Cristiana Capotondi è Nina, la protagonista di ‘Nome di donna’, un film di Marco Tullio Giordana al cinema dall’8 marzo e non è un caso.
Nina si trasferisce da Milano in un piccolo paese della Lombardia, dove trova lavoro in una residenza per anziani facoltosi. Un mondo elegante, quasi fiabesco. Che cela però un segreto scomodo e torbido. Quando Nina lo scoprirà, sarà costretta a misurarsi con le sue colleghe, italiane e straniere, per affrontare il dirigente della struttura, Marco Maria Torri (Valerio Binasco) in un’appassionata battaglia per far valere i suoi diritti e la sua dignità.
L’attrice anche nella vita esorta a denunciare qualsiasi forma di discriminazione ai danni dell’universo femminile. “Se una persona ha subito degli abusi, deve dirlo, anche all’interno del suo ambiente professionale, condividendo con le altre donne quello che ha vissuto”.
Nel film alcune donne accettano le avances del capo per tornaconto personale. Non siamo tutte uguali? “Non giudico moralmente chi, per scelta personale, decide di utilizzare il corpo per ottenere facilitazioni professionali. Però vedo una sorta di concorrenza sleale. E poi faccio l’attrice, ma chi è medico, chi entra in sala operatoria? Io vorrei che una donna arrivasse lì perché è brava a sistemarti la mano, perché è la migliore scelta, non la più carina”.
“Questo film – afferma Marco Tullio Giordana – parla delle molestie sul luogo di lavoro, tema balzato di recente agli onori della cronaca ma nascosto per anni sotto il tappeto. Non è un film di “denuncia”, l’ultima cosa al mondo che m’importa è fare il moralista. Il film indaga più che sul “fatto”, sul sasso lanciato nello stagno, sulle conseguenze che ne derivano, sui cerchi che si allargano fino a lambire sponde anche molto lontane. Una di queste è l’ostilità che immediatamente avvolge la vittima, l’insinuazione che “se la sia cercata”, la solitudine in cui si trova chi non intende sottostare. Un film che racconta l’omertà, la compiacenza, il disonore generale e il coraggio invece di una giovane donna che sfida tutto questo e si ribella dimostrandosi più forte del luogo comune”.
Nel cast anche Michela Cescon, che interpreta l’avvocato grazie al quale la lotta di Nina diventa una battaglia concreta: “credo che nella solitudine di chi ha subito abusi, l’incontro con un avvocato di quel tipo sia fondamentale e sia potente, aiuta. Nina trova nel occhi di un’altra donna l’aiuto per vincere”.
La fine del film ricorda che c’è ancora molto da fare. “La scena finale fa capire che la battaglia non è finita . E’ di Dino Risi l’idea di non finire trionfalmente con la vittoria ma con la consapevolezza che si deve sempre ripartire subito a combattere”, conclude Marco Tullio Giordana.