”, osserva il costumista Janty Yates. “Sembrava di stare sotto un uragano”.

Persino le maschere indossate dagli attori sul viso, non riuscivano a proteggerli dal turbine di polvere e sporcizia che inondava i loro occhi, orecchie e bocche. Le particelle entravano nelle intercapedini dei caschi spaziali indossati dagli attori, che loro malgrado le inalavano. Fra una ripresa e l’altra gli assistenti del guardaroba correvano a rimuovere i loro caschi per farli respirare meglio.

“Venite su Marte, vi divertirete”, scherza Michael Peña, masticando polvere. “Quando sono arrivato sul set indossando per la prima volta il costume di scena, ho pensato: ‘Che bello, sono un astronauta. E’ una scena grandiosa. Ecco cosa vuol dire fare un film con Ridley Scott. Mi farò valere!” E poi improvvisamente mi sono ritrovato a combattere nel vento, cercando di respirare, di non cadere e pensavo solo “Merda… Spero solo di non rovinare questa sequenza!”.

THE MARTIAN“Un battesimo di fuoco”, concorda Jessica Chastain. “Abbiamo girato la scena della tempesta nel nostro primo giorno insieme e neanche ci conoscevamo. Stavamo ancora cercando di entrare nei nostri personaggi quando delle enormi turbine hanno iniziato a spararci addosso polvere e sabbia”.

Mentre gli attori erano disorientati e non riuscivano neanche a vedersi in quel marasma, potevano però parlare e sentirsi fra loro, nonché comunicare con Ridley, grazie ai piccoli collegamenti audio e microfoni inseriti nei loro caschi. E’ stata un’esperienza surreale che ha contribuito a creare un forte legame fra tutti loro, spiega Kate Mara.

“Abbiamo stabilito subito un bel legame perché attraverso i caschi potevamo sentire solo noi stessi e non quello che diceva la troupe intorno a noi”, racconta Mara. “Abbiamo iniziato a scherzare e a fare battute e questo ha creato una grande vicinanza. A volte abbiamo quasi esagerato con le battute, poi ci ricordavamo di Ridley e ci chiedevamo: “Un attimo, ma Ridley ci sta ascoltando?”.

I caschi e le tute, che complessivamente pesavano 18 chili, non hanno di certo contribuito a facilitare gli spostamenti degli attori sulla sabbia e contro un vento che soffiava a oltre 100 chilometri orari.

Sia i caschi che i costumi sono opera della stilista Jany Yates e dell’esperto spaziale Michael Mooney. I caschi contengono sei luci, che vengono accese da un piccolo telecomando a due canali, alimentato da una batteria. Un ventilatore all’interno dello zaino del costume, che contiene provviste vitali, invia aria attraverso un tubo all’interno del casco. I caschi hanno uno spessore che varia da uno a quattro millimetri, e sono stati costruiti dalla FBFX attraverso un sistema di fusione sottovuoto. Mooney li ha modificati per renderli il più leggeri possibile, cioè di circa 4 chili, ma afferma che “per alcuni attori erano pesanti, soprattutto per una giornata di riprese di dieci ore”.

Al di sotto dei caschi, i costumi da indossare in superfice di colore bianco e arancione, vengono indossati dagli astronauti quando esplorano la superfice del pianeta e pur essendo aerodinamici e aderenti, consentono completa flessibilità di movimento.

THE MARTIANDurante la pre-produzione Yates ha mostrato a Damon una prima versione del suo costume, e l’attore conferma che il risultato finale è “esattamente come lo aveva concepito. Mentre leggevo il copione, pensavo: ‘Questa storia è fantastica, ma sicuramente dovrò passare 80 giorni all’interno di qualche costume ingombrante’. Invece il costume che ho indossato era comodo, aderente come una muta subacquea”.

Prima di disegnare i costumi, Yates ha incontrato il curatore dello Smithsonian Museum di Washington, D.C., che ospita un’interessante collezione di costume spaziali che risalgono agli inizi del programma Mercury, la Yates ha svolto una ricerca al Johnson Space Center e al JPL. Un’esperienza che l’ha davvero affascinata.

Aggiunge Yates: “Ho visto i rover, li ho visti costruire satelliti… Mi sembrava di essere già in un film di fantascienza. Mi hanno inviato tante immagini utili. Abbiamo visto i disegni dei costumi che stanno progettando per missioni che vanno fino al 2030.

“Ridley mi ha detto che voleva dei costumi sottili e che consentissero un ampio movimento degli astronauti, che mostrassero una bella silhouette. I costumi della NASA hanno il casco incorporato, ma questo per noi non andava bene, e quindi abbiamo dovuto cambiare modello. Abbiamo apportato qualche modifica anche all’estetica oltre che per esigenze di ripresa, e penso che abbiamo trovato un buon compromesso tra forma e funzionalità”.

La forma è stata presa meno in considerazione per quanto riguarda il costume “EVA” (Extra Vehicular Activity), la tuta spaziale che gli astronauti indossano quando esplorano territori all’esterno dell’astronave (che Ridley Scott chiama “doughboy”, un termine con cui venivano confidenzialmente chiamati i soldati della 1a guerra mondiale). Il costume EVA viene indossato durante le operazioni in assenza di gravità, all’esterno di Hermes, ed è generalmente pesante e ingombrante. È fatto di lastre di fibra di carbonio, con otto anelli d’acciaio di 3 millimetri agganciati ai cavi. L’attrezzatura stunt di Damon pesava 25 chili, che sommati al peso del costume e del casco, diventavano 45.

Oltre dieci fornitori sono stati impiegati per creare i caschi e 15 costumi per le attività extra veicolari degli astronauti.
Yates ha ideato un terzo look per gli astronauti, che lei stessa definisce “una tuta da ginnastica”. Spiega la costumista: “E’ un costume utile alle loro attività quotidiane a bordo di Hermes. E’ elegante, aderente e comodo, e poiché viene indossato solo all’interno della navicella pressurizzata, non necessita di respiratore artificiale”.

Hermes è dotato del proprio sistema di supporto vitale, che sostiene l’equipaggio di Ares III durante il viaggio di nove mesi verso Marte. (La lunghezza del viaggio può variare, a seconda delle orbite dei rispettivi pianeti). Hermes è stato costruito nei Teatri 2 e 3 dei Korda Studios, e si basa sui progetti della Stazione Spaziale Internazionale, utilizzando una serie di moduli a incastro. L’esterno del velivolo è dotato di pannelli solari, depositi per acqua e ossigeno, derive per la dissipazione del calore, moduli di comunicazione, e altri meccanismi di sopravvivenza.

THE MARTIANBasato su avanzati progetti della NASA, Hermes è alimentato da un propulsore al plasma, che secondo Arthur Max non era mai stato presentato in un film perché si tratta di una tecnologia di ultima generazione. Il design incorpora un largo braccio telescopico attraverso il quale il reattore che emette il calore, si trova a una distanza sicura dalla nave spaziale.

“Abbiamo voluto un look appariscente ma abbiamo cercato di non discostarci dalla realtà pratica e dalla tecnologia all’avanguardia”, spiega.

Max è cresciuto nell’era dello Sputnik, durante la competizione spaziale fra USA e URSS, e da piccolo era ossessionato dalla scienza. “Facevo parte di un club appassionato di missilistica, e facevamo il carburante sui fornelli da cucina, a volte con conseguenze disastrose”, racconta. “Con SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN ho risvegliato il mio interesse nell’esplorazione dello spazio. Sono stato contento di far parte di una storia avventurosa che racconta un tema classico: l’esplorazione dell’ignoto”.

Gli interni bianchi e lucenti di Hermes sono un tributo a 2001: Odissea nello spazio, e si snodano dalla cabina di pilotaggio lungo un corridoio che si estende per decine di metri. A metà del corridoio c’è un tunnel di collegamento ad angolo retto che conduce verso la Recreation Room. All’interno, un cilindro rotante che viene chiamato ruota della gravità, gira velocemente per generare la forza centrifuga che simula gli effetti della gravità.

Rudi Schmidt, uno scienziato della European Space Agency nonché un consulente tecnico presente sul set, spiega che la ruota della gravità è stata sperimentata per la prima volta durante le missioni dello Skylab negli anni ’70, che ha anticipato l’attuale Stazione Spaziale Internazionale.

“Gli astronauti devono restare esposti agli effetti gravitazionali per preservare le ossa e la massa muscolare”, dice Schmidt. “La ruota della gravità teoricamente può generare circa la metà della forza gravitazionale terrestre, e questo è sufficiente per il loro stato di salute”.

La Rec Room (Recreation Room) è dotata di cyclette, tapis roulant, e altre attrezzature per il fitness. E’ un set a se stante all’interno del Teatro 4 dei Korda Studios, costruito su montacarichi idraulici con la ruota della gravità inclinata a 30 gradi a ogni lato.

Affinché gli astronauti a bordo di Hermes potessero simulare il movimento in assenza di gravità, hanno dovuto essere imbragati per dare l’impressione che fluttuassero da un luogo all’altro. Il coordinatore degli stunt Rob Inch e la sua squadra hanno dato vita a un enorme sistema di argani bidimensionale, che ha consentito agli attori di volteggiare all’interno del set a cielo aperto di Hermes. I cavi erano collegati a un gancio attaccato alla loro vita, gambe e i polsi. Il sistema era computerizzato e meccanizzato, tuttavia c’erano anche alcuni stunt che muovevano i cavi per “manovrare” gli attori. L’uso di verricelli e di parti in alluminio ha consentito un movimento libero, fino a 360 gradi.

“Abbiamo dovuto ideare riprese piuttosto complicate per far muovere il cast nel corridoio e nelle altre stanze”, spiega Inch. “Ad esempio, in una scena dovevamo condurre Jessica e Michael lungo la principale fusoliera, nel corridoio, vero la ruota della gravità. Doveva essere un movimento fluido. Non è stato facile”.

Spiega il costruttore stunt Leonard Woodcock che sono stati necessari 150 metri di tavole, 90 metri di ringhiere, 70 carrucole e 400 metri di funi professionali, per costruire la struttura. “C’erano più impalcature di quante ne potessi contare”, dichiara.

Jessica Chastain si è preparata a simulare i movimenti in assenza di gravità, attingendo alla sua esperienza di danzatrice. Nota per la scrupolosità con cui si prepara, Chastain ha trascorso anche diversi giorni presso le strutture NASA e si è documentata sulla vita degli astronauti, fra cui Sally Ride, la prima donna americana nello spazio.

THE MARTIAN

“Nel film del 2014 Interstellar, il mio personaggio restava sulla Terra, e durante la proiezione ricordo di aver pensato quanto doveva essere stato divertente per Matthew McConaughey e Anne Hathaway girare le scene spaziali”, rivela Chastain. “Ho pensato che sarebbe stato veramente bello interpretare un astronauta. Un paio di settimane dopo, sono venuta a sapere che Ridley mi voleva in SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN. Quindi ce l’ho messa tutta. Ho visitato il JPL e il Johnson Space Center, dove ho visto cose davvero straordinarie. Sono entrata in un MAV e nella riproduzione dello Space Shuttle.

Chastain si ritiene fortunata ad aver incontrato l’astronauta-chimico Tracy Caldwell Dyson, uno specialista del volo STS-118 dello Space Shuttle Endeavour, avvenuto nell’agosto 2007; Dyson ha fatto parte anche dell’equipaggio dell’Expedition 24 della Stazione Spaziale Internazionale, nel 2010.

Dyson ha fornito all’attrice una serie di informazioni sia tecniche che umane sulla vita di un astronauta. Chastain dice che la Dyson e le altre astronaute costituiscono dei veri e propri modelli. “Ispirano le donne a intraprendere una carriera scientifica”, osserva l’attrice.

Un altro momento interessante della preparazione di Chastain è stato quando ha indossato gli occhiali 3D Oculus e ha sperimentato le immagini panoramiche di Marte riprese dal Rover Curiosity. “Mi sono sentita come se ci fossi stata davvero”, dichiara.

Il Rover Curiosity ha fornito il modello del Rover di SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN, nonostante quest’ultimo sia più grande e più sofisticato. Basato sui disegni di Arthur Max e supervisionato da Oliver Hodge, il Rover ha sei ruote motrici e un abitacolo trapezoidale e un telaio costruiti da Szalay Dakar, una casa ungherese che costruisce macchine da corsa per la Dakar.

Due versioni a grandezza naturale del Rover sono state realizzate da una squadra di 22 tecnici e da 15 operai di Szalay. Il Rover è essenzialmente un veicolo agricolo in grado di percorrere tutti i tipi di terreno; è dotato di grandi ruote industriali per poter attraversare luoghi aspri e rocciosi. Il modello comprende porte idrauliche con apertura ad ala e un motore diesel da due litri, nonostante l’esterno sia rivestito con pannelli solari che creano la sensazione che il veicolo sfrutti l’energia solare.

Dice il tecnico di effetti speciali del veicolo Glenn Marsh: “Il motore solare svolge un ruolo importante nella storia, perché limita le prestazioni del veicolo che può solo percorrere 40 chilometri alla volta. Questo rappresenta un’ennesima difficoltà per Mark Watney, quando deve mettersi in viaggio per cercare il luogo dove poter essere soccorso”.

I pannelli e i portelli del Rover sono ideati per una rapida e facile rimozione, per facilitare l’inserimento di videocamere 4K sui montanti, al fine di registrare la comunicazione verbale di Watney con la NASA, e di mostrare le immagini di Watney che guida il veicolo.

Come dice Marsh, il Rover è stato ideato per muoversi sui terreni accidentati e ha dato subito prova della sua resistenza in una cava ungherese prima di girare in Ungheria. Il Rover era già stato usato in diverse scene all’interno del Teatro 6, dove solca il terreno marziano. 4000 tonnellate di terreno e altri materiali sono stati utilizzati per creare una tavolozza topografica in grado di evocare in modo credibile il deserto giordano di Wadi Rum. Arthur Max osserva che il Wadi Rum è stranamente simile a Marte per quanto riguarda i toni rosso arancio, e che lo scopo era quello di raggiungere una totale integrazione degli effetti ottenuti all’interno del teatro di posa con le immagini della location.

Roger Holden ha mescolato tre tipi di terreno ungherese meccanicamente e manualmente, per riuscire a trovare il colore giusto; nei due mesi successivi, la superfice del set marziano è stata perfezionata, e nel corso di questo periodo Holden ha coltivato le patate che nel film Watney fa crescere nell’Hab, seguendo lo stesso procedimento mostrato nel film.
“All’interno dello studio abbiamo costruito uno spazio artificiale dotato di luci, calore e fertilizzante”, dice Holden. “Il nostro processo di fertilizzazione comunque era molto meno complicato di quello di Watney”. Complessivamente Holden ha coltivato oltre 1200 patate, per una media di circa otto tuberi per pianta.

L’accurato paesaggio marziano concepito da Holden all’interno del Teatro 6, era circondato dal più grande schermo verde mai assemblato: 95 metri di lunghezza e 20 metri d’altezza. Lo schermo occupava quasi 2000 metri quadrati. Il supervisore effetti visivi Matt Sloan spiega: “Ridley ama le grandi dimensioni; in questo teatro abbiamo 360 gradi di fondale, a cui possiamo aggiungere fotografie di Wadi Rum, oltre al cielo e alle lune al di sopra dell’orizzonte”.

Per aiutare ad abbinare le immagini girate in studio con quelle girate in Giordania, Sloan e la sua squadra hanno studiato i grafici del percorso solare a Wadi Rum in modo da poter sempre inserire, insieme al direttore della fotografia Dariusz Wolski, ASC, la giusta direzione della luce. Wolski ha utilizzato una fonte luminosa portatile che raggiungeva un’altezza di 20 metri, permettendogli di creare la giusta angolazione del sole.

Sia gli operatori che gli esperti di effetti speciali hanno usato un nuovo strumento visivo che proietta su uno schermo portatile il background visto da ogni angolazione, e questo aiuta moltissimo l’inquadratura. Dice Sloan: “Se Ridley o Dariusz volevano ampliare o allungare un’immagine sullo schermo verde, potevano visualizzare gli effetti sullo schermo, come ad esempio il paesaggio giordano composto da cespugli, rocce e piccole dune sabbiose”.

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