“Fellini ha raccontato La dolce vita, io tenterò invece di raccontare l’amara vita della gente come Rocco”. Così Luchino Visconti, in quella che ha tutto il tono di una dichiarazione programmatica, parlando di Rocco e i suoi fratelli, sponda altra, rispetto ovviamente a La dolce vita: due film, l’uno apriva, l’altro chiudeva il 1960, anno spartiacque, grazie a questi due capolavori, per il cinema mondiale, e per la cultura e la società italiane, scosse da due ritratti che mostravano il volto di un Paese pieno di contraddizioni: “Sono convinto che Rocco e i suoi fratelli apra un nuovo capitolo del cinema italiano”, disse il produttore della Titanus Goffredo Lombardo. Come ha sottolineato Martin Scorsese, anima ancora una volta del restauro di un capolavoro del nostro cinema, “Rocco fa parte della cultura italiana”.
Rocco e i suoi fratelli sarà ora al Festival di Cannes, nella sezione Cannes Classics, domenica 17 maggio, alle ore 18.30 alla Salle Buñel, in una nuova versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, in collaborazione con Titanus, TF1 Droits Audiovisuels, The Film Foundation di Martin Scorsese e GUCCI. Il restauro è realizzato dal laboratorio della Cineteca di Bologna L’Immagine Ritrovata.
Il restauro di Rocco e i suoi fratelli sarà invece presentato in prima italiana al festival Il Cinema Ritrovato, promosso dalla Cineteca di Bologna dal 27 giugno al 4 luglio.
Un nuovo restauro, supervisionato dallo stesso direttore della fotografia del film, Giuseppe Rotunno, che recupera i tagli di censura avvenuti dopo la prima alla Mostra del Cinema di
Venezia nel 1960: in particolare, le due sequenze della violenza di Simone (interpretato da Renato Salvatori) su Nadia (Annie Girardot) e dell’omicidio della stessa Nadia da parte di Simone vengono ora restituite nella loro integrità.
Basato sul libro Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, Rocco e i suoi fratelli raccoglie in realtà molte suggestioni letterarie, dal Thomas Mann di Giuseppe e i suoi fratelli al Dostoevskij dell’Idiota, senza dimenticare naturalmente la grande letteratura meridionalista del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi e Contadini del Sud di Rocco Scotellaro.
Affidato il soggetto (che coinvolgeva anche Vasco Pratolini) alle penne di un super pool di
sceneggiatori (Suso Cecchi D’Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli), Luchino Visconti scelse poi due maestri come Giuseppe Rotunno per la fotografia e Piero Tosi per i costumi.
Il cast va da Renato Salvatori (Simone, il fratello maggiore) ad Alain Delon (Rocco, che Visconti vede come il Myskin dell’Idiota, “il rappresentante più illustre della bontà fine a se stessa”), da Annie Girardot (Nadia, la ragazza che sconvolge le vite di Simone e Rocco) a Claudia Cardinale (Giannetta, sposa di uno dei cinque fratelli, Vincenzo, esempio rassicurante di giovane ragazza capace di replicare il modello familiare meridionale nello spaesamento milanese).
“Salutato alla sua uscita come il ritorno di Visconti al Neorealismo – racconta il direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli –, in effetti non lo fu affatto. Rocco e i suoi fratelli è una tragedia in cinque atti, ognuno dei quali prende il nome da uno dei figli (Vincenzo, Simone, Rocco, Ciro, Luca), è l’esplorazione dei destini individuali dei cinque fratelli Parondi, dove ognuno sceglierà il proprio destino.
Protagonisti prediletti, sono ancora una volta, i vinti, ma qui vinte non sono solo le persone, è una civiltà che sta per essere annientata. Il tema della famiglia che si autodistrugge per una lotta fratricida, che sarà ampliato ne La caduta degli Dei e in parte era presente in La terra trema, è uno dei centri del film e Visconti si occupò prevalentemente del contrasto drammatico fra Rocco e Simone e dell’uccisione di Nadia, svelando tutto il suo talento nelle scene madri, nelle opposizioni violente, nei dialoghi serrati, in particolare quelli trai tre protagonisti, Simone, Rocco e Nadia, personaggi complementari, presenze tragiche, che esprimono costantemente la difficoltà di vivere al
Nord, in una società disumana.
Le scene più riuscite, entrate a far parte del nostro immaginario, sono, come in ogni vero
melodramma, le più impossibili: quella sul tetto del Duomo e quella dell’uccisione di Nadia, dove l’effetto melodrammatico è potente e perfetto. La scena girata sul tetto del Duomo sottolinea la sacralità della rinuncia di Rocco, che successivamente si libererà, si purificherà a ogni combattimento, come un angelo che compie il sacrificio purificatore. Mentre l’uccisione di Nadia, montata in contrasto con un combattimento vittorioso di Rocco, ricorda il finale della Carmen di Bizet (le minacce di don José, il rifiuto di Carmen, la vittoria del torero Escamillo)”.