I sogni del lago salato attraversano il tempo

Non è facile rimanere in un piccolo villaggio mentre fuori tutto diventa nuovo

sogni lago salatoUno dei principali limiti culturali dell’Italia contemporanea è la memoria corta, l’appiattimento di qualsiasi evento sul presente. Postura decisamente pericolosa in un mondo (nel bene e nel male) sempre più veloce e globalizzato. Tale postura viene, dannosamente, enfatizzata in ambito cinematografico. Siamo, infatti, agli ultimi posti tra le nazioni occidentali dal punto di vista della distribuzione dei documentari in sala. Li si associa ad argomenti noiosi e visto che il cinema deve far cassa e si fà cassa solo facendo ridere…i documentari vanno limitati al massimo. Concezione sbagliata ed autolesionista, visto che i documentari sono un inestimabile lente d’ingrandimento sulla contemporaneità nella quale siamo immersi a 360 gradi, volenti o nolenti.

L’ultimo lavoro di Andrea Segre, I sogni del lago salato, presentato in Selezione Ufficiale – Fuori Concorso al 68° Festival del Film di Locarno e come Evento Speciale di chiusura ai Venice Days 2015, ci porta a confrontare l’italia del boom, l’opulento e speranzoso bel paese degli anni ’60 con il Kazakistan di oggi che sta vivendo un esplosione economica molto simile alla nostra di 55 anni fa.

i-sogni-del-lago-salatoIlluminanti, a tale proposito, le parole dell’autore: “Se avessi ascoltato la ragione, probabilmente non sarei partito. Non cercavo qualcosa di preciso. In questo film, più che in molti altri, ho semplicemente seguito il desiderio e l’istinto. E’ il privilegio del cinema documentario. E’ l’emozione del cinema documentario. Una libertà di sguardo e di pelle, che proverò a seguire sempre. Volevo andare in Kazakistan. Perdermi in terre di confine, in orizzonti talmente ampi da diventare intimi. I sogni del lago salato sono sogni che ho cercato nelle steppe asiatiche e che ho poi ritrovato nella cantina di mio zio Alberto (cugino direbbe lui), dove piccoli antichi sogni erano custoditi nelle pellicole 8 mm di 50 anni fa. Sono sogni che l’umanità ciclicamente prova a fare, senza avere il coraggio di fermarsi, di chiedersi cosa rimane indietro”.

E’ importante sottolineare che il poter ammirare questo film nelle sale è, a suo modo, un piccolo boom economico indotto dal basso, dalla Distribuzione Civile, un esempio affascinante da sostenere ed imitare perché potrebbe farci apprezzare molte opere altrimenti invisibili. La miglior radio del mondo non è nulla senza un’antenna per riceverla.

A tratti, il passo è un po’ troppo lento. Sicuramente, si tratta di una scelta narrativa intenzionale, a contrasto con l’accelerazione imposta dalla scoperta del petrolio alle popolazioni dei villaggi ma tende a far calare il ritmo e l’attenzione. E’ probabilmente l’unico difetto in un’opera di livello alto, decisamente ben realizzata e narrativamente coerente.

L’osservazione del parallelismo tra il boom italiano degli anni ’60 ed il boom kazako del 2015 (400.000 barili di petrolio al giorno) dal punto di vista di coloro che dovrebbero trarne beneficio è una prospettiva molto interessante. Gli sguardi dei bimbi di Gela negli anni del boom, quando venne trovato il petrolio rimangono in modo permanente nella retina dello spettatore.

Sembrano trascorsi mille anni.

andrea segreBellissima la corrispondenza di immagini tra i bimbi kazaki con il cane e i ragazzini italiani dell’Italia pre-boom, così come l’escamotage del farci udire la traccia audio delle riprese vintage italiane mentre ammiriamo lo splendido primo piano del volto dell’uomo kazako dagli occhi incredibili, perplesso e poco fiducioso nei confronti del cambiamento. Un altro inquietante punto in comune tra la nostra storia e quella che sembra palesarsi nel Kazakistan odierno potrebbe essere riassunto con “false speranze”: quelle di una svolta, di un futuro migliore quando è evidente che la forbice tra ricchi e poveri si allargherà, maggiormente ed inesorabilmente, ovunque. Il progresso reca sempre con sé un prezzo da pagare e gli sguardi di anziani e bambini, i più autentici del genere umano…lo rivelano senza filtri.

Ottimo lavoro, Andrea. Continua così!

Massimo Frezza

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