Per avere un’immagine immediata e simbolica del legame tra Pompei e Santorini (Thera), tornando infine ai giorni nostri, possiamo immaginare l’uroboro. Un simbolo primitivo trasversale a molte culture, di etimo forse ellenico (οὐροβόρος) raffigurante un serpente che si morde la coda. Metaforicamente rappresenta l’energia universale nell’interezza del suo ciclo di vita, dall’alfa all’omega e dall’omega all’alfa.
Quel legame è tangibile nella mostra in corso, fino al prossimo 6 gennaio, alle Scuderie del Quirinale “Pompei e Santorini, l’eternità in un giorno” consentendo allo spettatore un parallelismo che si sussegue nel percorso espositivo e lo coinvolge, anzi, lo costringe a immergersi in una dimensione dove la vita quotidiana appare sepolta dalla morte come fotografata.
Ma sotto le ceneri, simbolo cristiano della fine, in realtà si cela la resurrezione di quel materiale artistico, oggi da noi ammirabile intatto in tutto il suo splendore. Affreschi, anfore, collane, gioielli, ma anche calchi di uomini, animali e piante carbonizzati e quindi nella loro tragedia inghiottiti dall’eternità.
Un eterno ritorno nei luoghi, dove il comun denominatore della bellezza attrae i visitatori a Pompei dagli anni dei Grand Tour e altro non è che lo stesso di quelli che visitano l’antica Thera, già nota come “Kallisté”, ovvero la bellissima.
Lì c’era Akrotiri (Ακρωτήρι) la “Pompei dell’Egeo“ sepolta da lapilli, lava e cenere fuoriusciti dall’eruzione vulcanica del 1628 a.C. Nel 1967, grazie agli scavi voluti dall’archeologo Spyridōn Marinatos, che sette anni dopo muore nel sito, è iniziata a tornare alla luce e al suo splendore quel luogo che alcuni hanno identificato come la città di Atlantide del mito di Platone.
Nell’esposizione si possono ammirare splendidamente conservati affreschi e altri oggetti ornamentali, ma soprattutto strumenti che testimoniano il lavoro quotidiano e la raffinatezza della civiltà minoica di Thera, su tutti lo sgabello decorato con i delfini. Ma anche le testimonianze pittoriche lasciano l’osservatore esterrefatto, in particolare il quadro del pescatore che pare essere stato catapultato tramite una macchina del tempo a oltre tremila anni di distanza. E percorrendo la mostra si ha la sensazione di trovarsi in uno spazio atemporale meraviglioso.
L’allestimento dedicato a Pompei, se possibile, è ancora più emozionante non solo per la ricostruzione di interi ambienti dell’epoca, ma soprattutto perché a differenza di Thera, la città era completamente viva e animata, prima dei essere sepolta dal vulcano e imprigionata nella storia. La raffinata argenteria da banchetto e i triclini, i fichi, le reti da pesca o i pigmenti color rosso pompeano e lapislazzulo ci ricordano a ogni sguardo la vita recisa dall’attimo dell’esplosione.
La magia di Pompei porta il genio di Adrian Maben a far incidere ai Pink Floyd, dal 4 al 7 ottobre del 1971, “Live at Pompei”. L’atmosfera delle rovine al tramonto nell’immensità dell’anfiteatro non lascia immune la band che inscena in quei giorni uno spettacolo che riporta e riporterà per sempre l’incantesimo di Pompei nei cuori di coloro che sono innamorati delle musica del leggendario gruppo inglese.
Infine, non va trascurata selezione di arte moderna e contemporanea inserita nella mostra che tramite le opere di Hirst, Op de Beeck, Gormeley, Wharol ripropone l’attualizzazione della catastrofe e della morte ai giorni nostri.
Anche se l’opera esposta che meglio rappresenta la sintesi tra l’esplosione vulcanica e l’esposizione è il “Cretto nero” di Burri, che già in occasione di un altro fenomeno naturale devastante ovvero il terremoto a Gibellina dice riguardo la creazione della sua opera “Grande Cretto Bianco”: “compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento”.
Il perenne ritorno di quei tempi e degli uomini che hanno vissuto quei luoghi e che ora pare rivivere nelle sale delle Scuderie del Quirinale, come ha scritto Nietzsche: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo… l’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!”.