Una famiglia davvero speciale.

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, apostrofa un celebre proverbio. E questo adagio potrebbe essere agevolmente preso in considerazione come motto dei membri della famiglia Bèlier e di Rudolph, in particolare, che si butta in politica eleggendo a slogan della sua campagna elettorale alle comunali “io vi ascolto”. C’è una particolarità in tutto ciò: Rudolph Bèlier, sua moglie e suo figlio sordi lo sono davvero, per la precisione sordomuti.

la-famille-belier1Da questo presupposto parte il film di Eric Lartigau, che però aggiunge un elemento fondamentale, Paula. Perché Paula è la protagonista della vicenda, la figlia maggiore della famiglia Bèlier che è del tutto sana ed è costretta ad occuparsi dei suoi famigliari in ogni ambito, in particolare nell’interazione con il cosiddetto “mondo esterno”. Infatti i Bèlier, che hanno una fattoria e vendono i loro prodotti al mercato, sono come chiusi in un universo personale dove sembra non esistere interazione con terzi, a meno che non sia mediata da Paula. Una sorta di auto-esclusione crea in loro un sentimento superiorità che tende a renderli quasi “razzisti” con chi è sano. La condizione di sordomutismo per loro è un tratto distintivo e non un handicap, per questo non accettano ciò che accade a Paula, anzi cercano di ostacolarla. La ragazza, infatti, non solo sente e parla, ma ha anche una voce bellissima, tanto che il suo professore di canto la incoraggia a partecipare a un’audizione per essere accettata a una celebre scuola parigina.

Il film di Lartigau racconta, dunque, una duplice storia di accettazione del diverso. Se da una parte sono i Bèlier ad essere diversi dalla società in cui vivono e devono far valere i loro diritti per essere accettati, in particolare nello scontro con il sindaco reggente e nella lotta di Rudolph per le nuove comunali, dall’altra sono gli stessi Bèlier a dover accettare chi è diverso da loro, a cominciare dalla loro figlia.

La famiglia BelierSenza patetismi ne offese, il film tratta il tema dell’handicap nella maniera migliore che si potesse chiedere, utilizzando costantemente un linguaggio ironico che gioca soprattutto sull’eccentricità e la disinibizione dei coniugi Bèlier, interpretati magistralmente da Francois Damiens e Karin Viard. Ed è proprio a loro due e alla loro capacità di recitare senza mai parlare che sono affidati gran parte dei momenti comici del film, incentrati sugli involontari tentativi di mettere in imbarazzo la loro “bambina”, spesso con allusioni sessuali. Brava anche Louane Emera, giovanissima esordiente che arriva direttamente dal palco della versione francese del talent show The Voice, dimostrando di saper recitare oltre che cantare. Completa il quadretto famigliare Luca Gelberg, che interpreta il figlio minore dei Bèlier ed è l’unico vero sordomuto del cast.

la_famille_belierSi nota che un film come La famiglia Bèlier sia fondamentalmente figlio del successo internazionale Quasi amici, cercando di apparire come un prodotto molto commerciale e adatto a tutti i tipi di pubblici. Per arrivare a questo risultato, mescola alla commedia un minimo di impegno, trattando una tematica di rilevanza sociale come l’handicap. Così facendo, La famiglia Bèlier prende un punto di vista teen, fatto di tutti gli stereotipi possibili e immaginabili (l’amore adolescenziale, l’amicizia, la competizione, il talento nascosto, la voglia di emancipazione) e li estende a un contesto che non deluda nessuno. Però, questo suo voler essere un film per tutti, ne fa un film che potrebbe scontentare chi forse cercava qualche cosa di più del prodotto buonista e consolatorio di stampo ultra-commerciale.

Anche l’aspetto canoro è forse troppo presente e ok voler sfruttare le doti della Emera nel campo in cui gli spettatori francesi la conoscono, ma qualche esibizione della giovane Paula sarebbe potuta essere evitata.

La famiglia Bèlier in Francia ha portato ben 7 milioni di spettatori al cinema e si è guadagnato 6 nomination ai prestigiosi Cèsar. Vediamo se in Italia e nel resto del mondo si comporterà altrettanto bene, i buoni presupposti senz’altro ci sono.

Roberto Giacomelli

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