Diane è una bella donna. Molto bella. Brillante avvocato, spiritosa e determinata. E ha appena messo fine a un matrimonio che non la rendeva felice. Ora si sente pronta a incontrare l’uomo della sua vita. Guarda caso, un bel giorno Diane riceve una telefonata da un certo Alexandre, che ha trovato il suo cellulare. Durante la loro conversazione telefonica accade qualcosa. Alexandre è garbato, spiritoso e a quanto pare anche colto. Diane ne resta affascinata. Ben presto fissano un appuntamento. Ma il loro incontro non andrà affatto come previsto…
Al cinema dal 7 settembre ‘Un amore all’altezza’ è il nuovo film di Laurent Tirard che vede protagonisti Jean Dujardin e Diane Virginie Efira, distribuito in Italia da Lucky Red.
Laurent Tirard, com’è nata l’idea di Un amore all’altezza?
Qualche giorno prima dell’uscita di Le vacanze del piccolo Nicolas, ho incontrato Vanessa Van Zuylen, la produttrice che aveva acquistato i diritti di Corazón de León, un film argentino di Marcos Carnevale che raccontava la storia d’amore tra una bella ragazza e un uomo affascinante… alto 1 metro e 45! E’ stato un grosso successo nel 2013 in Argentina, ma non è mai stato distribuito all’estero. Vanessa voleva che ne facessi un remake, ma io stavo già lavorando a un altro progetto. Le ho detto che gli avrei dato un’occhiata, solo per non essere scortese, sicuro che avrei declinato la proposta. Solo che quando l’ho visto la mattina dopo, quel film mi ha stregato. Aveva una vera storia, era forte, audace e originale. Ho capito immediatamente che aveva anche un grosso potenziale comico. L’originale era un po’ strappalacrime, sul tipo di una telenovela. Così, ho pensato che sarebbe stata una buona idea riscriverlo e farne un remake un po’ più europeo.
Ha coinvolto fin dall’inizio il suo co-sceneggiatore, Grégoire Vigneron?
Sì. Come me, si è subito innamorato della storia e ne ha intuito le potenzialità. Così, ci siamo messi a scrivere la sceneggiatura agli inizi del 2014, con l’idea di girarlo in autunno. All’inizio, volevamo solo adattare la storia alla società francese. Ma quando oggi rivedo l’originale, mi rendo conto che abbiamo fatto parecchi cambiamenti. E dettaglio dopo dettaglio, Un amore all’altezza è diventato un altro film.
C’è molta differenza tra scrivere un remake e adattare un fumetto, come avete fatto con Asterix & Obélix al servizio di sua Mestà o con Il piccolo Nicolas e i suoi genitori?
Sì, perché prima di tutto un fumetto non è stato scritto per diventare un film. Adattare Asterix o Il piccolo Nicolas e i suoi genitori ci ha lasciato molta più libertà espressiva. Questa volta c’era già un film, e oltretutto un buon film. Eravamo più in soggezione perché temevamo di non essere all’altezza dell’originale.
Avevate mai conosciuto persone così basse?
Certo. E abbiamo usato una controfigura per Jean, un uomo alto un metro e 45 con cui abbiamo girato tutte le scene di spalle. Era sul set tutti i giorni, e Jean ha passato molto tempo con lui. E’ stato utile e interessante ascoltare il suo punto di vista, perché molte delle situazioni raccontate nel film le aveva vissute in prima persona. Ma l’idea non era quella di fare un documentario sulle persone così piccole. Volevamo parlare di cose importanti con leggerezza, e perché il film restasse una commedia era importante mantenere una certa distanza poetica.
A che punto avete capito che Jean Dujardin avrebbe accettato la parte?
Una volta finita la sceneggiatura abbiamo cominciato a pensare al casting, e ci siamo detti: “Facciamo una follia! Proviamo a proporlo a Jean Dujardin!”. Nella versione originale il personaggio maschile era interpretato da un divo argentino. Jean è uno stakanovista nel lavoro, molto professionale e rigoroso. Se l’avete visto in Brice de Nice o OSS 117, sapete di cosa è capace. In questo ruolo, però, lo volevo il più possibile sobrio e misurato. E ho scoperto che ha un fantastico sesto senso. Ogni volta che discutevamo della sceneggiatura o del casting, le sue osservazioni mi lasciavano sempre di stucco.
Avete trovato rapidamente anche l’attrice che interpreta Diane?
No. Era difficile dare un volto al suo personaggio. E così ho optato per una soluzione piuttosto insolita in Francia: ho chiesto a diverse attrici di fare un provino. C’erano attrici molto famose e altre meno, ma tutte hanno accettato di mettersi alla prova. Non conoscevo bene Virginie Efira e non avevo visto tutti i suoi film. Ma durante il provino mi è subito sembrata la scelta ovvia. E’ molto portata per la commedia, e interpreta le sue scene con rara sottigliezza. Virginie è anche una gran lavoratrice. Dice di essere un po’ complessata per via delle sue origini belghe e del suo passato di conduttrice televisiva, ma io ho scoperto una donna intelligente, estremamente colta e molto in gamba.
Come avete scelto gli altri attori?
Ho lavorato con la mia direttrice del casting, ed è stato un processo piuttosto veloce. Cédric Kahn, che interpreta l’ex-marito di Diane, non aveva mai girato una commedia, ma ero sicuro che sarebbe stato perfetto in quel ruolo. E’ successo lo stesso con César Domboy: non avevo dubbi.
Nel film lei interpreta un cameo. Si è divertito?
Per niente. Non mi è piaciuto recitare e credo che non lo farò mai più. Ma ho pensato che i miei figli si sarebbero divertiti, e avevo ragione.
Sul set lascia spazio all’improvvisazione?
Molto poco, ma ci sono due o tre momenti nel film in cui ho acceso la macchina da presa e ho lasciato fare agli attori. Tutta la scena della cena nel ristorante clandestino è stata improvvisata, per esempio. Avevamo scritto dei dialoghi, ma una volta arrivati sul set ho preferito che Jean e Virginie si sentissero liberi. Succede qualcosa di magico in quella scena, perché c’è un’atmosfera di grande naturalezza. E lo stesso vale per la sequenza in cui lei gli regala un maglione bruttissimo. La reazione di Jean sembra sincera, autentica. Quasi reale.
Che atmosfera c’era durante le riprese?
Attenta, ma allegra. Si lavorava sodo, ma Jean e Virginie riuscivano a stemperare la tensione. E giravamo a Marsiglia, una città che non conoscevo, ma di cui mi sono immediatamente innamorato.
Perché ha scelto proprio Marsiglia, per ambientare il film?
Non volevo che la storia si svolgesse in una megalopoli come Parigi o Londra, perché lì si incontrano persone così diverse che perfino un uomo alto un metro e 45 passerebbe inosservato. Ma ci serviva una grande città e volevo che ci fosse il sole, per dare alla storia un’aria un po’ californiana. Mi sono innamorato di Marsiglia a prima vista. Ha quell’atmosfera caotica e disordinata della Parigi degli anni ’70. Vedere persone in motorino senza il casco ha qualcosa di romantico. E in un mondo che è sempre più piatto, omologato e asettico, Marsiglia è una ventata d’aria fresca.
Alcune scene sono ambientate all’Opéra de Liège. Voleva dare un tocco di romanticismo alla storia?
Anche nel film argentino il protagonista era un architetto, ma non vediamo mai quello che fa. Grégoire ed io volevamo mostrarlo al lavoro. E qualche mese prima avevo visto alla televisione Cathedrals of Culture: una splendida serie di documentari prodotti da Wim Wenders. Uno degli episodi era sull’Opera di Oslo, in cui si respirava un’atmosfera magica. Così mi è venuto in mente di riprendere le riunioni di lavoro del protagonista con sullo sfondodanzatori e clown, per dare al film un tocco di poesia. Ma per ragioni di diritti, abbiamo girato in una vecchia stazione ferroviaria trasformata in teatro.
In Un amore all’altezza, vediamo alcuni dei temi classici della commedia romantica. A quali film si è ispirato?
Mi sono ispirato a Capra, perché anche lui giocava con le favole e aveva una visione positiva delle persone. Non mostrava mai cattiveria, solo tanta umanità. Ma essendo cresciuto con le commedie romantiche inglesi e americane, ammetto che nel mio film c’è anche qualcosa di Pretty Woman – per l’aspetto della favola moderna – e un po’ di Bridget Jones, per le gag durante alcuni dei momenti più romantici.
Per questo film avete avuto bisogno di parecchi effetti speciali. E’ una parte del lavoro che l’affascina?
Ne ho fatto indigestione con Astérix, e non è esattamente la parte del lavoro che preferisco. Ma erano indispensabili per questo film, e devo dire che alla fine non è stato così complicato come pensavo. Almeno metà degli effetti speciali li abbiamo realizzati in post-produzione. Non bastava rimpicciolire il personaggio, perché altrimenti avrebbe avuto testa e mani troppo piccole e sarebbe apparso strano nei primi piani. E non doveva avere la morfologia di un nano. Ma facendo molti test prima delle riprese siamo riusciti a trovare le proporzioni giuste e le tecniche migliori per realizzarle.
Quale tipo di effetti speciali avete realizzato?
Dalle cose più semplici, come riprendere Jean in ginocchio (inquadrandolo dalle spalle in su) o forzare le prospettive (posizionandolo più indietro, nell’inquadratura, per farlo apparire più piccolo), a effetti più complicati come la scena in ufficio, quando Jean viene interrotto da Cédric e deve saltare dalla sedia. Per quella ripresa abbiamo dovuto alzare di 40 centimetri tutta la stanza, tranne il punto in cui Jean atterra. Ma è stato un lavoro molto artigianale anche quello, in realtà.
Sapeva fin dall’inizio che tipo di musica voleva?
Ho pensato quasi subito ad Emilie Gassin, che aveva eseguito una magnifica versione acustica di Freed from desire durante un concerto di Renan Luce. Siccome non aveva ancora pubblicato un album, le ho chiesto di mandarmi dei demo e li ho ascoltati mentre scrivevo Un amore all’altezza. E’ stato allora che ho pensato che le sue canzoni potevano fare da contrappunto e da commento al film, come quelle di Aimee Mann in Magnolia.
Che cosa ha pensato quando ha visto il film finito?
Che avevo fato il mio primo film per adulti! In questo film c’è un po’ della mia esperienza personale e anche delle mie esperienze traumatiche. Per la prima volta mi sono lasciato andare e ho scavato un po’ più a fondo nelle mie emozioni. E’ stata una sfida ed è la cosa di cui vado più fiero.