Room, l’amore non ha barriere.

Arriva al cinema dal 3 marzo, dopo l’Oscar alla protagonista femminile Brie Larson, ‘Room’ il film di Lenny Abrahamson basato sul bestseller di Emma Donoghue, presentato alla Festa del Cinema di Roma.

Ricco di suspense e profondamente commovente, Room è un’esplorazione unica e toccante dell’amore sconfinato tra una madre e suo figlio. La straordinaria storia di Jack (Jacob Tremblay in una performance straordinaria), un bambino vivace di 5 anni che viene accudito dalla sua amorevole e devota Ma’ (Brie Larson). Come ogni buona madre, Ma’ fa di tutto affinché Jack sia felice ed al sicuro, ricoprendolo d’amore e calore e passando il tempo a giocare e raccontare storie. Room Brie LarsonLa loro vita però, è tutt’altro che normale – sono intrappolati- confinati in uno spazio senza finestre di 3 metri x 3, che Ma’ eufemisticamente chiama “Stanza”. All’interno di questo ambiente Ma’ crea un intero universo per Jack, e fa qualsiasi cosa per garantire al figlioletto una vita normale ed appagante anche in un luogo così infido. Ma di fronte ai crescenti interrogativi di Jack circa la loro situazione, e la ormai debole resistenza di Ma’, decidono di mettere in atto un piano di fuga molto rischioso, che potrebbe metterli però di fronte ad una realtà ancora più spaventosa: il mondo reale. Fanno parte del cast di Room anche l’attrice tre volte candidata all’Oscar Joan Allen e il candidato all’Oscar William H. Macy.

Con una narrazione che alterna sensazioni di prigionia e libertà, un viaggio fantasioso nelle meraviglie dell’infanzia, ed un profondo ritratto del legame familiare e della forza d’animo, Room è una straordinaria esperienza trascendentale. Il regista Lenny Abrahamson, rimanendo fedele al romanzo ha dato al singolare mondo di Jack e Ma’ una versione cinematografica intensa ed emozionante.

La storia di Room ha già commosso critici e lettori quando il libro della Donoghue ha preso d’assalto la scena letteraria nel 2010, ed è stato considerato non solo un bestseller molto popolare, ma giudicato immediatamente un classico moderno. In parte favola, in parte thriller, il libro affronta i temi della prigionia e della liberazione, dell’ isolamento e del ricongiungimento, e di come creiamo e percepiamo il mondo. Ma è anche una celebrazione innegabile dell’amore dei genitori e della loro forza d’animo, approfondendo gli elementi vitali ed il superamento della disperazione proprio nell’ambito del legame tra genitori e figli, come nessun altro romanzo ha mai fatto. Per di più, poche storie hanno avuto uno straordinario narratore come Jack, un bambino esuberante di 5 anni che non ha mai visto il mondo che tutti conosciamo, al di fuori del luogo che chiama Stanza.

Jack non ha mai sentito il vento, né la pioggia, non ha mai conosciuto una sola anima diversa da Ma’. Non sa che sua mamma lotta per sopravvivere nella loro Stanza da quando aveva 17 anni. Invece, il suo amore infinito e l’idea di benessere che ha rivolto al figlio, lo hanno eluso dai pericoli, lasciandogli dare spazio alla curiosità, all’affetto, ed all’intrepida esplorazione del mondo umano.

Per Jack i confini oltre la Stanza sono vissuti come un mondo di fantasia: ma è un mondo destinato a crollare quando Ma’ gli propone un piano di fuga audace per mettere piede nel mondo esterno … con tutte le relative incognite che rappresenta. Il divario tra questi due mondi opposti – quello fatto d’amore-gioco-e Ma’ noto a Jack, ed il mondo esterno, che inconsciamente li spaventa – fa emergere il fulgore di Room.

Secondo il New York Times il libro “parla di amore in modo assolutamente unico, offrendo per tutto il tempo al lettore un aspetto nuovo e più ampio della realtà in cui viviamo”. Il rinomato scrittore Michael Cunningham afferma: “Room è la più rara delle entità, un’opera d’arte del tutto originale. Lo considero il più alto elogio di fronte l’impossibilità di poterlo paragonare a qualsiasi altro libro. Mi basti dire che è potente, dannatamente bello, e rivelatore”.
Il libro è stato oggetto di una pioggia di offerte, essendo di fatto diventato quello più letto della stagione, passando tra le mani di amici e parenti, e raccogliendo premi e riconoscimenti compresa l’entrata nella rosa dei candidati per il prestigioso Man Booker Prize. Naturalmente tutta questa attenzione ha inevitabilmente portato a considerare la sua trasposizione cinematografica. Ma avrebbe mai potuto una storia così intimamente esilarante, iniziata come un dispaccio nel regno illimitato, amorevole, e spontaneo della testa di un ragazzino, essere re-immaginata come un’ altrettanta potente esperienza visiva? Solo la Donoghue, autrice del romanzo, e l’impavido e creativo regista Lenny Abrahamson, affiancati da un cast ristretto ma impegnato hanno dato la risposta a questa domanda.

Avendo scritto il suo romanzo così meticolosamente, Emma Donoghue era forse la migliore candidata sulla terra per rimodellare Room in modo viscerale, offrendo un’esperienza visiva che abbraccia il libro, ma che al contempo rapisce quella fetta di pubblico ignaro della trama. Eppure, è raro per gli autori creare l’adattamento dei propri bestseller per il grande schermo; e la Donoghue non aveva alcun credito cinematografico accanto al suo nome quando è stato pubblicato. Così la scrittrice ha deciso, proprio mentre stava scrivendo il romanzo, di iniziare preventivamente un suo personale adattamento.

“Ho sempre pensato che Room sarebbe potuto diventare un film, perché la trama aveva uno slancio naturale, anche se ero consapevole che solo un regista estremamente intelligente avrebbe saputo come portarla in vita”, dice la Donoghue. “Quindi, durante la scrittura del romanzo, addirittura prima della sua pubblicazione, ho iniziato a lavorare sulla sceneggiatura. Ho pensato: ‘E’ questo il momento perfetto per scrivere il film, senza interferenze – consolidando in un certo senso il potere sulla proprietà. Poiché non avevo esperienza come sceneggiatrice, ho anche pensato che avere un progetto pronto da mostrare appena nata l’idea, mi avrebbe messo in una posizione più forte. Gli scrittori sono spesso tormentati dalle incertezze, ma fin dall’inizio con Room, ho sempre avuto istinti chiari e forti”.

Infatti, come suggerito dai suoi istinti, presto si è avvicinata la proposta per un film, che non ha colto la Donoghue impreparata. Era elettrizzata, più che trepidante. “Jack stava per avere una fisicità, non era più solo una coscienza”, riflette.

Jack e Ma’ sono entrati nella mente della Donoghue inaspettatamente. L’autrice ha scritto una serie di fortunati romanzi, diverse collane di racconti e opere di biografia letteraria, ma niente di tutto ciò presagiva la vasta popolarità di ROOM. Un giorno, la mente della Donoghue ha preso direzioni sorprendenti in seguito alla straziante storia vera di Elisabeth Fritzl – una ragazza austriaca imprigionata per 24 anni in un seminterrato dal padre violento. Durante quella prigionia, la Fritzl ha dato alla luce molti bambini, alcuni dei quali sono cresciuti assieme a lei in quella camera stagna. La Donoghue non era granché interessata alle lusinghe più convenzionali della storia: i luridi crimini commessi contro la Fritzl o il fascino culturale verso i criminali psicotici. Lei è stata attratta da questioni più grandi e sostanziali, relative alla natura umana e la resistenza umana, che quella strana maternità e la sopravvivenza della Fritzl hanno fatto sorgerle: Cosa farebbe un genitore in una stanza chiusa a chiave? Come si poteva sperare di crescere al meglio un bambino completamente rimosso dalla società fin dalla nascita? Che cosa sarebbe accaduto una volta emersi nella vita moderna dopo aver vissuto in disparte molti anni della propria esistenza?

Room_1sht_ITALe basi metaforiche di Room sono turbinose e vaste – ogni svolta della storia sembra ripercuotersi sui misteri della vita stessa: sulla meravigliosa, tormentata segretezza dell’infanzia; sugli istinti primordiali di protezione della condizione di genitore; sulla voglia di dare un senso al di là di qualunque cosa noi siamo. La Donoghue dice: “E’ stato un modo di portare all’estremo il rapporto genitore figlio attraverso le esperienze quotidiane – per esplorare l’intero arco di emozioni che entrano in gioco in questo essenziale, a tratti folle, dramma della nostra vita”.

L’oscurità del libro viene compensata da un sottofondo di amore – disordinato, imperfetto, oppressivo, infinito. Dice la Donoghue: “Una delle idee che si celano dietro ROOM, è che i bambini hanno la tendenza naturale a crescere. Finché sono ricoperti d’amore e d’affetto, anche se in circostanze oscure o incomprensibili, si adattano, trovano un modo per star bene e crescere”.

Questi temi sono centrali anche nella sceneggiatura. Ma la Donoghue era profondamente consapevole che il film richiedeva una immediatezza che un romanzo non ha, così si è avvicinata alla sceneggiatura come una creazione indipendente seppur attinente ad esso. Mentre la voce di Jack attira lentamente i lettori nel libro, la Donoghue voleva che il film seguisse una nota più propulsiva, mostrando da subito al pubblico la vita che Ma’ e Jack stanno vivendo nella Stanza.

“L’entusiasmo del lettore aumenta man mano che tutti gli indizi lentamente si mettono assieme fornendo un quadro generale della situazione, mentre invece sapevo che per un pubblico cinematografico, la storia doveva avere un andamento veloce”, afferma la Donoghue. “Non ho voluto usare molta voce fuori campo. E’ stata la scelta più scontata, ma davvero non volevo ricadere sull’ovvietà o sul riferimento letterario. Volevo piuttosto aprire il film con la descrizione della vita della madre ed il figlio all’interno della Stanza. Solo in un secondo momento abbiamo aggiunto il voice-over – senza però utilizzarlo per spiegare che cosa stava accadendo o per intensificare l’emozione. Invece, spesso irrompe nel bel mezzo della scena, un contrappunto tra ciò che pensa Jack e cosa succede all’esterno”.

Per mantenere lo spazio fisico della Stanza senza apparire troppo soffocante al pubblico, la Donoghue l’ha divisa in zone interconnesse, ognuna delle quali sembra enorme nell’immaginazione di Jack. Dice: “Ho fatto del mio meglio per creare diversi sotto-spazi – quello sotto il letto, nell’armadio e nel bagno. Non ho mai voluto dare la sensazione di essere in prigione, ma esiste parecchia gente che ha vissuto in spazi ristretti – detenuti o mistici – che hanno creato mondi vastissimi nelle loro menti. La Stanza ai nostri occhi appare lurida, ma per Jack è semplicemente la sua casa.

“Forse il più grande enigma dell’adattamento è stato come contrastare la vita all’interno della Stanza che appare nella prima metà del film, con il totale sovraccarico sensoriale della vita esterna nella caotica ma redentrice seconda parte. Anche se può sembrare che la battaglia di Ma’ e Jack è finita, risulta chiaro fin da subito che la loro libertà richiederà tanto più coraggio per Ma’ e Jack di quanto ne abbia richiesto la Stanza. Pur tentando di affrontare questa prova difficile, devono seguire un’ardua fase di adattamento, superandone delle altre. “Nella Stanza, pur costretti nei limiti di spazio e di possibilità, regna una sorta di magia contornata dall’umorismo di una madre e del suo bambino nella loro vita quotidiana”, osserva la Donoghue. “La seconda parte della storia è diversa, ma ritengo dia al film la sua universalità. Non tutti abbiamo sperimentato la prigionia, ma tutti abbiamo passato i momenti di crescita con i nostri genitori, i momenti in cui ci siamo resi conto del cambiamento. Jack impara a conoscere nuovi lati della personalità della madre. Nella Stanza si è concentrata solo su di lui, e deve essere assolutamente snervante ora doverla condividere, e notare la differenza quando è a contatto altre persone”.

La vita di Ma’ è completamente diversa da quando ha lasciato la Stanza. Non solo deve fare i conti con i disturbi della sua gioventù che ha lasciato alle spalle, ma deve affrontare un vortice mediatico, l’assalto dei giornalisti che la dipingono come un’eroina materna, per poi buttarla giù, come da copione. In mezzo a tutto ciò, lotta con forza per dare un senso a sé stessa, e per riavvicinarsi a Jack in modo nuovo.

“Sapevo che il film avrebbe tirato fuori perfettamente l’aspetto mediatico della storia, perché il pubblico che segue la vicenda di Jack e Ma’, nasconde un aspetto voyeuristico”, osserva la Donoghue. “La cosa più difficile per Ma’ è che è stata considerata una sorta di icona della maternità dagli altri, eppure in cuor suo sente che il rapporto che aveva con Jack nella Stanza le sta scivolando via”.

Non appena la Donoghue ha visto la sua storia trasformarsi in carne ed ossa sul set, è rimasta totalmente affascinata – soprattutto perché il cinema è una forma di narrazione generata dalla collettività. “Un romanzo è un nostro piccolo mondo privato”, puntualizza, “mentre un film è frutto del lavoro di squadra. Si può facilmente sopravvalutare o presumere il potere delle parole anche in un film come questo, perché il risultato finale è dato tanto dall’atmosfera e dalle interpretazioni, che dai dettagli e dalle sfumature che Lenny e questo eccezionale cast artistico e tecnico hanno apportato a tutti i livelli. Sebbene io prediliga l’autonomia dello scrivere per conto mio, questa esperienza è stata una grande gioia per me”.

Il ruolo della donna nota a Jack semplicemente come Ma’, passa da trionfi materni ad agonie, dalla paura ed il rammarico al timore ed all’amore incrollabile. Tutto questo è avvenuto nell’interpretazione grintosa e concreta di Brie Larson. E’ diventata un’attrice drammatica nel 2014 con il suo ruolo di consigliere teenager in Short Term 12, e di recente ha mostrato la sua versatilità nella parte dell’antagonista di Amy Schumer nella commedia “Un Disastro di Ragazza” (Trainwreck). Ma ovviamente non aveva mai fatto nulla di lontanamente simile a Ma’.

La Larson si è avvicinata a Ma’ con estremo impegno, non lasciando nulla di intentato – dall’alterare il suo fisico a condurre un’intensa ricerca psicologica sul confinamento – nel suo tentativo di rendere giustizia a chi è Ma’, a ciò che ha vissuto nella Stanza ed a come concentra tutte le sue energie per il futuro di Jack. Sapeva che parte del suo compito era quello di incarnare le contraddizioni proprie di Ma’. Da un lato, doveva mostrare il alto acerbo di Ma’, una ragazza a cui è stata rubata la sua vita promettente, costretta a costruirsi una corazza emotiva per sopravvivere. Ma d’altro canto doveva evidenziarne il coraggio, e la sua devozione assoluta a far crescere bene Jack, ovunque si trovasse – una parte di lei che ha molto ammirato.

“Non credo che Ma’ si aspettasse di uscire dalla Stanza”, afferma la Larson. “Sapeva che la speranza avrebbe potuto ingannarla. Ma penso che volesse fortemente che Jack uscisse. La pianificazione della fuga di Jack, è stato un gesto d’altruismo. Era convinta che il piccolo ce l’avrebbe fatta, ma non penso che abbia mai creduto che sarebbe uscita anche lei, e che avessero un’altra possibilità di vita e di potergli fare da madre”.

La Larson ha iniziato una scrupolosa preparazione mentale e fisica per immedesimarsi nella realtà di Ma’ nella Stanza. In primo luogo, ha iniziato ad allenarsi e si è messa a dieta raggiungendo una tale magrezza che contava solo il 12% di grasso corporeo.

“Questo processo fisico ha influito sulla mia personalità”, dice. “Mi sentivo più aggressiva, una combattente, ed allo stesso tempo ero affamata ed esausta: era così che doveva sentirsi Ma’ dopo anni di prigionia con una quantità di cibo appena sufficiente”.

Allo stesso tempo, ha iniziato a condurre una vita più solitaria, limitando tutte le relazioni sociali, per avvicinarsi più facilmente allo scioccante stato emotivo e spirituale di Ma’. Quando si trovava inevitabilmente in giro per strada, la Larson ha dovuto spalmarsi una crema ad alta protezione per evitare i raggi solari.

“Volevo comprendere appieno lo status di Ma’ dopo aver passato così tanto tempo nella Stanza”, spiega la Larson. “Penso che lei abbia vissuto delle ondate – di panico, di rassegnazione – e immagino che per la maggior parte del tempo si sia annoiata per la routine e la monotonia. Quindi, per simulare tutto questo, sono rimasta a casa per un mese, e sono uscita solo per andare in palestra. Non ho avuto molti contatti col mondo esterno, e soprattutto mi sono riparata dal sole poiché Ma’ non si è esposta ai raggi solari per tanti anni”.

Il senso di totale e devastante solitudine ha aiutato la Larson a capire come Ma’ abbia trovato il coraggio quasi folle di credere nel futuro di Jack. Per saperne di più sulla psicologia del trauma, e dei suoi effetti sconvolgenti sull’identità, la Larson ha trascorso del tempo con il dottor John Briere, un professore di psichiatria presso la USC, esperto in traumi dell’adolescenza.

“Quel che ho imparato da lui è che per sopravvivere il cervello spegne una parte della nostra consapevolezza. Quindi all’interno della Stanza, Ma’ spegne delle parti di sé stessa per sopravvivere e anche per essere una mamma perfetta per Jack. Ma quando esce dalla Stanza, si rende conto che tutta la parte che ha spento si sta riaccendendo”, dice. “La cosa assurda è che il tutto avviene nella sua mente quando si trova fisicamente al sicuro. Ho sempre avuto l’impressione che Ma’ inizi veramente a realizzare quello che è successo nella Stanza nel momento in cui ne è fuori”.

Il processo per diventare Ma’ è continuato. Quando lo scenografo Ethan Tobman ha consegnato alla Larson alcune cornici vuote che intendeva inserire nella vecchia camera da letto di Ma’, le ha riempite come avrebbe fatto una diciassettenne totalmente ignara della Stanza, di Jack o qualsiasi evento che ne è susseguito. “Riempire quelle cornici è stato incredibile per me – era come descrivere la personalità si Ma’ prima che finisse nella Stanza”, dice.

Quando Ma’ torna inaspettatamente nella sua vecchia camera da letto, che è rimasta come un museo della sua gioventù – quella che ha perso – la Larson voleva vivere quel momento con effetto sorpresa. “Non volevo vedere la camera da letto fino a quando entravo in scena. La prima volta che Ma’ la rivede, è stata anche la mia prima volta – e dato che Ethan ha scelto una serie di elementi che parlavano della mia infanzia, mi sono emozionata”.

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