Presentato a Roma il film “Mi chiamo Maya”, opera prima di Tommaso Agnese, prodotto da Magda Film in coproduzione con Rai Cinema che arriverà al cinema dal 7 maggio, con la Red Post Production, in contemporanea con il Rome Independent Film Festival, dove sarà l’evento di apertura della prima serata.
Girato tra Roma e Capalbio, il film scritto dal regista insieme a Massimo Bavastro, vede protagoniste Matilda Lutz, Valeria Solarino, Carlotta Natoli, Giovanni Anzaldo e Melissa Monti. Nel cast anche Laura Adriani, Giada Arena, Laura Gigante, Roberto Gudese, con l’amichevole partecipazione di Luigi Di Fiore, Gianni Franco e Luisa Maneri.
“Mi chiamo Maya” – afferma Tommaso Agnese – prende spunto dalla cronaca e dall’attualità per raccontare la storia della fuga di due giovani sorelle, Niki e Alice, scappate da una casa famiglia. Il tema principale, quello della fuga, si basa sui dati di cronaca che mostrano come in Italia la tendenza degli adolescenti a scappare sia in continuo aumento, più del 30% dei giovani sotto i 20 anni, è, infatti, scappato di casa almeno una volta nella propria vita e numerose sono anche le fughe dalle case-famiglia di giovani con realtà familiari complesse e difficili. Queste fughe durano spesso poco tempo o pochi giorni e così anche quella della protagonista del film, Niki, che si svolge nell’arco di tre notti”.
In seguito ad un tragico evento, Niki, 16 anni, decide di fuggire dalla casa famiglia cui è stata affidata, portando con se la sorellina Alice di soli 8 anni. Insieme affrontano un viaggio alla ricerca di un’utopica libertà, attraverso la Roma conosciuta e quella sconosciuta, incontrando persone molto diverse tra loro: punk, artisti di strada, cubiste…Una “traversata iniziatica” che, tra mille difficoltà, traghetterà Niki e Alice verso una nuova vita.
Il film nasce da un percorso autoriale del regista Tommaso Agnese, che ha indagato l’adolescenza metropolitana attraverso diverse opere documentaristiche e cinematografiche. I suoi lavori sono entrati nelle scuole come strumenti didattici, e in televisione come prodotti educativi. Il suo cortometraggio “Appena Giovani”, prodotto con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il suo documentario “La vita così come viene” , trasmesso sulle reti Rai, sono i tasselli che hanno permesso, insieme ad altri lavori da lui diretti, di realizzare la sceneggiatura di “Mi chiamo Maya”. Per questo motivo tutti i personaggi e le vicende del film sono ispirati a vicende e persone reali.
“Spesso i giovani – continua il regista – hanno un piano di fuga utopico che s’infrange ben presto con la realtà e i sogni d’indipendenza si trasformano in progetti irrealizzabili, così, per fortuna, quasi tutti tornano a casa o vengono ritrovati. Questo fenomeno ha innumerevoli cause, ma di frequente è il risultato dell’incomunicabilità tra genitori e figli, tra adulti e ragazzi. Il tema dell’incomunicabilità è un altro fondamentale elemento che contraddistingue la dimensione sociale del film. All’interno della storia non ci sono personaggi adulti di rilievo (l’unico che tenta un dialogo è l’assistente sociale nel difficile compito di convincere la protagonista a tornare sui propri passi) e il mondo degli adolescenti è descritto come un macrocosmo a se stante fatto di proprie regole, che spesso tende ad imitare quello degli adulti ma con meno responsabilità e più superficialità. Quello a cui si assiste è un vero e proprio stato di abbandono degli adolescenti, l’assenza di dialogo e di comunicazione tra adulti (che rappresentano anche la società nel suo complesso) e ragazzi. Nel film, a parte il prologo che racconta l’opposto di ciò che vedremo in seguito, i genitori semplicemente non esistono, e alla fine tutte le diverse sfumature con cui gli adolescenti si divertono o si ribellano sembrano essere nientemeno che richiami per sottolineare tale mancanza Spunti e tematiche ricche di cronaca e attualità. Non è difficile, infatti, reperire informazioni al riguardo, basta scrivere su un qualsiasi motore di ricerca “adolescenti in fuga” per ritrovarsi pagine e pagine di storie e vicende simili a quelle della protagonista del film”.
“Gli adolescenti – conclude Tommaso Agnese – vivono il cambiamento in modo molto più traumatico degli adulti, e la fuga, anche se di pochi giorni, può rappresentare un processo di maturazione interiore importante, così come capita alla protagonista del film. Anche le sottotrame della storia hanno alla base il tentativo da parte dell’adolescente di uscire fuori degli schemi, di ribellarsi o di cercare di creare attorno a se la parvenza di un mondo “adulto”. E così sono, per esempio, le discoteche pomeridiane, dove si recano ragazzi e ragazze dagli 11 ai 17 anni: lì lo sballo e l’emancipazione sono padroni. La ribellione giovanile è tradotta anche in distruzione e sfascio della proprietà privata, come quando la giovane Elisabetta organizza una festa nel suo grande appartamento e sembrano non esserci regole, dato che gli invitati possono fare ciò che vogliono, fino a devastare l’abitazione. Sotto-temi in cui si avverte la mancanza di punti di riferimento, di esempi positivi, capaci di far crescere i giovani nella società contemporanea, dove gli unici modelli, quelli mediatici, appaiono privi di ideali e valori. Tutto questo viene raccontato nel film attraverso gli occhi adolescenziali della protagonista, che non ha il tempo di riflettere sulla complessità di queste tematiche, ma si limita a passarci attraverso, assorbendole e poi abbandonandole, nel suo cammino alla ricerca della propria identità.
“Conosco Tommaso Agnese avendo lavorato con lui in un film di Pupi Avati – spiega Valeria Solarino -. Mi è piaciuta subito la storia e poi mi piacciono le vicende dove ci sono ragazzi perché loro hanno i sensi molto amplificati”.