Il coraggio per cambiare.

Basato su una storia vera, ‘DIFRET il coraggio per cambiare’ il film prodotto da Angelina Jolie, scava tra le pieghe delle convenzioni sociali, mettendo in luce una forma di patriarcato aggressivo e consolidato che, in Etiopia, continua a perpetuare pratiche discriminatorie nei confronti delle donne. Il film ritrae la complessità di un Paese in cui è in atto una trasformazione per il raggiungimento di pari diritti tra uomo e donna, dando voce alla coraggiosa generazione che “osa” battersi per il cambiamento.

Difret1A sole tre ore da Addis Abeba, Hirut, una ragazzina di quattordici anni, mentre sta tornando a casa da scuola viene aggredita e rapita da un gruppo di uomini a cavallo Hirut riesce ad afferrare un fucile e, nel tentativo di fuggire, spara uccidendo Tadele, ideatore del rapimento nonché suo “aspirante futuro sposo”.

Nel villaggio di Hirut e Tadele, cosi come nel resto dell’Etiopia, la pratica del rapimento a scopo di matrimonio, è una delle tradizioni più antiche e radicate, e la ribellione di Hirut, che uccide l’uomo che l’ha scelta, non le lascia possibilità di scampo. Nel frattempo, ad Addis Abeba, una giovane donna avvocato, Meaza Ashenafi, si batte con tenacia e determinazione per difendere i diritti dei più deboli; tramite l’attività di ANDENET, un’associazione di donne avvocato, offre assistenza legale gratuita a coloro che non se la possono permettere. Obiettivo di Meaza è far rispettare la legge ufficiale del Paese, rendendo così inefficaci le decisioni prese, secondo consuetudine, dai consigli tradizionali popolari.
Meaza viene a conoscenza dell’arresto di Hirut e cerca di farsi affidare il caso per dimostrare che la ragazzina ha agito per legittima difesa e proteggerla quindi dalla vendetta dei familiari del defunto e dal carcere a vita imposto dalla legge.

DifretPur di salvarla, Meaza è disposta a correre il rischio di vedere vanificati i risultati ottenuti fino a quel momento dall’Associazione, e a mettere in gioco il suo stesso futuro.

Meaza Ashenafi nel 2003 è stata insignita del Premio Nobel Africano (The Hunger Projects Prize) per il suo impegno a difesa dei diritti delle donne in Etiopia.

La produttrice Angelina Jolie ha commentato: “quando ho visto DIFRET per la prima volta ho pianto per i primi 20 minuti… ma poi ho sorriso per il resto del tempo, pensando che non vedevo l’ora che il mondo potesse vederlo, perché il film era in grado di provocare un cambiamento”.

“Sono nato e cresciuto in Etiopia – afferma il regista Zeresenay Berhane Mehari – e mi sono trasferito negli Stati Uniti 15 anni fa per studiare cinema all’Università della California del Sud. Dopo la laurea nel 2002, mi sono diviso tra Los Angeles e l’Etiopia lavorando per entrambe le industrie cinematografiche. Negli ultimi dieci anni ho assistito al cambiamento e alla crescita del mio Paese, che avveniva in maniera contrastante. Volevo realizzare un film che catturasse questo mutamento continuo e che mostrasse gli sforzi necessari per il passaggio da una vecchia Etiopia a una nuova Etiopia. DIFRET è diventato “questo film” perché ci pone di fronte a una domanda molto semplice: cosa succede quando tradizioni che si tramandano di generazione in generazione vengono interrotte? Ho risposto a questa domanda raccontando la storia di Meaza Ashenafi, fondatrice di un’associazione legale che ha sfidato una delle più antiche tradizioni etiopi, quella della Telefa. La Telefa è la pratica del rapimento a scopo di matrimonio. È una tradizione accettata in molte parti del Paese e che riguarda oltre il 40% delle adolescenti. Mettere in discussione tradizioni antiche è sempre una sfida. Il passaggio dal vecchio al nuovo non è mai semplice. Causa sempre turbolenze e disorienta. Con questo film spero di aver fatto un po’ di chiarezza, mostrando come, con il venir meno delle credenze nelle vecchie tradizioni, le condizioni di vita delle persone possono migliorare. Capire questa connessione e come può cambiare il modo di rapportarsi delle persone con la tradizione nella vita di tutti i giorni, contribuirà a formare l’Etiopia del futuro”.

“Quando ero piccolo, ero come isolato dagli eventi quotidiani che avvenivano nelle aree rurali” dice Mehari. “Noi avevamo elettricità, acqua corrente, TV, cinema, e via dicendo. I luoghi tradizionali che vedevamo nei film etiopi non erano che immagini remote…”. La sua percezione è cambiata in seguito all’incontro con il procuratore Meaza Ashenafi, fondatrice di una pionieristica organizzazione di assistenza legale per donne, che ha difeso Hirut Assefa dall’accusa di omicidio dopo l’uccisione del suo rapitore e violentatore.

Zeresenay ha conosciuto Meaza nel 2005, mentre lavorava ad un documentario nel suo Paese di origine. “Mi ha raccontato del suo lavoro e di quello che stava facendo e ho capito subito che volevo raccontare la sua storia”. Ricorda Zeresenay: “Mi ha ispirato il pensiero che, solo a poche ore da dove ero cresciuto, la Telefa fosse una pratica comune, non considerata né come una violazione né tantomeno come una violenza”. Il caso di Hirut ha rappresentato il primo dialogo civile aperto sulla tradizione della Telefa ed il suo impatto sulle donne in Etiopia” dice Mehari. “Il fatto che questa storia sia accaduta nel giugno del 1996, un solo mese dopo che avevo lasciato l’Etiopia, me l’ha resa particolarmente importante. Volevo raccontare questa storia al mondo ma anche al pubblico etiope”.

Secondo una legge del 1957, la Telefa era ritenuta un crimine punibile con tre anni di reclusione. Ma la stessa legge prevedeva che, se il rapitore avesse accettato di sposare la ragazza rapita e violentata, non avrebbe dovuto affrontare alcuna accusa penale. Il caso di Hirut Assefa ha galvanizzato l’opinione pubblica e, alla fine, ha motivato il Governo a modificare la legge. Secondo una revisione del Codice Penale del 2004, rapimento e stupro possono ora essere puniti con una condanna fino a 15 anni di reclusione. Questa revisione delle leggi ha anche classificato le violenze di genere e l’infibulazione come crimini, per la prima volta nella storia dell’Etiopia.

difret-posterTuttavia la legge non sempre viene applicata; secondo Mehari, in parte perché nelle zone rurali le stazioni di polizia sono poche e lontane tra di loro, ma anche perché gli abitanti di queste aree spesso preferiscono rifarsi ancora alle leggi tradizionali. “Se i genitori della ragazza andassero alla polizia, allora la legge dovrebbe essere applicata”, dice il regista. “In caso contrario, la polizia o il Procuratore distrettuale non si spingono al punto di incriminare i rapitori. Mi auguro che il film possa contribuire a riaprire il dibattito su come far sì che la legge venga applicata”.

Il film di Zeresenay Berhane Mehari è stato candidato all’Oscar come miglior film straniero per l’Etiopia e arriverà al cinema in Italia, distribuito da Satine Film dal 22 gennaio al Nuovo Cinema Aquila di Roma.

I commenti sono chiusi.