MISTER CHOCOLAT il film di Roschdy Zem, con la star di “Quasi Amici”, Omar Sy e James Thierrée, campione di incassi in Francia, arriva al cinema giovedì 7 aprile distribuito da Videa.
Dal circo al teatro, dall’anonimato alla fama, l’incredibile destino del clown Chocolat (Omar Sy), il primo artista nero in Francia. Il duo, senza precedenti, formato insieme a Footit (James Thierrée), divenne molto popolare nella Parigi della Belle Époque, fino a quando questioni legate al denaro, al gioco d’azzardo e alla discriminazione razziale compromisero l’amicizia e la carriera di Chocolat. La straordinaria storia vera di un artista eccezionale.
Il film è stato presentato a Roma alla presenza del regista Roschdy Zem, in occasione della VI edizione di Rendez Vous.
Conosceva già la storia di Footit e Chocolat? “No, l’ho scoperta leggendo la sceneggiatura. Quando Nicolas ed Eric Altmayer mi hanno proposto questo progetto, la sceneggiatura era già a buon punto con tutti i personaggi definiti e un soggetto sviluppato in modo interessante. E’ raro trovare un’idea originale in Francia, come forse altrove. Il merito va a Eric e Nicolas”.
A cosa è dovuto il Suo entusiasmo per il progetto che Omar stesso descrive come contagioso? “È stata la convergenza di diversi fattori: da un lato, la prospettiva di girare un film ambientato nella Parigi di inizio secolo in tutta la sua grandiosità; dall’altro il fatto di essere una storia incentrata sull’amicizia tra due uomini e il personaggio di Chocolat, un epicureo che vive la vita al massimo senza dimenticare il suo passato di schiavo. Egli sfrutta le opportunità che gli si presentano e diventa una grande star. La positività del personaggio ci ha permesso di affrontare l’aspetto del colonialismo francese senza calcare troppo la mano sull’argomento con eccessivo pathos e questo è stato un fattore essenziale per me”.
Come ha lavorato sull’adattamento della sceneggiatura con Cyril Gély? “Per sentirla veramente mia, dovevo poterci lavorare con un altro sceneggiatore. In questo caso con Olivier Gorce, con il quale ho co-scritto OMAR KILLED ME. Entrambi ci siamo focalizzati sulla relazione tra Footit e Chocolat non solo quando si esibiscono, ma soprattutto quando sono fuori dalla pista del circo”.
Questo è il Suo primo film in costume. Come si è preparato per le riprese? “I nostri capi dipartimento – primo assistente alla regia, direttore della fotografia, scenografo, costumista – si sono tutti resi disponibili sei mesi prima dell’inizio delle riprese per poter affrontare il lavoro di ricerca necessario. Con un film in costume la vera difficoltà è la logistica. Abbiamo scelto di girare a Parigi anziché in uno studio a Praga o altrove. Quando si gira sul posto un film ambientato un secolo fa, pur curando tutti i dettagli della scenografia, c’è sempre una gru che spunta da qualche parte in lontananza. In quei casi si cerca di sfruttare al meglio le angolazioni di ripresa e si ragiona sugli effetti speciali da apportare in un secondo momento”.
Come ha stabilito l’estetica del film? Ha fatto riferimento a qualche film? “A diversi; insieme al nostro costumista Pascaline Chavanne, lo scenografo Jérémie Duchier, il direttore della fotografia Thomas Letellier abbiamo guardato molti film. Ho tratto ispirazione da diverse sequenze de LA VIE EN ROSE (di Olivier Dahan) e BARRY LYNDON (di Stanley Kubrick) è stato un punto di riferimento per il trattamento delle immagini. L’estetica e lo stile sono fondamentali per questo genere di film. Per quanto riguarda la scelta dei colori e dei tessuti, ci siamo basati su documenti e dipinti storici; abbiamo poi verificato la loro resa sulla pellicola perché in digitale alcuni colori non rendono bene indipendentemente da quanto magnifici appaiono a occhio nudo. Abbiamo prestato la stessa attenzione al trucco dei clown e per questo motivo ho preferito che nessuno dei capi dipartimento lavorasse da solo. Abbiamo progettato le luci sulla base dei costumi, i costumi secondo i set, i costumi maschili su quelli femminili e quelli dei personaggi principali sulle comparse. Un colore sgargiante in background può rovinare l’armonia emotiva di un’intera scena”.
Quando Le hanno proposto il progetto, Omar ne faceva già parte. Quando ha pensato a James Thierrée per il ruolo di Footit? “Si potrebbe pensare che la scelta migliore fosse quella di optare per un altro attore noto al pubblico, ma per questo ruolo avevamo bisogno di un esperto e James non è solo un attore, lui stesso crea i propri spettacoli. L’entusiasmo è stato unanime: Omar Sy e James Thierrée, un’accoppiata perfetta e unica nel suo genere già per le loro qualità intrinseche. Sapevo che avrebbero dato vita a qualcosa di esplosivo e non sono rimasto deluso. James Thierrée dice che Lei è riuscito a placare le sue ansie in merito alle scene circensi”.
Come le ha affrontate? “James si occupa di tutto nei suoi spettacoli: regia, scenografia, sceneggiatura e recitazione. Mi sembrava ovvio lasciarlo libero, chi poteva coreografare meglio di lui? Gli ho dato carta bianca, ho solo chiesto di aggiungere qualche tocco moderno. Ho incoraggiato Omar e James a sentirsi liberi da ogni restrizioni nei movimenti: “Se ti stai divertendo, anche noi ci divertiremo”. Il mio compito è stato quello di selezionare e scegliere le scene migliori durante il montaggio e devo dire che avevamo ottimo materiale, divertente e originale. Ma ho potuto utilizzare solo due o tre minuti su dieci di girato per ogni scena. Il cinema non è una semplice registrazione video. Avrei voluto usare tutto, ma proprio non è stato possibile”.
Qual è stato il tuo approccio con Omar e James quando recitano insieme? “Ho subito capito che avevano un rapporto reale, vero. James è più esperto del mondo circense. È molto esigente con se stesso, a volte persino autoritario. Quando durante le prove vedevo un sorriso sui volti dei tecnici, sapevo che avevamo qualcosa di buono. Omar si è preparato molto per interpretare il suo personaggio. Poi si è lasciato andare, la sua postura e la sua voce sono cambiati, è stato il risultato di tutto il lavoro di preparazione precedente. Quanto a James, potevo sentire la sua “follia”, il suo essere sempre in perpetua ricerca. Il mio unico timore era che la magia svanisse, ma non è mai accaduto”.
Come avete scelto il resto del cast? “Tutti gli attori che abbiamo contattato hanno accettato. Per alcuni miei film precedenti, mi è capitato di ricevere dei rifiuti e c’erano attori che non osavo contattare avendo da offrire solo piccoli ruoli o 5 – 6 giorni di lavoro. Per questo film, attori abituati a ricoprire ruoli principali hanno accettato subito come Bruno e Denis Podalydès che interpretano i fratelli Lumière anche se la loro parte richiedeva un solo giorno di riprese. Lo stesso entusiasmo lo hanno dimostrato Olivier Gourmet, Noémie Lvovsky, Clotilde Hesme, Frédéric Pierrot. Desideravano tutti lavorare con Omar. Come regola generale, credo più negli incontri personali che non nei provini. James e Omar hanno parlato del coinvolgimento con i ruoli comprimari. Spesso si dice che il regista è il barometro in un film, ma vale lo stesso per gli attori. L’energia di Omar e James illuminava veramente il set. Ogni giorno, per dodici giorni, la loro straordinaria vitalità ha ispirato la troupe e mi ha aiutato molto. Ed anche gli attori con ruoli non protagonisti hanno percepito il vantaggio di uno scambio così stimolante”.
Il fatto che Lei sia un attore influenza il Suo modo di dirigere? Ovviamente! Mi rapporto agli altri come vorrei che fosse fatto con me, in modo paziente e gentile. Io non credo nelle relazioni conflittuali. Inoltre, preferisco non usare il termine ‘dirigere’. Gli attori sanno come recitare ed è più una questione di indurli a variare le loro emozioni in modo da permettermi maggiore scelta durante il montaggio. Ciò che conta per me è ottenere il giusto tono, il mio obiettivo è quello di aiutare l’attore a trovare la chiave giusta. A volte questo avviene subito, a volte no. Bisogna essere in due per ballare il tango”.
Come ha gestito l’apprensione di Omar in merito alle scene dell’Otello? “Omar pensava di camminare su un terreno sacro. Avevamo tutti in mente la versione di Orson Welles. Ma gli ho detto: “Dimenticati tutto questo! Interpretare Otello significa seguire il proprio istinto e tu sai come fare”.
Quali sono state le scene più complicate da girare? “Non le scene di violenza. Quella in cui Omar viene torturato in carcere è una scena forte e potente perché la situazione stessa lo è. Ma volevo ottenere lo stesso tipo di intensità in scene che erano teoricamente banali. Come quella in cui i passanti si girano a guardarlo mentre lui cammina. La peggiore violenza è quella che Chocolat subisce quotidianamente. Poi ci sono le scene per le quali non avevamo il set, come ad esempio quando Chocolat visita l’Esposizione Universale. Filmare in un set che sarebbe poi stato creato in post-produzione era un’esperienza nuova per me e un po’ disorientante. In altri casi, per le scene del circo, James aveva bisogno di molta libertà di movimento sulla pista. Ci siamo dovuti adeguare soprattutto perché non hanno mai recitato due volte la stessa scena nello stesso modo. Il che è anche ciò che li rende così sorprendenti”.
Cosa ha imparato da questo film? “Ad osare! I limiti finanziari, il tempo a disposizione, cerco di non avere rimpianti. Al mio primo film non ero molto audace. Ho iniziato con il secondo e continuato con il terzo, osare è diventato un mio leitmotiv. Ogni mattina mi sono chiesto: “Come posso migliorare la scena di oggi? Quale valore aggiunto? Come posso superare la sceneggiatura?” Ma ho anche imparato molto come attore, su come affrontare un ruolo. Come Frédéric Pierrot che, come gli altri ruoli non protagonisti, è stato sempre coinvolto pur non essendo al centro del film. Per non parlare di James e Omar che sono stati sempre concentrati sui loro personaggi anche a telecamera spenta, manifestando il loro costante desiderio di superare se stessi”.
Quali ricordi conserverà di questa esperienza? “Il ricordo di una lunga e meravigliosa avventura, la più bella esperienza professionale fino ad oggi. Non sarò mai in grado di ringraziare abbastanza Nicolas ed Eric Altmayer. È stato un periodo affascinante, fatto di incontri straordinari che mi hanno fatto scoprire il mondo del circo e i sacrifici che richiede. Non potrò mai più assistere ad uno spettacolo circense allo stesso modo. Ricorderò sempre l’ultimo giorno delle riprese perché quando si lavora ad un film, si vive come in una bolla sia per il tempo che si trascorre sul progetto che per l’atmosfera che si crea. Questa volta la bolla è durata molto e uscirne è stato difficile. L’euforia era finita, mi sono improvvisamente ritrovato solo al montaggio con un senso di tristezza ma al contempo felice di ciò che avevo ottenuto perché di solito solamente il 10% dei progetti arriva davvero a compimento”.
Cosa vuole comunicare al pubblico con questo film? “La storia di due persone che si incontrano, formano una coppia e creano qualcosa insieme e poi si separano. L’emancipazione di un uomo – Chocolat – che scopre la vita, diventa una persona più riflessiva e meno servile e remissiva. La storia di una Francia dove Chocolat viene dimenticato senza alcuna colpa. E non è l’unico. Parlare di lui ci aiuta a conoscere meglio il nostro passato ed ho sempre pensato che fosse essenziale per vivere meglio il presente”.
Cosa l’ha commossa del destino di Chocolat? “L’analogia tra il percorso di Chocolat, quello di Omar e il mio”. Omar è un grande attore e molto generoso e si merita il successo che sta avendo. Ma la nostra generazione è cresciuta senza mai vedere il figlio di un immigrato guadagnare come una star. Per quasi 20 anni, mi sono aspettato che qualcuno mi dicesse: “Ehi! Che stai facendo lì? Tu non appartieni a questo mondo” e sapevo che avrei risposto “mi scuso, mi hanno detto che potevo ma me ne vado subito.” Oggi quel senso di inappropriatezza è svanito. Ma scoprire che un secolo fa un artista di colore ha avuto tanto successo mi commuove e al contempo mi rattrista perché non ne è rimasto nulla! Forse questo film cambierà le cose. Fa riflettere sul proprio percorso. Cosa resterà di quello che abbiamo fatto?”.