Nell’immaginaria isola mediterranea di Rosas, il sovrano Re Magnifico (Chris Pine in originale; Michele Riondino in italiano) usa le sue potenti arti magiche per custodire i sogni più preziosi degli abitanti del suo regno, con la promessa che un giorno diventeranno realtà. Re magnifico è idolatrato dai suoi sudditi, compresa la giovane protagonista Asha (Ariana DeBose in originale; Gaia Gozzi in italiano), sempre accompagnata dalla fedele capretta Valentino. Asha sogna di diventare apprendista del re per aiutarlo a soddisfare i sogni del popolo e rendere realtà quello del suo nonno centenario, ma la situazione si capovolge in fretta quando Re Magnifico mostra la sua vera natura solo agli occhi della ragazza: la sua magnanimità nel custodire i sogni cela un desiderio di controllo mascherato da protezione. Anche se significa privarle di una parte del loro io, le persone vanno protette da desideri troppo grandi e pericolosi, e solo il re sa cosa sia giusto per gli altri.
Il desiderio di Asha di aiutare gli altri è tuttavia puro e forte. Il suo canto appassionato richiama la magia della Stella dei Desideri, la quale si manifesta sotto forma di un simpatico spiritello di nome Star. La magia di Star riempie il mondo di meraviglia: tutto viene “disneyificato” e diventa parte di numeri musicali coloratissimi: dagli alberi agli animali parlanti, tra cui anche la capretta Valentino (Alan Tudyk in originale; Amadeus in italiano).
Con l’aiuto di Star e dei suoi amici, Asha decide di trovare un modo per mettere fine al tirannico accaparramento di sogni da parte di Re Magnifico, smascherandolo e dimostrando a sé stessa e a tutta la gente di Rosas che ognuno può raggiungere il proprio sogno con la sua forza innata.
La storia che racconta “Wish” è molto semplice e volutamente priva di sorprese impressionanti per riportare la formula ai fasti di classici come Biancaneve, Bambi, Cenerentola o Peter Pan. L’aria sognante è palpabile ed è piacevole assistere ad una vicenda con un’impostazione così classica ma con la verve di una produzione contemporanea come può essere “Frozen”. Lo charme che ha “Wish”, però, nasce dalla forza degli elementi caratteristici utilizzati in partenza, che sono ormai consolidati da quasi un secolo e sono immediatamente riconoscibili a tutti. Il senso di familiarità è dolce e avvolgente, ma, quando tutto è finito, lascia l’impressione che il film sia un po’ schiavo dei suoi intenti. È un classico che può emozionare, e a volte ci riesce, ma a cui sembra manchi una sua identità. Funziona tutto, ma in modo molto manieristico.
Il film è infarcito di citazioni più o meno velate al canone ed i personaggi, per la maggior parte, sono dei riarrangiamenti palesi e divertiti di caratteri preesistenti. Il lavoro è sicuramente stato fatto con intelligenza ed amore, ma il risultato finale è meno appassionante del previsto. Le basi originali sono sufficientemente solide, ma le belle idee che vengono introdotte, come le false promesse fatte per mantenere l’ordine, il senso di vuoto degli abitanti di Rosas dopo che hanno affidato un frammento della loro anima al re, o anche le simpatiche interazioni off-screen con gli animali parlanti, restano spesso sottoutilizzate o sviluppate in modo molto rapido. Persino il tema più interessante del film, affrontato durante un numero musicale con gli animali, torna solo durante il climax del film per assumere la funzione di un deus ex machina. Fatta eccezione per un singolo personaggio secondario, il resto del vastissimo cast rimane monocorde e non affronta mai un’evoluzione. Tesi interessanti, come la posizione di Asha su cosa un capo giusto debba fare o la stessa idea dei sogni potenzialmente pericolosi tenuti in ostaggio, non hanno seguito oltre quel punto di partenza. In quest’ultimo caso, forse l’intento era di non dare una ragione a Re Magnifico che lo umanizzasse troppo, per paura di rientrare in quella fascia di cattivi-buoni e redimibili di cui la stessa casa ha fatto largo uso negli ultimi anni.
È una fortuna, dunque, che Re Magnifico rubi la scena in ogni situazione in cui è coinvolto e sia la vera star del film; un leader carismatico, competente e machiavellico che riesce con facilità a prendere strumenti e personaggi a favore dell’eroe e a ritorcerglieli contro. Se è vero che molti dei grandi film Disney del passato hanno funzionato anche in virtù dei loro antagonisti, Re Magnifico ridà ampio credito a questo pensiero. La sua unica debolezza, come per molti altri aspetti del film, è che sembra studiato a tavolino per ripercorrere le orme dei grandi cattivi come Jafar e correggere l’assenza di malvagi nei film più recenti. Già all’anteprima di giugno, Jennifer Lee aveva affermato orgogliosa “yes, we have a villain!”. Dovevano essere così orgogliosi del lavoro svolto su di lui che non hanno dato spessore a quasi nessuno degli altri personaggi, protagonista e spalla comica compresi (Valentino in particolare è il brutto genere di spalla comica, di quel tipo che non ha alcuna rilevanza a livello di trama e il cui unico tratto interessante è essere interpretato da un personaggio famoso).
Qualsiasi tipo di innovazione va cercata nel comparto estetico, anche lì, meno d’impatto del previsto e a tratti piuttosto deludente. Il design delle architetture è ricercato; il look dei personaggi, Star sopra tutti con il suo design da simil-Sfavillotto, è molto gradevole; la qualità delle animazioni è lodevole; la recitazione virtuale è stellare. Purtroppo però, non si può dire lo stesso del lato tecnico duro e puro.
L’idea di fondere 2D e 3D insieme e di ricalcare lo stile degli sfondi disegnati a mano funziona solo a metà. Alcuni fondali sono molto dettagliati, ma il più delle volte gli ambienti appaiono vuoti e piatti ed i modelli dei personaggi faticano ad amalgamarsi allo spazio in cui si muovono. Tolti un paio di numeri musicali, a livello di regia le scene risultano molto spesso statiche e poco brillanti, tecnicamente indietro addirittura al Deep Canvas utilizzato per “Tarzan” del 1999, che a sua volta fondeva 2D e 3D insieme in modo molto più convincente (incomprensibile se si pensa che Chris Buck ha diretto entrambi i film). Tutto è indubbiamente colorato e grazioso da vedere, ma in un anno in cui sono usciti “Spider-Man: Across the Spider-Verse”, “Tartarughe Ninja – Caos Mutante” e “Nimona” (tra l’altro un progetto sperimentale affondato proprio dalla stessa Disney e salvato grazie a Netflix e Annapurna), “Wish” ne esce sconfitto, soprattutto contando l’importanza ideale di un film che dovrebbe rappresentare il centenario della casa d’animazione più importante del pianeta.
Anche la musica, elemento cardine di ogni prodotto Disney di punta, soffre di questa crisi di personalità. La formula storica, composta da canzoni dedicate all’eroe, all’antagonista, ai comprimari ed al mondo in cui si ambienta la vicenda, è valida ma poco incisiva. Lo stile delle canzoni è una sorta di via di mezzo tra il beat di Lin-Manuel Miranda e le armonie di Alan Menken, tanto per rimarcare ancora la volontà di unire passato e presente. Ne risulta una colonna sonora che non brilla particolarmente di luce propria, ma risulta orecchiabile e ben prodotta, con un paio di brani che spiccano sugli altri (che sono anche quelli con gli accompagnamenti visivi più interessanti).
Il doppiaggio, almeno nell’adattamento italiano, si colloca più o meno sullo stesso piano di “Elemental” della Pixar, compreso il livello dei talent coinvolti (Re Magnifico ruba la scena anche in questo caso) che in alcuni casi svilisce un quadro generale altrimenti molto positivo, frutto della direzione sensibile ed accorta di Massimiliano Manfredi. Se si può discutere sulla presenza dei talent e sulla qualità di alcune interpretazioni, è impossibile muovere la minima critica verso l’edizione italiana della colonna sonora, impeccabile. D’altronde l’adattamento è ancora una volta, come per tutti gli altri classici, a cura di Virginia e Lorena Brancucci, ed è una garanzia assoluta di qualità.
Wish è un film al 100% Disney, pure troppo riconoscibile come tale. È adorabile ed ha il grande pregio di avere un messaggio vero ed universale così limpido da poter essere compreso anche dai muri, ma gli manca quel qualcosa in più, quel guizzo creativo in grado di farlo diventare qualcosa di davvero speciale ed autonomo, un classico di fatto oltre che di nome. È un film frutto di una Disney un po’ troppo autocompiacente, molto sicura delle proprie idee e avulsa ad ogni tipo di rischio, al contrario di quanto il nuovo stile grafico adottato possa suggerire. Wish è perfetto per i fan della casa del topo di tutte le età, ma è solo un’altra stella di questo illustre firmamento.