L’insostenibile leggerezza dell’arte-fiera

Nella Bologna pre medievale “fĕria” indicava il giorno festivo, la vacanza. Varcando le soglie di ArteFiera 2018, l’impressione è tutt’altra. Una moltitudine di visitatori indaffarati nel gran caravanserraglio espositivo. Tutti rintanati a confabulare, osservare, stimare, sperando che l’artista filippino perisca e le sue quotazioni raggiungano al più presto vette siderali.

20180203_140657Cammini nei padiglioni e sembra, a tratti, di essere stati sputati fuori da una pala di Bosch, ritrovandosi circondati da esseri misteriosi, creature fantastiche e opere uscite dalla mente visionaria dell’artista fiammingo.

Mentre il riscaldamento si fa asfissiante e sul tetto invece cadono fiocchi di neve. E l’ArteFiera? Stando ai comunicati ufficiali, la 42esima edizione, nel corso dei suoi 5 giorni chiude registrando 48.000 presenze. Sempre stando ai comunicati ufficiali, Arte Fiera ha avuto vendite ottime nel contemporaneo e stabili nel moderno. In questa edizione, partecipata da 182 espositori, ha proposto “stand ragionati superando il confine di demarcazione tra moderno e contemporaneo per dar vita a una visita più fluida, in cui è il visitatore a essere chiamato a costruirsi il proprio percorso al di là delle tendenze e dei generi”.

20180203_140913Tra i premi assegnati degno di citazione è senz’altro il lavoro dell’artista cinese Liu Bolin, per l’opera “Sala del Trono” esposto presso la Galleria Boxart di Verona.

Apprezzabile anche il convegno internazionale “Tra mostra e fiera: entre chien et loup”, sulla ibridazione e sui confini labili tra mostre e fiere. Anche se, opinione dello scrivente, dopo la pubblicazione di “Contro le mostre” (Montanari-Trione, 2017, Einaudi) resta poco da discutere e molto da fare per risollevare il livello qualitativo dell’arte in Italia.

L’atmosfera effervescente che Art City dona alla città si avverte dappertutto, sebbene il clima abbia remato costantemente contro durante la fiera. Esemplificativo è il caso di “Scart”, un allestimento di opere realizzate con materiali riciclati e collocate in uno dei più bei saloni di Palazzo Pepoli Campogrande. Oppure le installazioni che si scorgevano negli angoli più disparati del centro storico, ma anche eventi legati all’arte ma non ricompresi nel cartellone ufficiale facevano la loro degna figura, proprio nel cuore di Bologna.

Infine, per un giudizio sulle opere presenti in questa edizione, mi sento in dovere di mutuare le parole di Pollock:” Quando dipingo, non so quello che sto facendo. Solo dopo una sorta di periodo di “conoscenza” vedo ciò di cui sono stato oggetto. Perché il dipinto ha una vita propria. Cerco di farlo passare. È solo quando perdo il contatto con il dipinto che il risultato è un casino. Altrimenti è armonia pura, un facile dare e avere, e il dipinto esce bene”.

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