Spider-Man across the spider verse

Non esiste un film d’animazione uscito negli ultimi cinque, forse dieci, anni che sia stato più influente di “Spider-Man: Into the Spider-Verse”. Il film diretto da Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman, e scritto e prodotto da Phil Lord e Chris Miller, è stato molte cose: il riscatto folgorante di Sony Pictures Animation agli occhi del grande pubblico dopo la scottante delusione di critica e pubblico solo un anno prima di “Emoji – Accendi le Emozioni”; la consacrazione nell’immaginario collettivo di Miles Morales, lo Spider-Man latino e portoricano di Brian Michael Bendis e Sara Pichelli, il cui viaggio alla scoperta della propria identità è sia personale che trasversale; infine, la prova che non solo è possibile unire l’animazione sperimentale al mercato commerciale, ma che ciò può essere anche remunerativo, e case come Dreamworks ne hanno già preso nota, muovendosi nella stessa direzione e realizzando lo smagliante “Troppo Cattivi” e lo straordinario “Il Gatto con gli Stivali – L’ultimo Desiderio”.
L’importante eredità con cui si è confrontato il team del sequel “Spider-Man: Across the Spider-verse”, capitanato ancora una volta da Lord e Miller in veste di produttori e scrittori, ha messo in chiaro da subito una verità inequivocabile: l’unico modo per non uscirne con le ossa rotte era prendere il primo film e migliorare tutto ciò che già era solido.
Non serve neanche vedere il film per rendersi conto di quanto lo studio creda nel progetto; basta controllarne la durata per immaginare quanto sia mastodontico. “Spider-Man: Across The Spider-Verse” dura due ore e venti minuti. È un’anomalia per i film d’animazione, un minutaggio ineguagliato da qualsiasi produzione statunitense uscita fino ad ora. La cosa ancora più sorprendente, tuttavia, è scoprire, minuto dopo minuto, come una varietà così esorbitante di stili diversi, enormemente superiore a quella del primo film, sia stata unificata in modo così concreto, autentico ed appassionato dai registi Joakim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson, e dal loro talentuoso team.
Sembra impossibile, ma “Spider-Man: Into The Spider-Verse”, se messo a paragone con il seguito, sembra un prototipo di ciò che volevano raggiungere. Il primo film era una dichiarazione sul valore della propria identità; il sequel è una presa di posizione, una conferma innegabile dell’amore per ciò che viene raccontato e dell’abilità del team nel raccontarlo che schiaccia con sincera umiltà tutto il resto del mercato.
L’iconica inquadratura dove Miles “ascende” in caduta libera nel climax del primo film qui viene riproposta più volte, senza più cadere, senza eccedere nei movimenti, come a mandare il messaggio che Miles è in grado di muoversi consapevolmente come Spider-Man nel cielo dei grattacieli di New York. Ecco perché la sfida per Miles stavolta non è più solo dimostrarsi capace di essere Spider-Man, ma di essere un individuo in grado di muoversi in una realtà dove “ognuno è il proprio universo”; di trovare un punto di equilibrio tra l’affetto per la famiglia ed il desiderio di emancipazione; di tracciare la propria strada indipendentemente da quello che il destino abbia in serbo per lui.
Amy Pascal, produttrice di entrambi i capitoli, afferma: “Questo film è molto più grande [del precedente] e avrà tutta l’azione che il pubblico si aspetta. Ma ciò che spero che riusciremo ad ottenere sia che le scene di azione nascano dalla necessità di sviluppo del personaggio e che ci sia sempre una storia valida al centro di tutto – su questo siamo piuttosto rigorosi”.
Stando alle parole di Phil Lord. “Volevamo decisamente raddoppiare gli sforzi sugli elementi che hanno reso speciale il primo film senza trattenerci. L’obbiettivo era rendere tutto estremamente divertente ma anche andando a scavare riguardo ciò che rende Miles un personaggio convincente, come le sfide di crescere nella sua famiglia ed imparare a diventare il pieno sé, e in qualche modo risolvere la vicinanza che vuole avere con la sua famiglia e l’indipendenza che vuole avere in quanto giovane”.

A fronte di questi dilemmi interiori, Miles deve fare anche i conti con La Macchia, un cattivo autodefinitosi la sua nemesi, in grado di viaggiare liberamente nel multiverso, oltre che con l’esistenza di una vera e propria “Spider-Society”, guidata da Spider-Man 2099, Miguel O’Hara, nel disperato tentativo di fermare la minaccia inter-dimensionale e preservare il canone delle molteplici realtà.
Se nel primo film la presenza nella dimensione di Miles di più spider-personaggi diversi era la grande anomalia stilistica, stavolta è Miles ad essere l’unico punto fermo in un mondo in continuo mutamento. Da universi Lego che citano i precedenti lavori di Lord e Miller a parentesi live-action, il film presenta una diversificazione di situazioni e location davvero encomiabile.
La Brooklin dipinta a base di dot-printing in cui abita Miles lascia spazio ad universi come la realtà di Gwen Stacy, la New York della Terra-65, il cui look è frutto di un misto tra l’ispirazione alla gentrificazione artistica dei primi anni ’90 e all’estetica dei video musicali dei Nirvana; l’universo di Miguel O’Hara, Nueva York, ispirata ai lavori di Syd Mead, lo storico designer dietro “Star Trek”, “Blade Runner” e l’originale “TRON”; o come la città di Mumbattan, un incrocio tra Mumbai e Manhattan, in cui si muove l’indiano Pavitr Prabhakar, ispirato al tratto dei fumetti della linea degli anni ‘70 “Indrajal Comics”. Pavitr è un membro della “Spider-Society” peculiare, così come Hobie Brown, uno Spider-Punk figlio della scena underground londinese degli anni ’70, talmente anticonformista da cambiare stile d’animazione ad ogni manciata di secondi, e il cui universo assume la forma di un enorme collage di ritagli ed immagini degradate come se fossero stampe di una vecchia macchina Xerox.
E questo, solo per citare due tra le new entry più significative, menzionando anche il ritorno di personaggi che chi ha già visto il primo film ha già imparato ad amare; primo su tutti Peter B. Parker, stavolta alle prese con la figlia “Mayday”.
Il ritmo è elevatissimo, ed è presente una mole di gag, blurb per le curiosità, e personaggi, tra primari, secondari, e innumerevoli comparse a schermo, a volte talmente soverchiante da rendere impossibile apprezzare tutto alla prima visione. Eppure, tutto funziona e culmina in scene d’azione da capogiro, così vulcaniche da far sembrare statico anche il più esuberante film del Marvel Cinematic Universe con attori in carne ed ossa.
È un caos controllato, una presa di coscienza destabilizzante di quanto i creatori del film comprendano il pieno potere del supereroe originale e del medium in cui lo fanno muovere. La carica creativa esplode completamente, come a lavorare al film ci fosse un esercito di Banksy, ma sottolineando ancora una volta quanto quello che fa davvero risplendere tutti questi elementi sia l’altissima qualità della scrittura, pari, se non addirittura superiore, al primo film.
Octavio E. Rodriguez, sceneggiatore di “Ron – Un Amico Fuori Programma”, qui head of story, afferma “Volevamo essere il più autentici possibili con i vari personaggi e gli ambienti che attraversano. Offriamo uno sguardo a questi mondi paralleli di tutti questi Spider-Man tra India, Inghilterra e altri luoghi. Spero che il pubblico raccolga il messaggio che sì, la vita può essere dura, ma tu devi continuare a camminare e percorrere la tua via. È Ok chiedere aiuto! È entusiasmante lavorare ad un film che senti che le persone riguarderanno più volte e di cui vorranno scovare tutti i dettagli”.
“Spider-Man: Across the Spider-Verse” è una pellicola come se ne vedono pochissime. Nonostante il doloroso cliffhanger, l’unico vero neo della produzione dovuto ad una trama talmente ricca da essere impossibile da chiudere con un solo film, Sony Pictures Animation ci ha regalato un’esperienza strabiliante che merita di essere vista al cinema a tutti i costi, con la certezza che, se “Spider-Man: Beyond the Spider-Verse” riuscirà a concludere la storia in maniera ottimale, ci troveremo tra le mani una delle trilogie cinematografiche più belle di sempre.
“Spider-Man: Across the Spider-Verse” è dal primo giugno al cinema!

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