Il primo Re, ante urbem conditam

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Il più grande impero che la storia ricordi è nato da una leggenda. Matteo Rovere porta al cinema un film epico sulla storia di Romolo e Remo, due fratelli che sfidano il volere implacabile degli Dei da soli, in un mondo antico e ostile. Dal loro sangue nascerà la città eterna. Alessandro Borghi è Remo, il Primo Re, e Alessio Lapice è Romolo, il fondatore di Roma.

“La leggenda di Romolo e Remo, pur lontanissima nel tempo, ha qualcosa di molto vicino a noi – afferma il regista Matteo Rovere -. È una materia solo apparentemente semplice, lineare, ma che racchiude in realtà un’enorme quantità di simboli e significati, che fondono l’origine della nostra civiltà con qualcosa di intimo e insieme complesso, ineffabile forse, ma che sicuramente guarda dentro tutti noi. La prima difficoltà è che questo mito fondativo (che si pensi a Livio, a Plutarco o a Ovidio) è una storia narrata molto tempo dopo. Un mito appunto, e l’etimologia di mito, mythos, significa in primo luogo racconto, non la storia dunque, ma un racconto costruito ex post, donatore di senso per chi lo ha elaborato”.

“Con gli sceneggiatori – prosegue Rovere – abbiamo quindi approfondito questa narrazione così antica, tentando di interrogarla, cercando gli elementi maggiormente ricorrenti: due fratelli gemelli, Albalonga, un tradimento, un cerchio sacro, un segno degli dei. Abbiamo studiato il racconto leggendario e il contesto, facendoci conquistare dallo strapotere della natura sulle esistenze umane: trenta o più tribù separate nel basso Lazio, e l’effetto dirompente di un uomo che porta una visione in grado di unificarle; una città che custodisce il fuoco, e il fuoco che incarna Dio. Così facendo il mito ha iniziato a muoversi sotto i nostri occhi, a interrogare dalla sua matrice più arcaica un nodo dell’Occidente, il nostro rapporto con il silenzio violento, inquietante, inquisitore di Dio. Siamo noi in grado, da soli, di reggere il peso delle nostre esistenze? Questo racconto apparentemente semplice ci ha ricondotto a un dilemma primario, viscerale: cosa prediligere nella vita, la sopravvivenza del nostro gemello, ovvero della parte più intima di noi, o la sottomissione a un potere più grande, poiché non tutto ci è dato di sapere? Le nostre vite ci appartengono fino in fondo? È amore o hybris quella che ci fa pensare di poter essere noi gli artifici del nostro destino? Abbiamo iniziato a far rimbalzare gli elementi l’uno sull’altro perché la storia interrogasse il mito e il mito tornasse a svelarci la sua potenza primordiale, parlasse all’oggi, ci raccontasse la radice oscura e dolorosa di un atto così potente come la fondazione del più grande impero di sempre. Due gemelli, dunque, l’uomo e il suo doppio. Il fuoco sacro che unisce, ma chiede sacrificio. L’uomo e Dio. Il vaticinio, e quello che ne deriva: sottomissione al destino o libero arbitrio? Romolo ha la capacità di compiere un atto empio, rubare il fuoco, ma un atto che allo stesso tempo riesce a far muovere il Dio dalla sua inesorabile immobilità, portandolo nel mondo, è un atto folle che sposta il potere dalla violenza alla persuasione. Perché tutto questo si rivelasse con la più grande potenza emotiva, è stato necessario che la narrazione ruotasse su se stessa e assumesse un punto di vista nuovo, quello che più mi interessava, quello dello sconfitto, di Remo, di colui che ama suo fratello più di ogni cosa. Remo è colui che reca il dilemma eterno: è più divino chi si ribella al Dio per difendere l’amore, o il Dio che quell’amore chiede di sacrificarlo?”.

foto-il-primo-re-1-highUn progetto ambizioso; Rovere si misura con qualcosa di estremamente complesso. Una scommessa difficile sin dalla costruzione del piano finanziario, circa nove milioni di euro, per un progetto con una dimensione internazionale, che potrebbe avere successo nei paesi anglossassoni ‘affamati’ di questo genere.

“La nostra idea – racconta Matteo Rovere – per “Il Primo Re” era seguire la regia nell’impostazione di un film realistico, analogico, fatto di sequenze riprese con luce naturale ma anche tecnicamente complesse, con un uso limitato dei VFX. Le maestranze del nostro cinema si sono rivelate in questo straordinarie, non a torto riconosciute tra le migliori del mondo. Le immagini (il film è girato in formato anamorfico con lenti Zeiss arrivate appositamente dal Belgio) sono figlie di un’impostazione estetica e scenografica coerente con il periodo raccontato: abbiamo lavorato con archeologi e storici, che insieme ai linguisti e ai semiologi hanno supportato il progetto con l’obiettivo comune di creare una narrazione moderna, composta però da elementi storicamente attendibili”.

“Il mondo de “Il Primo Re” – conclude il regista – è un mondo che andava costruito interamente. Ogni decisione presa, ogni scelta fatta, è stata il frutto di un enorme lavoro sia tecnico che su me stesso e sulla mia idea di cinema. Avevo una responsabilità complessa ma anche un gruppo di lavoro straordinario, composto dalle più grandi eccellenze italiane, animate in più da uno straordinario desiderio di mettersi in gioco in questa sfida, per dimostrare una volta ancora che il nostro cinema vive sempre di più dentro una gabbia, una gabbia con sbarre invisibili, che si vedono solo quando tentiamo di aprirle”.

Uno dei punti forti del film è la recitazione del protagonista, Alessandro Borghi, ma anche il paesaggio che non è solo la cornice delle vicende ma è un elemento imprescindibile con cui i personaggi devono confrontarsi, a tal punto da diventare personaggio esso stesso: complice, nemico o divinità a seconda delle circostanze.

Il legame che c’è tra gli ambienti naturali e le popolazioni del tempo, basato sulla necessità terrena della sopravvivenza, è così forte che coinvolge anche tutta la sfera spirituale e diventa elemento fondante delle religioni pagane dominanti. Anche la mitologia e i simboli chiave della leggenda della nascita di Roma non prescindono dalla natura, siano essi il fuoco sacro di Vesta, il fico ruminale, la lupa o il Tevere, per citare i più noti. Proprio il fiume e le zone paludose dove esso esonda sono la culla della storia e punto nevralgico in cui essa si articola. La natura è fonte di cibo e sopravvivenza, rifugio ma anche ostacolo da superare e piegare alle proprie esigenze. Le intemperie si abbattono sui corpi spesso malconci dei protagonisti come nuovi colpi che causano ferite. Lo sporco, la fatica, il fango e il sudore sono onnipresenti.

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Il film è girato in lingua protolatina e sottotitolato in italiano. Un’estrema accuratezza scientifica è riscontrabile non solo nell’utilizzo della lingua scelta dalla produzione, ma anche nella realizzazione del materiale di scena. Esatta è la riproduzione dell’equipaggiamento bellico utilizzato nelle scene di combattimento corpo a corpo. Tra i manufatti duplicati spiccano soprattutto la spada ad antenne e il cardiophylax. La prima, così denominata per la particolare forma spiraliforme dell’impugnatura, era utilizzata da alcuni popoli italici dell’età del Ferro e costituiva l’elemento distintivo del guerriero. Il secondo, invece, era una corazza formata da una piastra metallica (dal profilo circolare o quadrato) che, legata con delle strisce di cuoio, era posta a protezione del cuore. Fedeli alle ricostruzioni archeologiche sono anche le diverse capanne, fulcro dell’attività umana nel villaggio, costruite con materiali deperibili: pali di legno per la struttura portante, canne palustri per il tetto, o rivestite d’argilla quando usate per le pareti. Coerente al racconto di alcune fonti antiche è anche l’istituzione, ad opera del primo re di Roma, del collegio delle vergini vestali. Le sacerdotesse erano consacrate alla dea Vesta e, per trenta anni, avevano l’obbligo di mantenere sempre vivo il fuoco sacro, simbolo del focolare domestico e del benessere dello Stato. Da un punto di vista antropologico, un altro aspetto coerente dell’opera sta nell’aver scelto di raccontare, seguendo il mito, la realtà “caotica” e ferina che precede la fondazione dell’Urbe, dove la nascita di Roma si ascrive come un evento che stabilisce un ordine fondato sul rispetto delle leggi divine, poste alla base della costruzione politica del potere. Tale evento è rappresentato allegoricamente nel mito attraverso la lotta tra i due fratelli: Remo, pur primeggiando per vigore fisico, soccomberà alla forza dei sentimenti di devozione religiosa e di compassione per il prossimo espressi da Romolo, come spesso riportato dalle fonti di età imperiale. In conclusione, “Il Primo Re” si rivela un’opera non solo destinata all’intrattenimento, ma anche un’utilissima fonte per gli accademici, unica nel suo genere, di trasmissione del sapere con importanti finalità didattiche e divulgative.

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