Tom&Jerry sono due ectapodi.

Il 19 gennaio 2017 arriva in Italia ‘Arrival’, un thriller di fantascienza provocatorio di Denis Villeneuve (già autore di Sicario, Prisoners), con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker e Michael Stuhlbarg.

Il film, basato sul racconto “Storia della tua vita” di Ted Chiang, racconta l’atterraggio di 12 misteriosi oggetti provenienti dallo spazio. Per le investigazioni viene formata una squadra di élite, capitanata dall’esperta linguista Louise Banks. Mentre l’umanità vacilla sull’orlo di una guerra globale, Banks e il suo gruppo affronta una corsa contro il tempo in cerca di risposte – e per trovarle, farà una scelta che metterà a repentaglio la sua vita e, forse, anche quella del resto della razza umana. Gli extraterrestri sono invece degli enormi ectapodi e nel film ne conosceremo due: Tom&Jerry.

“Sognavo di fare un film di fantascienza già dall’età di dieci anni – spiega il regista Denis Villeneuve – credo che questo genere possieda il potenziale ed i mezzi per esplorare la nostra realtà in modo molto dinamico”. “Ciò che amo del racconto è il fatto che contiene diverse sfaccettature – spiega Villeneuve – quella che mi ha toccato di più è il contatto con la morte di qualcuno. Cosa succederebbe se sapeste in che modo state per morire e quando morirete? Quale sarebbe il vostro rapporto con la vita, l’amore, la famiglia gli amici e la vostra società? Essere maggiormente in relazione con la morte, in modo intimo con la natura della vita e le sue sfumature, ci farebbe diventare più umili. L’umanità adesso ha bisogno di questa umiltà. Ci troviamo in una era in cui regna il narcisismo. Siamo ad un punto in cui siamo pericolosamente scollegati alla natura. Questo è ciò che il racconto breve ha significato per me – un modo per tornare ad avere un rapporto con la morte, la natura e il mistero della vita”.

“Quando io e Denis abbiamo iniziato a parlare del film – racconta il direttore della fotografia – una delle cose che ci preoccupava, era il fatto che spesso contaminiamo il processo con i nostri preconcetti su quale genere di film stiamo per realizzare. Qui si tratta di fantascienza, ma quello che volevamo era rimanere sorpresi dell’arrivo dell’alieno proprio come lo sarebbe stato il pubblico o i personaggi del film. Volevamo essere ingenui come i personaggi su cosa significhi interagire con un’intelligenza aliena. Questo ha dato modo a me e Denis di fare un passo indietro nello sviluppo decidendo che questo doveva essere intenso. arrival 2Doveva essere vero. Quando arriva la navicella degli alieni, siamo tutti sorpresi, spaventati e eccitati dall’entrare in contatto con loro così come lo sono i personaggi del film”. Era fondamentale mantenere il senso di mistero e il fatto di appartenere ad un altro mondo degli alieni. “Nei film di fantascienza, spesso gli esseri umani influenzano la nostra interpretazione su cosa sia un intelligenza aliena – spiega Young sul loro tentativo di muoversi oltre i preconcetti – noi abbiamo cercato di evitare questo. E se gli esseri umani non fossero mai entrati in contatto con gli alieni? Avrebbero delle leghe? Metalli? Arriverebbero con tutte quelle cose che pensiamo solo perché noi, in quanto umani, abbiamo accesso a tutte quelle cose? Si trattava di dare un tocco di freschezza a come la vita possa essere semplice e genuina per gli esseri umani sulla Terra, oltre che di come l’intelligenza aliena possa essere semplice e genuina. Volevamo dare una ridimensionata e renderlo molto personale – quello era il nostro scopo sin dall’inizio, fare un film innocente e personale ma con una sua dimensione”.

“Tutto è iniziato con Patrice Vermette, mio caro amico e scenografo – dice Villeneuve -. Inizialmente, la nave spaziale doveva essere rotonda, come una sfera, poi ho pensato che questo era stato già fatto. Non era abbastanza minacciosa o strana. Quindi ho avuto l’idea che la navicella avrebbe dovuto avere la forma di un ciottolo, una piccola pietra ovoidale. Mi sono ispirato ad un asteroide o un piccolo pianeta chiamato Eunomia [conosciuto come asteroide 15], in orbita nel sistema solare. La sua forma è pazzesca, come uno strano uovo”. Villeneuve aveva, fino ad aver conosciuto Eunomia, sempre supposto che ogni cosa proveniente dallo spazio, sia esso un asteroide, un pianeta o la luna, fosse sferica. “Questa strana e perfetta forma, a me sembrava minacciosa, misteriosa e spaventosa”.

“Spielberg e il suo Incontri Ravvicinati, probabilmente sono stati di grande ispirazione per quello che abbiamo fatto noi – spiega – innanzitutto nel film abbiamo un alieno in arrivo, non siamo noi ad andare alla loro ricerca, sono loro che vengono da noi. Secondo, abbiamo avuto l’opportunità di progettare qualcosa che vediamo attraverso gli occhi dei nostri protagonisti per la prima volta, così che entrare in una nave aliena è stato di forte impatto anche per noi”.

La navicella spaziale, chiamata “il guscio” nella sceneggiatura, ha su di sé simboli spaziali. “C’era una relazione con la vita e la nascita perfetta per l’idea che volevamo dare della navicella spaziale – spiega Villeneuve – io e Patrice pensavamo che la navicella dovesse essere fatta di un materiale non terrestre. Non è piccola. Non è bianca o fatta di metallo o plastica, è stata realizzata con una strana pietra. Non siamo certi di cosa si tratti esattamente. Non possiamo neanche tirare ad indovinare”.

Ogni volta che si entra nella navicella da spettatori vogliamo ritornarci, perché è l’unico spazio del film dove si vedono le cose, dove si capisce cosa significhi guardare l’evolversi dell’essere umano. Iniziare in un luogo buio ha una sua traiettoria visiva, che è l’ignoto, per poi terminare in un luogo più elevato, che corrisponde all’illuminazione di noi stessi e la scoperta di chi siamo noi come esseri umani.

Villeneuve ha riflettuto a lungo su come rappresentare gli alieni. “Ho provato frustrazione – spiega il regista – cercando di
disegnare un alieno. Creare qualcosa mai fatto prima è veramente difficile. Volevo che fosse grosso, di grande presenza, come una balena”. “Volevo avere la sensazione di trovarmi sottacqua vicino ad una bestia enorme – continua Villeneuve – dove senti una grande intelligenza o una presenza. Forse si ha questa sensazione anche con gli elefanti. Se si incontra un elefante nella savana, c’è la sensazione di una presenza forte, una presenza istintiva e una profonda intelligenza. Questo era quello che cercavo per disegnare un alieno. Ecco perché per me era importante che gli alieni avessero necessariamente gli occhi, ma volevo anche sentire la loro presenza, sebbene all’inizio non si ha un contatto forte con loro”.

Nonostante nessuno, a parte Banks, Donnelly e i militari, riesca a vedere gli alieni, la loro mera presenza sulla Terra scatena una crisi esistenziale per molta gente. “L’idea era che se le astronavi fossero atterrate, le società avrebbero dato di matto in tutto il mondo”, spiega Villeneuve. “Perché, innanzi tutto, è un’enorme crisi esistenziale per le persone religiose che pensano di essere al centro dell’universo. Io credo fortemente nella natura, perciò rimarrei veramente sorpreso se atterrassero gli alieni. C’è un contrasto forte che adoro, la loro è una presenza pacifica, non fanno niente eppure la loro presenza da sola provoca il caos. L’unico luogo in cui c’è silenzio e concentrazione è all’interno del guscio. Per entrare in contatto con gli alieni, i nostri eroi devono entrare nell’astronave, in una camera specifica dove possono scambiare informazioni con gli alieni attraverso uno schermo. Non possono toccarli. Non possono sentirne l’odore. Riescono a malapena a vederli attraverso una strana nebbia, la strana atmosfera dall’altra parte. Sono come elefanti nella nebbia”.

arrival 1Il mistero centrale della storia, il puzzle che Banks e Donnelly stanno tentando di risolvere, è il perché gli alieni siano qui sulla Terra. “Il loro atterraggio non ha scopi politici”. Villeneuve spiega dove atterrano gli alieni. “Semplicemente atterrano in spazi confortevoli per le loro astronavi. Per me era importante dare un tocco di freschezza a questi alieni, non una invasione ma un atterraggio sulla Terra. Proprio alla fine del film, ci sarà un momento di collaborazione, perché si rendono conto che gli alieni hanno offerto la loro cultura e il loro linguaggio a piccoli pezzi. Una volta messi insieme quei pezzi di linguaggio, si riesce ad ottenere una sorta di enciclopedia della loro cultura e del loro linguaggio”.

Villeneuve dice che per gli alieni si è ispirato a balene, polpi, ragni ed elefanti. “Volevo che l’alieno fosse una creatura surrealistica, che proviene dal mondo dei sogni, degli incubi. Sotto questo aspetto è stato un successo. C’è ambivalenza negli alieni, sono pacifici o ostili? Anche il loro corpo e i loro movimenti lasciano di proposito spazio all’interpretazione e si riveleranno solo con lo svolgersi della storia”. “È uno studio del comportamento – dice Villeneuve – l’alieno è una
rappresentazione della morte, e ci sono alcune scene in cui volevo che l’alieno sembrasse proprio la classica rappresentazione della Morte o della Mietitrice. Ispira, sotto certi punti di vista, quella sensazione alla fine del film. Per realizzare la loro strana forma, ci siamo sottoposti ad una lunga fase di disegno. Volevo anche che il pubblico potesse scoprire gli alieni passo dopo passo nel corso del film, non subito, perciò abbiamo svelato lentamente sempre più le caratteristiche della loro struttura e dei loro corpi”.

I commenti sono chiusi.