SCREAM QUEENS, la serie più folle e delirante fra quelle create da Ryan Murphy, il re Mida della tv, (Glee, American Horror Story, Il caso O.J.Simpson e fra poco l’attesissima Feud), torna con la seconda stagione dal 27 gennaio il venerdì alle 21:00 su FOX (Sky 112). In questa nuova stagione, l’azione si sposta dal campus universitario a un ospedale, nel puro stile comedy horror che caratterizza la serie.
La rettrice Munsch (Jamie Lee Curtis) è diventata una scrittrice femminista di successo e ha comprato un ospedale per trasformarlo in una struttura dedicata a casi non proprio ordinari, come una donna affetta da ipertricosi (una sorta di donna scimmia).
Per aumentare le presenze femminili nello staff, Munsch decide di accettare come studentesse di medicina le tre Chanel sopravvissute al massacro della prima stagione, che tornano in nuovamente in pista, sempre superficiali, egoiste e ossessionate dal glamour. Sono state diseredate dalle loro famiglie e ora devono lavorare come infermiere per riuscire a mantenersi. Inizialmente tutto sembra andare bene, ma una presenza oscura legata al passato dell’ospedale si aggira nei corridoi…
Nelle vesti delle Chanel (fuor di metafora, anche in ospedale regna il macramé) ritroviamo la brillante Emma Roberts, nipote di Julia, e Abigail Breslin (la bambina prodigio di Little Miss Sunshine) nonché la figlia di Carrie Fisher, Billie Lourd (la vedremo presto in Star Wars: L’ultimo Jedi) il suo personaggio porta sempre un paio di paraorecchie in omaggio all’iconica capigliatura della principessa Leila.
In questa nuova stagione si aggiungono due veri sex symbol come Taylor Lautner (il licantropo di Twilight) e John Stamos (Gli amici di papà, General Hospital, E.R., The New Normal) e la “mitica” Kirstie Alley (Senti chi parla, Cheers).
Scream Queens mescola i generi con sapienza, dall’horror alla commedia adolescenziale americana, al thriller vero e proprio. Il riferimento più evidente è nell’arte e la cultura camp, come ricordava bene Susan Sontag in un famoso saggio: “benché sembri a prima vista la stessa cosa del kitsch, il camp se ne differenzia per il fatto di essere intenzionale, cioè di godere intenzionalmente del trash, dell’eccesso, dell’esagerazione, gustandoli quasi fossero categorie estetiche a sé”.