‘Filmstudio, mon amour’ al RomaFF10.

C’erano una volta i mitici cineclub che per le ragazze e i ragazzi degli anni Settanta sono stati un luogo importante di amicizia, di cultura e di vita… Dopo il successo di Ore 12, Toni D’Angelo ritorna alla Festa del Cinema di Roma per presentare il suo ultimo lavoro: Filmstudio, Mon amour.

Il film è un documentario sui generis che ripercorre, con tecniche narrative e linguistiche innovative, l’affascinante storia del memorabile cineclub romano Filmstudio. L’autore si lascia andare ad un viaggio assolutamente personale ed introspettivo, intervista i protagonisti che hanno fatto la storia del Filmstudio alternandole a riprese d’archivio. “Ho scelto di raccontare gli avvenimenti storici attraverso l’utilizzo di materiali di repertorio, spesso anche sconosciuti, soffermandomi sugli argomenti e sui personaggi che più mi hanno appassionato” – spiega il regista. Ciò che ne esce fuori è una narrazione emozionale di una vita che c’è stata e che non c’è più, o meglio, si è trasformata. Toni D’Angelo ci restituisce, così, il ritratto di una Roma molto lontana da quella che è oggi e getta le basi per un’interessanteriflessione sullo stato attuale del nostro cinema ed i suoi circuiti distributivi e commerciali.

Il film è prodotto da Francesco Castaldo per International Madcast, Armando Leone per Associazione Culturale Filmstudio, Gaetano Di Vaio per Bronx Film, Valeria Correale per Terranera, Gianluca Curti per Minerva Pictures ed è realizzato con le interviste a Bernardo Bertolucci, Jonas Mekas, Nanni Moretti, Vittorio Taviani, Carlo Verdone, Adriano Aprà, Armando Leone e altri.

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“No! Il dibattito no!”, afferma un accalorato Nanni Moretti nel suo Io sono un autarchico. Una provocazione è chiaro, dato che quelle discussioni sono servite e Moretti ne è stato uno dei principali protagonisti. Proiezioni e dibattiti, infatti, erano il cuore pulsante del Filmstudio, storico cineclub romano aperto nel 1967 da Americo Sbardella e Annabella Miscuglio ed attivo ancora oggi. Certo non può mancare un po’ di nostalgia ripensando a quegli anni in cui si potevano vedere i lavori di un artista d’avanguardia dell’animazione come Norman McLaren, o le opere della Nouvelle Vague francese, dell’espressionismo tedesco, dell’underground americano, il cosiddetto cinema impegnato fatto da maestri e da giovani promesse. Non solo, nel Filmstudio si poteva assistere anche alle prove teatrali del Living Theatre e proprio in quella saletta fumosa e piena di sogni sono passati registi come Bernardo Bertolucci, Jean-Luc Godard, Michelangelo Antonioni, Glauber Rocha, Fernando Solanas, Pier Paolo Pasolini, Eric Rohmer, Robert Kramer, Straub e Huillet, solo per citarne qualcuno. Diviene opportuno, quindi, raccontare una storia tanto illustre e a raccogliere il testimone è Toni D’Angelo – a cui è stato messo a disposizione l’archivio di questo monumento alla cinematografia mondiale. Il regista si è lasciato andare ad un viaggio assolutamente personale ed introspettivo, in cui ha trattenuto ciò che lo ha maggiormente impressionato coadiuvandolo con interviste agli autori che hanno vissuto il Filmstudio. Ciò che ne esce fuori è una narrazione emozionale di una vita che c’è stata e che non c’è più, o meglio, si è trasformata. Il film si apre sullo sfondo di una Roma alla fine degli anni ’60, quando l’azione si fa arte e le rivendicazioni, i movimenti, le contestazioni, divengono parte integrante dell’espressione creativa. In questo cammino visivo l’autore suggerisce metafore di creazione, si ferma ad osservare personalmente alcuni di quegli stessi artisti che lo hanno segnato. Ogni tassello ritrova il suo posto, la sua collocazione. La poesia, il visionario, il rito e la cosiddetta narrazione limpida cambiano con i mutamenti del clima politico. Il Filmstudio dovrà adeguarsi ma ciò non gli permetterà di poter continuare il proprio lavoro immune dalle esigenze dell’amministrazione pubblica. Questo dovrà reinventarsi per ritrovare le motivazioni, i luoghi fisici dove potersi esprimere e per recuperare, dopo quindici anni di lotta, la sede originale. Al centro di questo viaggio ci si scontra, inevitabilmente, con la censura, becero nemico da abbattere ma, paradossalmente, enorme stimolo artistico per autori ed intellettuali. È proprio in questa situazione, infatti, che molti autori trovano la forza di impegnarsi in progetti innovativi, aprendosi a nuovi modelli di creatività. Insomma, la censura da ostacolo può diventare opportunità e questo colpisce particolarmente Toni D’Angelo, che mette in evidenza come l’ispirazione ed il senso di condivisione siano fonti necessarie per fare cultura. Una lezione, questa, che porterà l’autore a compiere, verso la fine del suo visionario cammino, un’interessante riflessioni sui circuiti tradizionali e commerciali del nostro cinema.

“Filmstudio, mon amour – afferma Toni D’Angelo – nasce dall’incontro con il cineclub Filmstudio in cui mi sono formato come cinefilo negli anni Duemila. Armando Leone, mettendomi a disposizione l’intero archivio, mi ha dato la possibilità di intraprendere un viaggio in un cinema nascosto e sotterraneo che ha animato la città di Roma dagli anni Sessanta ad oggi. Ho scoperto quindi l’esistenza della Cooperativa del cinema indipendente, del cinema femminista, del cinema d’autore, dei grandi sperimentatori come Alberto Grifi, dei primi cortometraggi di grandi registi italiani come Nanni Moretti – il cui esordio fu presentato proprio al Filmstudio nel ‘76. Questo documentario è diventato un vero e proprio viaggio alla scoperta di una realtà cinematografica che, altrimenti, non avrei mai potuto conoscere e di una Roma culturalmente fervida e appassionata, molto lontana dalla Roma che vivo oggi. Ho scelto di raccontare gli avvenimenti storici attraverso l’utilizzo di materiali di repertorio, spesso anche sconosciuti, soffermandomi sugli argomenti e sui personaggi che più mi hanno appassionato”.

8_FSMA_CarloVerdoneIl 2 ottobre 1967 nasce il Filmstudio in Via degli Orti d’Alibert 1/c a Trastevere, Roma. I fratelli Taviani sono tra i primi a scoprirlo – “Via degli Orti d’Alibert questa strada ha sempre evocato qualcosa … poi siamo andati, una strada buia – o almeno lo era allora – e quando abbiamo cominciato a frequentarla abbiamo capito che lì stava nascendo qualcosa…” (Vittorio Taviani).

Pochi anni dopo Godard doveva girare a Roma un film e Rai 3 – che era dietro a questo progetto – chiese di utilizzare il Filmstudio come luogo di riferimento. Il film aveva un budget di 80 milioni, ma Godard fece il suo lungometraggio (Vento dell’Est) con 40 milioni e i rimanenti li devolse a vari movimenti rivoluzionari, tra i quali Lotta Continua. Al Filmstudio diede 3 milioni di lire per creare una distribuzione di cinema militante.

Così, il cineclub divenne ben presto un punto di riferimento della cultura romana, e non solo – “Nel ’67, Trastevere, era un quartiere alternativo… Io che viaggiavo molto posso direi che la Roma della metà degli anni Sessanta non aveva nulla di meno, nulla da invidiare ad altri Paesi. Il Filmstudio era uno dei punti di riferimento delle avanguardie delle arti”. (Adriano Aprà)

A testimoniare il fermento di questo luogo divenuto magico nel tempo, sono in tanti. In primis Carlo Verdone: “In quel periodo la cultura era sempre dietro una serranda … si sentivano rumori ovunque di strumenti musicali, di voci … cinema”. Ma anche Bernardo Bertolucci non manca di ricordarne gli splendori: “Io al Filmstudio ci sono sempre andato a piedi … era un luogo dove si mostravano cose che non si potevano vedere in nessun altro posto a Roma. Era un miracolo, se ripenso poi alla situazione degradata, che viveva la città in quei tempi…”.

In questo luogo straordinario ha esordito anche uno dei più celebri protagonisti del nostro cinema, Nanni Moretti. Nel ’76, infatti, aveva pronto Io sono un autarchico, e pur frequentando vari cineclub, era nella sala grande del Filmstudio che voleva presentare il suo primo film. Gli chiesero se aveva abbastanza amici e parenti per riempire una sala, lui rispose che pensava di sì e, in realtà, il film fu un trionfo e venne programmato sempre con il tutto esaurito – “Senza il Filmstudio non ci sarebbe stato il clamore che invece si è verificato…”.

Questo film, poi, rappresentò una fase di cesura importante per la storia del nostro cinema. Infatti, come sostiene Aprà: “Mentre a me sembrava che un film come Anna di Alberto Grifi fosse il film di avanguardia, la sintesi di un’opera di apertura verso il futuro… Io sono un autarchico per me era un buon film ma non diceva nulla di nuovo… e mi sbagliavo di grosso. Anna, in realtà, chiudeva un’epoca e Nanni Moretti ne apriva un’altra che non era la nostra!”.

Non solo, anche l’anteprima nazionale di Nel corso del tempo di Wim Wenders, venne presentata proprio al Filmstudio – “Facemmo uscire in prima nazionale Nel corso del tempo di Wim Wenders e ci fu un afflusso di pubblico incredibile, lo dovemmo proiettare in tutte e due le sale – una non bastava viste le richieste – per un bel po’ di tempo”. Un’esperienza unica anche per lo stesso autore – “Ero molto giovane. Avere l’occasione di mostrare il mio film per la prima volta a Roma e in uno di quei posti mitici dove capivi che tutta la storia del cinema era lì o era passata di lì, mi sembrava di sognare. Ero così onorato che mi avessero dato quell’occasione. Era notte, non parlavo una parola di italiano e c’erano grandi registi e grandi artisti in sala. Mi sembrava di stare in paradiso”.

Anche grandi intellettuali come Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini, Dacia Maraini erano soliti frequentare il Filmstudio. Pasolini e Rossellini ci tennero anche le loro lezioni di cinema quando, nel 1968, il Centro Sperimentale di Cinematografia fu chiuso. E quando arrivò la prima lettera di sfratto, Moravia prese subito le difese del Filmstudio affermando: “Se questo posto dovesse chiudere dovrò trasferirmi a Parigi, non vi sono alternative”. Il Filmstudio era stato denunciato come cinema che proiettava film porno, anche se, in realtà, si trattava della serie di film Erotika del New Cinema Underground. Nel 1985, la lettera di sfratto divenne esecutiva e il Filmstudio fu costretto a portare avanti la sua attività in sedi itineranti, appoggiandosi sempre ad altri spazi.

Il 25 settembre del 2000 il Filmstudio, invece, riuscì finalmente a recuperare la sua sede storica e la ri-inaugurò con una rassegna dedicata a Cinema e Spiritualità, nell’anno del Giubileo.

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