La linea verticale, il primo ‘medramedy’ italiano

linea verticale 2La vita quotidiana del reparto di urologia oncologica di un ospedale italiano, raccontata in tono surreale e satirico, quasi come fosse il set della fantomatica soap “Gli occhi del cuore” della serie tv culto ‘Boris’. E proprio da Boris proviene Mattia Torre, il regista di ‘La Linea verticale’, la nuova serie tv di 8 episodi della durata di 25 minuti, disponibili dal 6 gennaio su RaiPlay e dal 13 gennaio su Rai3.

Attraverso gli occhi e le vicissitudini di Luigi, interpretato da Valerio Mastandrea, si dipana la storia, umana e non solo, di chi è chiamato per lavoro o per forza maggiore a gravitare in uno dei reparti più “delicati” di un nosocomio. Un universo complesso dove si incontra, e a volte si scontra, varia umanità e dove ognuno porta il suo vissuto: i pazienti tra sofferenza e speranza, medici e infermieri tra rigide gerarchie e vari rapporti di forza. Su tutti il punto di vista dei malati che, tramite uno stile di racconto libero e formalmente spregiudicato, dipingono un affresco realistico dei casi clinici e, soprattutto, di quelli umani.

linea verticaleUna commedia a volte “irriverente” per sorridere, ma anche riflettere. “La linea verticale” è una coproduzione Rai Fiction – Wildside, Direzione Produzione Tv – CPTV Napoli, prodotta da Lorenzo Mieli e Mario Gianani. Con Valerio Mastandrea (Luigi), anche Greta Scarano (Elena, la moglie di Luigi. Dolce, gentile e bellissima), Giorgio Tirabassi (Marcello), Paolo Calabresi (Costa), Ninni Bruschetta (Barbieri), Antonio Catania (Policari), Cristina Pellegrino (Giusy), Alvia Reale (Caposala), Gianfelice Imparato (Peppe) e Federico Pacifici (Rapisarda) e Babak Karimi (Amed).

Luigi, il protagonista, scopre di avere un tumore e per questo deve sottoporsi a un delicato intervento chirurgico. Attraverso lo sguardo di Luigi entriamo in un mondo, quello dell’ospedale, di cui tutti conosciamo approssimativamente le regole ma che, esplorato in profondità, riserva straordinarie e tragicomiche sorprese. La serie si concentra soprattutto sulle vite dei pazienti, non solo quella di Luigi, ma anche dei suoi improbabili compagni di viaggio: un iraniano dalle convinzioni radicali, un ristoratore che sa tutto di medicina, un prete in crisi, un intellettuale taciturno, decine di anziani “cattivi perché in cattività”. E poi c’è il personale del reparto: dal professor Zamagna, chirurgo di fama e genio assoluto, nonché primario del reparto, fino ai vari addetti che convivono giorno dopo giorno in questo microcosmo fuori dal mondo che ha regole e gerarchie proprie, e rapporti di forza che vengono messi alla prova ogni giorno. Qui sono tutti operativi, tutti in lotta, ognuno con i propri mezzi. I medici e gli infermieri per curare i pazienti, i pazienti per guarire e per vivere la vita.

“La linea verticale” nasce da un’esperienza ospedaliera autobiografica del regista, ma più che dall’esigenza di raccontare una vicenda personale, il desiderio è stato di raccontare, nell’Italia di oggi, un reparto oncologico di un ospedale pubblico di assoluta eccellenza, capitanato da un chirurgo che ribalta il cliché del primario barone arrogante e scollato dalla realtà, e che anzi rappresenta, per gentilezza, generosità e amore verso il proprio mestiere, l’idea di un’altra Italia possibile. Due sono i cuori pulsanti a cui Luigi si aggrappa secondo Mattia Torre: “la straordinaria moglie, e lo straordinario chirurgo che lo opera. “La linea verticale” nasce seguendo due intenti; la dimensione teatrale della storia – la serie è interamente ambientata nel reparto; e la libertà narrativa, nella forma del racconto e nel modo di affrontare un tema complesso ma sempre più presente nelle nostre vite. Il reparto è il nostro palcoscenico: la serie si svolge lì, perché oltre ad essere il luogo del ricovero del protagonista, è un piccolo universo che vive di interessanti leggi proprie; è sempre identico eppure muta sempre, cambiano i pazienti, fanno i turni medici e infermieri, vive di gioie, di dolori lancinanti, ma anche di grande (e talvolta involontaria) comicità; e di amicizie che poi durano per sempre. La vita, la morte, la sofferenza, la malattia: tutto viene sistematizzato in una routine a cui ci si abitua presto, e che pure rappresenta una formidabile esperienza umana”.

“Ho girato “La linea verticale” – racconta il regista alla presentazione stampa in Rai – con una postura simile a quella che ho sempre adottato a teatro, in un regime cioè di grande agilità produttiva, di essenzialità, e di massimo sforzo sulla scrittura e sulla direzione degli attori. Come nel caso della serie “Boris”, anche qui gli attori sono, oltre che interpreti di razza, anche persone che hanno condiviso gli intenti del racconto, ne sono stati garanti, e ne hanno consentito la riuscita. Insieme abbiamo cercato di eseguire la commedia in maniera serissima, senza ammicchi né compiacimenti, in modo mai farsesco, e con appassionata precisione. È lavorando con loro che sono riuscito a trovare la temperatura emotiva della mia serie, che passa, talvolta spudoratamente, dal tragico al comico anche nell’arco di una stessa scena. Così era il reparto dove sono stato per un mese. E questa è per me la cosa più esaltante: il privilegio di poter raccontare una realtà sociale ancora una volta completamente diversa da come la si può immaginare dall’esterno”.

“La libertà narrativa – conclude Mattia Torre – è consistita invece nel superamento della tradizionale struttura della serie da 25 minuti (una trama e due sottotrame). Il tentativo è stato qui di procedere senza rete, raccontando vicende molto realistiche da un punto di vista clinico, ma facendolo in modo libero e a tratti spregiudicato, talvolta surreale. In questo senso, se il protagonista è un pesce fuor d’acqua in un mondo complesso e per lui completamente nuovo, la sua voce off ci accompagna nella storia attraverso digressioni sociologiche, racconti di vicende umane, liturgie dell’ospedale, e incredibili paradossi della scienza medica. Infine, “La linea verticale”, pure in un contesto doloroso e tragico, racconta la malattia come un’occasione di crescita, di apprendimento, e persino di riscatto”.

Per Tinny Andreatta, direttore di Rai Fiction, La line verticale “è un drama, un comedy e un medical”… un medramedy. Primo caso in italia di serie tv formato sit-com da 25 minuti: “un inedito”. “Per Rai Fiction continuare ad innovare in termini creativi e di linguaggio è fondamentale. In questo caso – aggiunge Andreatta – l’unicità del progetto è più marcata. Noi pensiamo che questa serie, pur non abbandonando l’audience classica, possa coinvolgere anche le fasce più moderne e giovani del pubblico. Con La linea verticale si apre una nuova e diversa collocazione per Rai3”.

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