La Cina, negli ultimi 18 anni, è diventata il secondo mercato cinematografico mondiale (6,8 miliardi di dollari) al posto del Giappone, sceso al terzo gradino del podio (2 miliardi di dollari). Davvero un altro mondo rispetto al 1999, punto di partenza del primissimo ‘Far East Film Festival’, considerando anche la crescita della Corea del Sud (al settimo posto con 1,7 miliardi di dollari).
E così, dopo 18 anni il festival si pone una domanda: si raggiunge mai la maturità? In un’ingenua comparazione tra la vita umana e la vita di un evento, compiere 18 anni dovrebbe rappresentare l’approdo effettivo alla maggiore età anche per un Festival.
Il Far East Film Festival da sempre approfondisce la sua influenza negli scambi cinematografici anche a livello economico tra Oriente e Occidente, accostando all’aspetto culturale e di intrattenimento un approfondimento degli aspetti commerciali. Con il market la sua platea cresce, aggiungendo un importante presenza di “addetti ai lavori” dall’Asia e dall’Europa: grazie alla scelta condivisa da MIA (il mercato cinematografica su cui l’Italia a scelto di puntare) e dalla Direzione Generale del Ministero della Cultura. Nel suo 18° anno, dunque, il Far East Film Festival riceve dall’Italia l’investitura ad essere uno degli elementi chiave delle relazioni tra il nostro Paese e l’Estremo Oriente.
La diciottesima edizione si è aperta sotto il segno della tigre. Anzi: sotto il segno di The Tiger, per essere precisi, lo splendido e potente kolossal di Park Hoon-jung. L’ Opening Night sarebbe già memorabile così, ma sotto i riflettori del Teatro Nuovo ha fatto ritorno uno dei più vecchi e cari amici del FEFF, un genio chiamato Johnnie To. A lui, indimenticato trionfatore del primissimo Audience Award con A Hero Never Dies, due compiti: presentare al pubblico il gangster movie Trivisa di cui è produttore, sontuoso compendio dello stile Milkyway, e tagliare ufficialmente il nastro con il Festival trailer che porta la sua firma. 30 secondi in cui Johnnie “debutta” nel cinema d’animazione e in cui il suo sguardo incontra le sonorità di un enorme compositore: Lim Giong, premiato a Cannes per le musiche di The Assassin di Hou Hsiao-Hsien.
Forse, per amor di simmetria, sarebbe giusto aspettarsi una serata di chiusura altrettanto memorabile. Ed ecco, allora, la Closing Night del 30 aprile: una data da segnare sul calendario, con un evidenziatore fluo, perché è la data in cui Sammo Hung salirà sul palco del Far East Film Festival. Dopo Joe Hisaishi e Jackie Chan, le due superstar del 2015, un altro mito assoluto ritirerà dunque il Gelso d’Oro alla Carriera. L’attore, regista e 5 coreografo action che, nel corso dei decenni, ha saputo rivoluzionare indelebilmente il segno visivo delle arti marziali. Leggendario in patria, e amatissimo in tutto il mondo, Sammo accompagnerà a Udine il suo The Bodyguard (International Festival Premiere), entusiasmando i fan e consolidando la reputazione internazionale capitalizzata, anno dopo anno, dal FEFF.
Ma lasciamo parlare – brevemente – le cifre di questo 18° capitolo: 72 film nella selezione ufficiale, di cui 50 in concorso, provenienti da 10 aree geografiche dell’Asia (5 anteprime mondiali, 10 anteprime internazionali, 8 Festival Premiere e 37 anteprime italiane, di cui 18 europee), oltre 100 eventi disseminati nel centro di Udine (citiamo, fra tutti, l’immancabile Far East Cosplay Contest del 24 aprile), 150 volontari prontissimi a scendere in campo, dal 22 al 30 aprile, spalleggiando lo staff del Festival. Un calendario fitto e articolato dentro cui non mancheranno il secondo FEFF Campus, la scuola di giornalismo per giovani talenti europei e asiatici, e il workshop internazionale Ties That Bind, che ormai da 8 anni mette in connessione produttori occidentali e orientali.
Ad affiancare la ricca sezione-concorso, che vedrà in sfida per l’Audience Award 2016 i migliori titoli panasiatici dell’ultima stagione (blockbuster, cult movie, outsider su cui scommettere, ma anche “oasi d’autore”, come l’attesissimo Three Stories of Love di Hashiguchi Ryosuke), ci sarà l’info-screening della controversa opera collettiva Ten Years e ci saranno ancora una volta diverse traiettorie parallele: quella dedicata ai documentari (da non perdere The Lovers and the Despot, preview del Biografilm Festival, cioè l’incredibile storia del rapimento del regista sudcoreano Shin Sang-ok da parte del dittatore nordcoreano Kim Jong-il), quella dedicata al Fresh Wave Festival (le giovani voci di Hong Kong), quella dedicata alla paura (grandissimo ritorno dell’Horror Day e primissimo approdo, sullo schermo udinese, per il sommo Kurosawa Kiyoshi: un crudele viaggio nel buio, e nella psiche, intitolato Creepy!), quella dedicata alle mostre (dall’arte contemporanea giapponese di Paradoxa all’universo del fumetto con il Viaggio a Tokyo di Vincenzo Filosa ). Se quest’anno l’immancabile – devoto – omaggio alla storia del cinema asiatico sfiorerà la tuta gialla di Bruce Lee, proponendo nei nuovissimi restauri 4k alcuni autentici must (Dalla Cina con furore, Il furore della Cina colpisce ancora, L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente e The Game of Death), l’occhio del FEFF indagherà a fondo sulla gloriosa fantascienza giapponese. Una retrospettiva di 10 film e una pubblicazione, entrambe intitolate Oltre Godzilla – Futuri alternativi e scenari fantastici del cinema giapponese ed entrambe curate dall’espertissimo Mark Schilling, che vedranno come ospite d’onore il mitico regista Obayashi Nobuhiko. “Gli appassionati – scrive Mark Schilling – considerano da molto tempo il Giappone una superpotenza del cinema di fantascienza, soprattutto per un sottogenere, i film di mostri (kaiju eiga), e per un personaggio, Godzilla. In realtà, i film di fantascienza giapponesi degli anni Cinquanta e Sessanta, affollati di razzi spaziali, UFO e vari tipi di armi e gadget esotici, saranno pure stati ispirati ai film sulle invasioni aliene di Hollywood, ma il loro stile unico, la loro energia e la loro immaginazione hanno influenzato non solo registi e animatori giapponesi, ma anche le loro controparti in tutto l’Occidente”.
Non resta che darsi appuntamento al Teatro Nuovo, sede storica del Far East Film Festival. Quale sarà il colpo di fulmine che, quest’anno, trafiggerà gli spettatori? Un esordio con la “e” maiuscola come The World of Us di Yoon Ga-eun o, magari, il sorprendente Ola Bola che ci parla del calcio malaysiano? Un intenso dramma sentimentale come Mountain Cry di Larry Yang o, magari, l’insolito road movie Lost in Hong Kong di Xu Zheng che ha letteralmente polverizzato il botteghino dell’ex colonia britannica? Una buffa e tragica storia di redenzione come Mohican Comes to Home di Okita Shuichi (con un inedito Matsuda Ryuhei in versione punk-hipster) o, magari, la prima mondiale di Hime-Anole , che il 25 aprile porterà sul red carpet del FEFF 18 l’idol giapponese Morita Go? Per scoprirlo, bisognerà pazientare fino alla notte del 30 aprile. Anche se le tigri, è risaputo, di pazienza ne hanno poca.