THANKSGIVING


Un’isteria di massa nata dai saldi del Black Friday di una catena di megastore, quasi in un velato richiamo a “La Notte dei Morti Viventi” di George Romero, dà il via a “Thanksgiving”. La folla scalpita e le persone si accalcano verso gli ingressi del supermercato così violentemente da schiacciare i malcapitati clienti arrivati per primi. I protagonisti, cinque adolescenti, si trovano nel mezzo della folla ed alcune persone muoiono sotto i loro occhi. Piuttosto che chiedere soccorso, uno dei giovani inizia a filmare la scena e a postarla sui social.
“Ha filmato sé stessa e non la rissa che stava avvenendo alle sue spalle”, dice uno di quegli stessi ragazzi poco prima che inizi il disastro. Un’ipocrisia di fondo che si biforca in una satira sociale e in un approccio così malsano al consumismo da risultare sia grottesco che comico. Eli Roth prende questi ingredienti e, come se non fossero passati più di quindi anni da “Hostel”, mostra tutta la sua anima pulp e fa scontare ai protagonisti le loro colpe nell’unico modo in cui è permesso in uno slasher movie: facendoli morire, uno per uno, in modo sempre più crudele per mano di un efferato serial killer in cerca di vendetta.
“Thanksgiving”, nonostante l’integrazione dei social e di una blanda critica sociale, è in tutto e per tutto uno slasher movie vecchia scuola trasportato dagli anni ’80 ad oggi, con la stessa profondità di trama e gli stessi livelli di acume mentale e spessore dei personaggi coinvolti. Poco male; non ci si affeziona troppo per quando verranno inevitabilmente massacrati. Capita che il film scada spesso nei cliché di genere come i jumpscare, ma è sorretto da un discreto numero di situazioni diverse ed è sufficientemente vario da risultare sempre gradevole. Dopo l’inizio, procede con una parabola in stile “So cos’avete fatto la scorsa estate”, per poi cambiare filtro e strizzare l’occhio ad “Anarchia: la notte del giudizio” nelle poche scene all’aperto; poi cambia rotta ancora e diventa un capitolo perduto di “Scream”.
“Thanksgiving” risulta molto poco pretestuoso e non fa passare niente di quello che affronta come nuovo o eccezionale, a differenza di altri film simili. Il font stesso del titolo richiama i film slasher d’epoca. C’è un uso quasi comico ed enfatico nella colonna sonora durante le scene cruente ed i personaggi principali e comprimari diventano simpatici per le caricature low-brow (uno di loro è letteralmente soprannominato Scuba a causa del cognome Diving). È un film che riesce ad orripilare e divertire allo stesso tempo, per quanto possa essere divertente vedere una persona essere farcita e condita per poi essere cotta al forno come un tacchino del ringraziamento.


Il film, infatti, è tenuto insieme soprattutto, oltre che dai divertenti dialoghi da B-movie e ad un gusto citazionistico evidente, da una violenza ed un gore esageratissimi, con torture fisiche così grottesche ed estreme da sembrare una parodia ad alto budget di uno snuff movie. Ci sono scelte che danno colore e un’identità più sensata all’ennesimo killer mascherato e a una trama che a sua volta sembra rimasta a qualche decade fa.
È un horror che, alla fine dei conti, risulta inoffensivo, nonostante la violenza estrema dei contenuti, poiché è consapevole di essere “solo” uno slasher movie, seppur sopra la media. È un film perfetto per una serata tra amici. Un horror senza pretese, che ci fa ringraziare che esistano ancora degli horror capaci a loro modo di elettrizzare.

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