Il Signor Diavolo spaventa gli elettori

Pupi Avati torna al genere horror a più di quarant’anni da ‘La casa dalle finestre che ridono’ con ‘Signor Diavolo’, un film da lui diretto e sceneggiato insieme a Tommaso Avati e Antonio Avati, che porta sul grande schermo una storia inquietante ambientata nella campagna del Nord est degli anni Cinquanta, con le credenze popolari e la religione cattolica che spesso rasenta il fanatismo.

Il giovane Filippo Franchini, Gabriele Lo Giudice, Lino Capolicchio e Cesare S. Cremonini sono i protagonisti di Signor Diavolo prodotto da Duea Film con Rai Cinema e distribuito al cinema dal 22 agosto con 01 distribution. Nel cast anche Massimo Bonetti (l’investigatore), Alessandro Haber (l’esorcista), Andrea Roncato (il medico legale), Gianni Cavina (il sagrestano) e Chiara Caselli (la madre della vittima).

signor diavoloIl film si svolge nell’autunno del 1952, alla viglia delle elezioni politiche. Nel nord est è in corso l’istruttoria di un processo sull’omicidio di un adolescente, considerato dalla fantasia popolare indemoniato. Furio Momentè, ispettore del Ministero, parte per Venezia leggendo i verbali degli interrogatori. Carlo, l’omicida, è un quattordicenne che ha per amico Paolino. La loro vita è serena fino all’arrivo di Emilio, un essere deforme figlio unico di una possidente terriera che avrebbe sbranato a morsi la sorellina. Paolino, per farsi bello, lo umilia pubblicamente suscitando la sua ira: Emilio, furioso, mette in mostra una dentatura da verro. Durante la cerimonia delle Prime Comunioni, Paolino nel momento di ricevere l’ostia, viene spintonato da Emilio. La particola cade al suolo costringendo Paolino a pestarla. Di qui l’inizio di una serie di eventi sconvolgenti.

“E’ una storia che meritava di essere raccontata e mi appartiene profondamente – spiega il regista durante la presentazione alla stampa del film a Roma – io avevo 12 anni quando si svolge il film ed ero chierichetto professionista in chiesa. Ho inserito elementi che conosco bene: la paura del buio che è una paura atavica, il diavolo, la favola contadina. Ho raccontato il nostro passato anche per valutare il nostro presente”, aggiunge Pupi Avati. “Ho raccontato questa storia attraverso un genere, cosa si cui oggi gli autori italiani diffidano nella loro schizzinosità ombelicale dove preferisce parlare di quello che sta vivendo. Il cinema italiano era fortissimo quando frequentava i generi – aggiunge il regista – poi abbandonandoli è andato male. Ricordo solo che il più grande regista di genere viveva a Trastevere e faceva western. Si chiamava Sergio Leone”. La decisione di girare ‘Il signor Diavolo’ è stata coraggiosa ed è costata ad Avati numerosi rifiuti: “Prima di fare questo film ho avuto 6 ‘no’ perchè il
genere non si considera più. Si fanno solo le commedie, fatte però da una squadra che poi è sempre la stessa. Frequentare un genere non è disdicevole – conclude Pupi Avati – e riuscire a farlo distribuire nelle sale è anche una forma di provocazione”.

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