La seconda primavera arriva il 4 febbraio.

Una ‘Seconda Primavera’ quest’anno arriva in pieno inverno. Al cinema dal 4 febbraio, il film di Francesco Calogero è una storia corale, suddivisa in capitoli che seguono l’avvicendarsi delle stagioni. Quattro i protagonisti e quattro le storie raccontate, ognuna da un differente punto di vista, fino ad arrivare alla “seconda primavera” del titolo, che allude alla rinascita di Andrea, un architetto cinquantenne, interpretato da Claudio Botosso. A sovvertire il suo inverno interiore è l’incontro con la studentessa Hikma, l’emergente Desirée Noferini, una giovane donna somigliante alla moglie Sofia, scomparsa quattro anni prima in circostanze oscure. Dopo essere rimasta incinta del trentenne Riccardo, a cui dà il volto Angelo Campolo, già sposato con Rosanna, interpretata da Anita Kravos, Hikma viene ripudiata dal fratello, un piccolo imprenditore maghrebino, e in un momento così delicato e difficile della propria vita accetta l’ospitalità di Andrea. Nella grande villa al mare, circondata da un giardino indocile e affascinante, Hikma insegna ad Andrea a prendersi cura delle piante, inducendolo così all’impegno e alla dedizione alle cose care. Intanto il rapporto quotidiano con la giovane donna, malgrado la presenza incostante del compagno Riccardo, costringe Andrea a interrogarsi su questioni sopite da lungo tempo: da qui un inconfessato e complesso sentimento nei confronti di Hikma. La seconda primavera della storia rappresenta una nuova stagione di passioni, che segna la rinnovata apertura alla vita di Andrea.

Completano il cast Hedy Krissane, Tiziana Lodato, Gianluca Cesale, Antonio Alveario, Monia Alfieri e Livio Bisignano, con l’amichevole partecipazione di Nino Frassica, che incarna una sorta di deus ex machina, pronto a propiziare gli incontri e favorire la tessitura delle relazioni.

“Quando si accetta il fatto che la morte è una parte della vita, non la si teme più e non si ha paura di qualsiasi altra fine. Ma finché si vive con la paura della morte, si reagisce in modo identico rispetto alla fine di una relazione e, come risultato, l’amore che pure esiste viene pervertito”. Queste parole di Rainer Werner Fassbinder sembrano gettare un ponte – immagine simbolo di questa storia – tra la terra dei vivi e la terra dei morti, avvicinando la morte di un amore alla morte fisica degli uomini, e assimilando la paura di perdere la persona amata. Un’affinità che favorisce il rapporto consolatorio che si instaura progressivamente, fino al classico finale aperto, tra il mite Andrea, che non ha mai superato il dolore per la tragica scomparsa della moglie Sofia, e la sensibile Rosanna, in crisi per la fine della sua relazione con il più giovane Riccardo. È un libro aperto, Andrea. Appare subito un uomo gentile, fin troppo remissivo. La sua personalità, il suo temperamento creativo non sono sufficienti a suscitare in lui reazioni vibranti anche quando ce ne sarebbe bisogno. E se la convenzione vuole che la flemma sia in qualche modo comune a tutti gli uomini soprattutto nell’ultima stagione della vita – ricordando la celebre teoria medievale degli umori – la sensazione è che Andrea, ora cinquantenne, abbia costantemente abitato questa condizione, senza essere mai passato dalle parti del sangue e della collera, proprie della primavera e dell’estate. Ha certo attraversato, come accade a Rosanna, la malinconia autunnale, nell’epoca in cui la sua esistenza è stata segnata dalla morte della moglie, per di più incinta di otto mesi. E accettandone le conseguenze (e i suoi contorni misteriosi) come elementi di un disegno ineluttabile, da allora ha vissuto in un limbo, nella sola compagnia di un invincibile senso di colpa e del conseguente desiderio di espiazione.

Ma tutto cambia con l’arrivo della giovane Hikma: e nell’ormai troppo intricato jardin secret dell’animo di Andrea prende forma un’ardita, inconfessabile sostituzione. Certo un tema classico di ogni arte, che si porta dietro immagini perturbanti di sosia e creature senz’ombra, fantasmi e possessione diabolica (non a caso in passato identificata con la condizione melanconica): come se fosse una reincarnazione, una donna che vive due volte – persino il termine Hikma, che in arabo indica la sapienza, ricalca l’etimo greco del nome Sofia – anche la ragazza è avvinta da fili misteriosi ad Andrea. E al grande giardino, florido finché le cose vanno bene per i suoi occupanti, incolto e ostile nel momento della crisi.

Come dice il regista, parafrasando Thomas Eliot a cui si è ispirato per la sua opera, “finalmente consapevole che al giardino delle rose si accede attraverso la porta che non abbiamo mai aperto”.

Oggetto di ispirazione anche per alcuni dipinti di Magritte (espressamente citati nella scena del museo), Il dominio di Arnheim – celebre racconto di Edgar Allan Poe, che morì alcolizzato, depressio e povero dopo il decesso della moglie – narra di un uomo divenuto improvvisamente ricchissimo che decide di dedicare la propria vita a creare meravigliosi giardini per il giustificato desiderio di guardare la bellezza quotidianamente. Per lui, proprio la creazione di una bellezza nuova, unita alla vita all’aria aperta, all’amore di una donna e al distacco da ogni ambizione, sono le quattro – un numero magico, che percorre in lungo e in largo lo spazio della nostra storia – condizioni per la felicità.

È come se per la prima volta Andrea smettesse di accettare tutto. Capisce quanto possa essere appagante l’intervento concreto, fisico, lui che è abituato solo alla progettazione intellettuale: un antidoto per combattere il veleno che si tiene dentro, invisibile e sottile. E quasi senza rendersene conto, e senza valutare appieno le conseguenze di un sentimento così impossibile, Andrea trova dentro di sé la forza di osare, per modificare il corso degli eventi. La rinnovata serenità è nel premio alle fatiche: alla semina corrisponde, nella stagione giusta, la fioritura. Quella delle viole in particolare, un fiore che secondo la tradizione propizia l’amore, e diventa qui – come nel Sogno shakespeariano, esplicitamente citato – un leitmotiv, amplificato dalla ricorrenza del colore viola (il ponte, il tavolo, il vestito, l’accappatoio), che rimanda sì al lutto, ma pure alla metamorfosi e alla fascinazione erotica.

In questo senso è decisiva per Andrea l’influenza – involontaria e ingenua finché si vuole – della coraggiosa Hikma, che viene da un piccolo borgo di provincia, e ha sempre vissuto a contatto con la natura. Selvaggia e sensuale, è da ascrivere a lei la trasformazione di quel sito – per molto tempo appannaggio esclusivo di Sofia, e adesso abbandonato, a rischio selva – in luogo di cura e guarigione. Se giardino è comunque sinonimo di patimento – vivendo sempre, anche nella stagione più mite, in quell’istato di souffrance ben descritto da Leopardi – quello di Andrea si offre agli occhi di Hikma come teatro dell’incertezza e della rinuncia: ma la ragazza riesce a tirarne fuori la natura magica, a trasformarlo in una dimora rassicurante. Compiuta l’impresa, il suo processo di maturazione non può che completarsi abbandonando il luogo della passata felicità, senza voltarsi indietro. Il motore del distacco è lo scaltro Riccardo, che rappresenta una figura speculare ad Andrea, desideroso com’è di compiere un passaggio inverso, dalla dura realtà di lavori pratici che non lo soddisfano, all’ambizione – ben riposta? – della creatività artistica. Arida, addirittura violenta, resta solo la rappresentazione del mondo che circonda i personaggi, aldilà dell’isola felice costituita dalla villa sul mare: in una città – nella fattispecie Messina, ma la realtà che irrompe qua e là è comune a molte città italiane, specie nel Sud – che si mostra irrimediabilmente ferita dalla speculazione edilizia, soggetta all’arroganza dell’abusivismo e dei condoni, dilaniata dalle auto e dai mezzi pesanti che l’avvelenano. Nel frattempo, s’impoverisce e s’isterilisce sempre più: i negozi falliscono, i cinema si trasformano in supermercati, i musei sono deserti. Ma il difficile destino lavorativo di Andrea è destinato a mutare, nel finale: se per una volta a trionfare non è la furbizia e il malaffare, ma il vero valore degli uomini, questo lascia la speranza per l’arrivo di una nuova stagione…

“Già, le stagioni – afferma il regista -: la divisione in capitoli evidenzia non solo come il nostro modo di attraversare la vita naturalmente cambi col passare degli anni, ma anche come possa essere mutevole la nostra capacità di interpretazione di una realtà che è spesso contraddittoria, e soggetta al gioco del fato. Vedi la notte di San Silvestro, fondamentale per le vite dei personaggi, che viene raccontata in maniera nervosa e frammentaria – come lo stile letterario adottato da Riccardo, come solo i ricordi sanno essere – per quattro volte, da ottiche diverse, con piccole contraddizioni e sovrapposizioni. In contrapposizione con il presente, rappresentato in maniera più classica – a parte alcune soggettive ad aprire e chiudere i capitoli, separati da ellissi talvolta ardite – seguendo il punto di vista dei personaggi, che muta a ogni stagione. Fino alla sezione eponima, in cui il racconto procede come a due voci, mettendo in contrasto due diverse visuali: da un lato la fatuità di Hikma, ad onta degli affanni sempre nella primavera della vita, dall’altro il rinnovato vigore con cui Andrea affronta la delicata situazione in cui è venuto a trovarsi. Un’autentica seconda primavera”.

Il film, che si avvale dell’apporto artistico di Giulio Pietromarchi alla fotografia, Mirco Garrone al montaggio e Sandro Di Stefano per la musica originale, è stato presentato in anteprima al XXVI Trieste Film Festival, in competizione al Premio Corso Salani. Girato interamente in Sicilia, Seconda Primavera è prodotto da Polittico con la collaborazione di Sicilia Film Commission – Assessorato Turismo Sport e Spettacolo della Regione Sicilia, Regione Lazio – Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo, in associazione con Università degli Studi di Messina, Argo Software e Agriplast e con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Messina. La distribuzione nazionale è affidata a Mariposa Cinematografica.

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