Luca Zingaretti è il Re del carcere

Debutterà il 18 marzo su Sky Atlantic e in streaming su NOW (e sarà sempre disponibile on demand) IL RE, fra i primi prison drama italiani, con Luca Zingaretti. Una produzione Sky Studios con Lorenzo Mieli per The Apartment e con Wildside, entrambe società del gruppo Fremantle, in collaborazione con Zocotoco.

Luca Zingaretti è IL RE Bruno TestoriIl Re, in otto episodi diretti da Giuseppe Gagliardi (la trilogia 1992, 1993 e 1994, Non uccidere), vede Zingaretti protagonista nei panni del controverso direttore di un carcere di frontiera, sovrano assoluto di una struttura – il San Michele – in cui nessuna delle leggi dello Stato ha valore, perché il bene e il male dipendono unicamente dal suo giudizio. Accanto a Luca Zingaretti nel ruolo del direttore Bruno Testori, Isabella Ragonese (Lei mi parla ancora, Rocco Schiavone, Il padre d’Italia) in quelli di un’agente della polizia carceraria del San Michele, Anna Bonaiuto (Loro, Napoli velata, Mio fratello è figlio unico), che interpreta il pubblico ministero che indaga sulla rete di illeciti e connivenze che fanno capo a Testori, Barbora Bobulova (Scialla!, Cuori puri, Cuore sacro), che nella serie sarà l’ex moglie del personaggio interpretato da Zingaretti, e Giorgio Colangeli (Il divo, Speravo de morì prima, Un posto sicuro) nei panni di Iaccarino, comandante della prigione, molto amico di Bruno Testori.

La sceneggiatura è di Stefano Bises, Peppe Fiore, Bernardo Pellegrini, Davide Serino Il San Michele è un carcere di frontiera dove il direttore Bruno Testori applica la sua personale idea di giustizia: la legge dello Stato qui dentro non esiste, perché la legge è lui. Spietato con chi lo merita ma anche all’occorrenza misericordioso, Bruno si identifica nelle biografie deragliate dei detenuti, perché lui stesso, per primo, è un uomo spezzato dalla vita. Un duplice omicidio – prima quello del comandante e suo migliore amico, poi quello di un ergastolano, principale alleato di Bruno tra i detenuti – rischia di mettere a rischio il suo dominio e di portare alla luce il cancro che si annida nelle pieghe del regno: una potenziale minaccia per tutto l’Occidente.

“Cosa succede – afferma Giuseppe Gagliardi – quando un regno rischia di crollare davanti agli occhi del suo sovrano? Il Re racconta questo, il potere politico e militare che Bruno Testori esercita nel suo carcere sta scricchiolando, lui deve cercare di salvare la sua corona. Il regno è quello del San Michele, una vecchia fortezza che si staglia sul mare di una città portuale, un edificio simbolico dell’autorità del suo padrone. Lì dentro vigono le leggi che ha promulgato lui, il direttore, giudice in extremis, oltre il terzo grado di giudizio. Si è costruito una personale idea di giustizia, la applica a suo piacimento, con l’aiuto di una schiera di pretoriani fedeli al re e al San Michele. Il carcere che raccontiamo è un crocevia di storie e uomini di diversa provenienza, un luogo di alienazione dove i conflitti sono il riflesso del mondo di fuori. Bruno invece controlla e sorveglia il mondo di dentro. Sul piano visivo spesso il suo punto di vista coincide con quello del racconto, Bruno vede attraverso le telecamere di sorveglianza, ascolta attraverso le cimici, controlla le vite dei detenuti come ossessionato, cerca la strada per fronteggiare la minaccia che serpeggia nei corridoi del San Michele. Il luogo diventa protagonista della vicenda umana. L’utilizzo delle lenti panoramiche per filmare il carcere ha determinato la cifra stilistica principale della serie, le immagini hanno un’ampiezza che ci aiuta a raccontare meglio il luogo, la presenza imponente delle architetture del carcere sui personaggi. Quando gli eventi precipitano, Bruno si trova a dover combattere la battaglia più difficile della sua carriera. Una battaglia contro i nemici interni e, anche, contro il suo lato oscuro”.

“Il processo di elaborazione de Il Re – affermano gli sceneggiatori  Stefano Bises e Peppe Fiore – ci ha posto davanti a una serie di sfide di scrittura. Il nostro punto di partenza era ovviamente l’arena carceraria, definita e circoscritta, e la scelta di un protagonista unico e molto forte – dunque l’idea di differenziarci dal multistrand che di solito caratterizza i prison drama. La scelta di incarnare il protagonista nella figura del direttore, e in questo specifico direttore, uno che vive il suo mandato come un monarca assoluto, ci poneva un problema narrativo di fondo sul piano dei conflitti: in un carcere come il San Michele, un direttore come Bruno vede tutto e può tutto. Dunque, come metterlo in crisi? Abbiamo perciò giocato sul piano tematico, lavorando sulla metafora del regno che incarna l’ideale di giustizia di Bruno Testori. Il San Michele è la rappresentazione plastica della morale di Bruno: una morale monocratica, più solida e indiscutibile anche della legge dei tribunali. È questa l’idea del “quarto grado di giudizio” di Bruno: il San Michele è un’enclave fuori dalla giurisdizione della legge ordinaria in cui il direttore esercita la sua personale giustizia. Per mettere in crisi il nostro protagonista abbiamo portato il conflitto frontalmente sul suo sistema di valori: la minaccia che lo sfida è quella di un ordine morale avverso a quello di Bruno, e si annida proprio al cuore del suo regno. Al centro di questo conflitto c’è sempre Bruno, naturalmente. L’altra sfida per noi interessante era quella di riuscire a rendere empatico e umano un personaggio così larger-than-life. Abbiamo cercato di farlo approfondendo le sue ferite che sono, in qualche misura, il modo con cui Bruno si interfaccia con l’altro. Bruno è un uomo spezzato, che ha sofferto in passato e che ogni giorno si confronta con un’umanità da Purgatorio. Il dolore della sua vita è anche, in qualche modo, il suo potere: gli ha insegnato che anche una vita perfetta può deragliare in qualsiasi momento, che il destino è cieco e che il male non sempre è voluto ma può essere accidentale. Questo fa di lui un essere umano, segnato dalla sofferenza e divorato dalla hybris, ma allo stesso tempo capace di leggere nell’anima anche dell’ultimo dei detenuti come nessun altro. Un uomo che usa il proprio dolore come strumento di conoscenza del mondo. Un’ulteriore scommessa era quella sul piano dell’arena. Il carcere in Italia non è un argomento innocente, è una sorta di fronte emergenziale permanente che in un modo o nell’altro ha fatto sempre da specchio a tutte le fasi cruciali della storia del Paese. Raccontarlo in maniera onesta implicava necessariamente il racconto della violenza, dell’abuso di potere, dell’integrazione interculturale, del discrimine sottile che esiste tra esercizio della pena e vendetta di Stato. Fermo restando che il nostro obiettivo era fare una serie di genere, e non un racconto strettamente sociologico, abbiamo cercato di restituire la complessità e le contraddizioni del lavoro detentivo dentro un carcere d’invenzione come il San Michele, costruendo tutti i personaggi, non solo Bruno ma anche i pretoriani e i detenuti, su un profilo di complessità e contraddizione. Non ci sono buoni e cattivi, e anche il male ha sempre le sue ragioni. In questo senso, le ombre di Bruno, che lo spingono a scavalcare spesso la legalità, trovano sempre un contrappeso nella sua visione del mondo. Una visione solida e coerente con il suo sistema di valori, che – al netto di tutti gli abusi di potere di Bruno – rimane al fondo condivisibile. In questo, crediamo, c’è il nocciolo tematico di questa serie: una riflessione sui confini della giustizia, su quanto ci si può spingere oltre la linea d’ombra per realizzare quella giustizia fino in fondo, e in ultima analisi, su quanto il bene e il male, dal punto di vista del potere, finiscano per implicarsi a vicenda”.

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