Ritorno alla vita: tutto andrà bene.

Ritorno alla vita (Every Thing Will Be Fine), presentato al Festival di Berlino 2015, sembra la risposta a Youth del maestro Wim Wenders (premiato quest’anno con l’Orso d’Oro alla carriera) che, compiuti settant’anni il 14 agosto, si interroga, come è naturale che sia, sulla mortalità legata all’inesorabile scorrere del tempo, utilizzando un doloroso paradosso: cosa accade quando ad essere prematuramente terminata è una vita in completo divenire, un immenso orizzonte di possibilità disintegrato sul nascere? ritorno-alla-vita-wenders-locandinaEd a rimarcare tale cardine narrativo fondamentale sono proprio i bambini che scandiscono, con il loro progressivo crescere, i dodici anni trascorsi tra l’inizio e la fine della vicenda narrata.

L’indubbio, tangibile fascino delle protagoniste femminili (in primis, lo straordinario talento e l’immenso charme della poliedrica Charlotte Gainsbourg) ed il variegato miscuglio di accenti che è possibile apprezzare vedendo il film in lingua originale, insieme ad una fotografia e ad una scelta delle location che rasenta la perfezione (l’algida Montréal – occhio. Le riprese sono iniziate il 13 agosto! – è di una bellezza struggente) riescono quasi a far dimenticare il monoespressivo e costantemente sopravvalutato James Franco. Siamo di fronte, infatti, ad un film di madri e di figli, nel quale il protagonista scrittore, in realtà tutte le figure maschili eccetto una, funge soltanto da raccordo narrativo.

Un vezzo costoso ed inutile l’utilizzo del 3D in un film che possiede un’unica reale scena d’azione in 118’ ed è talmente bergmaniano (l’autore della sceneggiatura è il brillante ingegnere marino norvegese Bjørn Olaf Johannessen) da poter essere facilmente trasformato in pièce teatrale. Un gran peccato, inoltre, la scelta errata del protagonista. Lo scrittore anaffettivo è un ruolo molto complesso e non basta una bella faccia per renderlo credibile. Lo Sean Penn di dieci anni fa ne avrebbe fatto un capolavoro.

Per quanto riguarda il ruolo del padre, anziano e malato, invece… chapeau! Il veterano belga Patrick Bauchau (classe 1938) è semplicemente perfetto e vale da solo il prezzo del biglietto, insieme alla parte terminale della scena che ci rivela l’arduo confronto tra il protagonista ed il bimbo divenuto adolescente, a sancire l’inizio dell’intenso epilogo e facendoci sognare un film mai girato, decisamente migliore di quello che, dopo sette anni di assenza dal genere, Wenders ci dona qui. Il maestro, infatti, questa volta strizza decisamente troppo l’occhio al cinema commerciale patinato (la casa dello scrittore è un capolavoro di design e gli scorci naturali lasciano senza fiato) ma non può evitare di combattere il suo demone chiamato Tempo ed il risultato finale resta perciò degno di nota, grazie anche all’acustico, adamantino apporto della perfetta colonna sonora, firmata da Alexandre Desplat.Wim-Wenders-RITORNO-ALLA-VITA-01

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