Gran Turismo, il film

Sony, più di qualsiasi altro sviluppatore di videogiochi, crede nel potenziale cinematografico dei suoi prodotti. Lo suggerisce sì il taglio registico di molti progetti di punta degli ultimi anni come “The Last of Us”, Uncharted” o gli ultimi capitoli di “God of War”, ma soprattutto l’alto numero di trasposizioni sul grande e piccolo schermo in produzione. Sono soprattutto i prodotti seriali a brillare, con la serie prodotta da HBO dedicata a “The Last of Us” che è stata universalmente apprezzata da critica e pubblico. Le sale, invece, offrono prodotti non proprio esaltanti come il film animato su “Ratchet & Clank” o l’adattamento di “Uncharted” con protagonista Tom Holland. “Gran Turismo”, da sempre una serie storica Playstation, non sdogana completamente questa corrente, ma è ad oggi il miglior film ispirato ai grandi giochi Sony. Sfoggia un gran cast, dove svettano Orlando Bloom e David Harbour, e la regia di Neill Blomkamp, autore di “District 9”, “Elysium” e “Humanandroid”. “Gran Turismo” riesce a soddisfare per un paio d’ore i fan della serie e lo spettatore occasionale, ma funziona soprattutto per la solida formula del genere a cui appartiene piuttosto che per propri meriti.

In quanto simulatore di guida, “Gran turismo” non ha mai avuto una vera e propria modalità storia tradizionale, quindi è stata fatta la scelta intelligente di basarsi su vicende parallele al gioco in sé. Il film è una trasposizione romanzata della vera storia di Jann Mardenborough (interpretato da Archie Madekwe) e del suo ingresso nella GT Academy, un’iniziativa lanciata dall’allora marketing executive della Nissan, Danny Moore (interpretato da Orlando Bloom), atta a far diventare dei giovani campioni di E-Sports dei veri e propri piloti professionisti. Tra mille tribolazioni e contro le aspettative di tutti, soprattutto del padre che lo ammonisce ad ogni occasione, sarà proprio il giovane di Cardiff a guadagnarsi l’ambito premio e a vincere la gara sul circuito più difficile e prestigioso del mondo.

Nel genere dei film sportivi la struttura portante è sia croce che delizia. Il film si presenta con un primo tempo che racconta un tipico “underdog”: c’è il conflitto con la famiglia e con i propri superiori a causa di un sogno impossibile; c’è la volontà incrollabile di raggiungere quel sogno e di dimostrare di essere all’altezza; c’è una storia d’amore estremamente abbozzata. Si vince; si perde; ci si confronta con il rivale spaccone; si viene sgridati dal coach burbero dal tragico passato (interpretato da David Harbour), il cui cuore verrà inevitabilmente conquistato dal protagonista; si torna di nuovo in gara. Una struttura da manuale, macchiata dall’alto numero di volte in cui viene ripetuto quanto Gran Turismo sia “il più grande simulatore del mondo”, che ad un certo punto inizia a suonare meno come una frase detta da un personaggio e più come un product placement autoreferenziale. Le cose si fanno più interessanti dal secondo tempo in poi, quando Jann è costretto a confrontarsi con piloti professionisti ed inizia ad accumulare sconfitte su sconfitte. Tifare per Jann diventa facile, nonostante il film non dia mai troppo spazio alla fatica a cui l’atleta si sottopone, e le gare diventano più coinvolgenti e con una regia più accattivante che valorizza la grande varietà di situazioni e tracciati.

Gran Turismo

Lodevole lo sforzo nel ricreare effetti fedeli alle gare in game, come l’uso dell’effetto sonoro che si sente ogni volta che il giocatore cambia di posizione o completa un giro, l’evidenziazione dei percorsi ottimali tratteggiati in blu o in rosso e la presenza della mini-mappa in basso a destra dello schermo quando viene presentato un nuovo circuito. Sono tutte cose che faranno la gioia di chi conosce le meccaniche di gioco, ma risultano comunque ben calate nel contesto arcade e nel ritmo frenetico della pellicola. Blomkamp conosce bene il campo degli effetti speciali ed ha sempre avuto acume riguardo la loro integrazione con il girato. Ne consegue che la regia sa quando e quanto mostrare le contaminazioni tra gioco e reale, a volte con situazioni davvero creative.
“Gran Turismo” è più “Rush” che “Le Mans ‘66”. È un film divertente da seguire, ma la cui forte prevedibilità strutturale è esacerbata dalla lunghezza. Come opera di connubio tra cinema e videogioco, invece, funziona in maniera magnifica, poiché permette di riflettere su quanto il mondo reale e quello virtuale siano sempre più vicini e capaci di influenzarsi a vicenda. La frase “Tratto da una storia vera”, d’altronde, assume tutt’altro sapore quando viene accompagnata dal suono che si sente all’accensione di una PS5.

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