L’Italia divisa tra borghi e borgate

“Aveva qualcosa di avido negli occhi, di attentissimo, una curiosità vivida, inesausta. La sua qualità che ho sempre apprezzato era la disponibilità ad essere un artista che assorbe, assimila, trasforma ma, nello stesso tempo, una parte del suo cervello sembrava un laboratorio preciso, attentissimo dove quello che l’artista aveva creato veniva vagliato, giudicato, in generale con un consenso. Era insieme creatore e critico acutissimo, implacabile, di quel che aveva inventato”. Con queste parole Federico Fellini, il grande regista riminese scomparso esattamente 25 anni fa alla fine di ottobre del 1993, ricordava Pier Paolo Pasolini, suo quasi coetaneo – solo due anni di differenza li separavano. Il cineasta visionario riminese aveva due anni di più del regista poeta nato a Bologna e massacrato all’Idroscalo di Ostia nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975.

Pasolini_e_felliniBiografie dagli incroci importanti e singolari quella tra i due personaggi, morti a diciotto anni di distanza l’uno dall’altro, condividendo casualmente, nei loro ultimi respiri, i giorni più crepuscolari dell’anno.

Due volti, due passi, due tratti di penna e di matita su una stessa tavolozza – l’Italia del secondo dopoguerra – che nel corso delle loro esistenze non si risparmiarono picchi di polemica rimasta quasi sempre in ambito artistico.

Non pochi, infatti, furono i contatti tra le loro opere che, tuttavia, più che in vere e proprie collaborazioni si risolsero al massimo a in ammiccamenti più o meno maliziosi tra due numeri uno assoluti e come tali riconosciuti dalla critica a loro coeva e postuma.

Impregnati di donne, sogni lascivi, costumi borghesi di un’Italia tutto sommato mai uscita dal bonario provincialismo romagnolo, tra mare ed entroterra riminese, i sogni tratteggiati dall’espressionismo cinematografico di Fellini fatto di zinnone, panzone, chiappone e musichette, come ricorda il tassinaro Alberto Sordi al maestro nel tragitto cinematografico verso Cinecittà.

Metropolitana, borgatara, decadente, violenta, come i suoi icastici ragazzi di vita, di un realismo senza scampo né spazio per i sogni che – al massimo – crollano assieme alle ideologie, concetto chiaro già nell’opera giovanile del regista friulano, si pensi al suo romanzo “Il sogno di una cosa”, disillusa citazione marxista attorno alla quotidianità impegnata ma vinta quasi per segno fatale, dei suoi conterranei, ragazzi friulani.

Roma, poi, è il luogo madre, complice ma non anfitrione dell’incontro artistico tra i due.

L’incontro professionale tra i due avviene a metà degli anni 50, quando Fellini stava lavorando alla sceneggiatura de Le notti di Cabiria.

Pasolini scriverà poi delle scene anche de “La dolce vita” che verranno accennate da Fellini ma con sensibili e sostanziali modifiche, tanto da non rendere necessaria neppure la citazione del poeta friulano nei crediti dell’opera.

Fellini, quindi, di primo acchito sembra voler produrre “Accattone”, opera simbolo della poetica cinematografica neorealista pasoliniana ma poi cambia idea e si sottrae dall’impegno.

È un continuo sfiorarsi, dunque, affascinante quanto enigmatico, quello tra i due geni che tuttavia più delle parole viene ben sintetizzato da due scene singolari delle opere dei due, come ha avuto in più occasioni modo di annotare Roberto Chiesi, critico cinematografico e responsabile del Centro Studi-Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna: il sorriso muto di Marcello (Mastroianni) proprio ne La dolce vita in luogo di un dialogo scritto da Pasolini ma non ripreso da Fellini – e la memorabile risposta che ne La ricotta Pasolini mette in bocca al personaggio del regista, interpretato da Orson Wells, il quale dell’opera di Fellini dice due volte “Egli danza… Egli danza!” senza la necessità di aggiungere altro, salvo poi voler aggiungere un celebre testo poetico, ovviamente pasoliniano, nel quale PPP si definisce “feto adulto” che si aggira “più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più”, quasi a voler marcare, una volta di più, la differenza tra la danza e il dramma, la commedia, genere prediletto di Fellini, e la tragedia antica di cui proprio Pasolini, come nessun altro, è stato il più grande attualizzatore.

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