‘Padri e Figlie’ dalla A alla Z.

Padri e Figlie nasce da una sceneggiatura di Brad Desch che da qualche tempo era stata notata da alcuni produttori ed agenti di Hollywood e cercava un regista per trasformarsi finalmente in film, per vedere la luce del proiettore di una sala illuminare lo schermo con le sue immagini. “Appena finii di leggerla – afferma il regista – rimasi immediatamente colpito dalla sua forza e ampiezza di piani di racconto e di possibilità di lettura dei personaggi e delle storie che la definiscono. E’ una storia con una struttura che riesce con grazia a far convergere in modo organico e naturale un microcosmo di umanità ferita da abbandoni, ammalata di avidità e colma di amore, in un’unica narrazione, senza mai perdersi in una delle sue tante sotto trame”.

padri e figlie locaCon lo sviluppo della storia assistiamo allo svolgimento del racconto su due binari che si incrociano continuamente, eppur marciano paralleli e ci permettono così di assistere contemporaneamente all’infanzia della bambina Katie e alla sua età adulta nella New York di oggi, 25 anni dopo, quando divenuta ormai una giovane donna, studia psicologia e vuole dedicarsi all’assistenza di bambini con turbe e traumi della psiche.

A dare vita al personaggio di Katie adulta è Amanda Seyfried, una donna che non sa amare ed è catturata nell’eterna ricerca di un padre che non potrà ritrovare. E’ una ragazza che non riesce a lasciarsi andare tra le braccia di un uomo che la ami, per la costante paura di perderlo, per lo smarrimento che ne conseguirebbe, e per quella che è la madre di tutte le paure, ovvero la morte. Katie fugge dalla vita perché ha paura di viverla. Anche l’abbandono da parte di chi si ama sarebbe per lei come un nuovo lutto. E allora, dal suo punto di vista, è meglio non amare, usare gli uomini come distrazioni veloci, passarci insieme poco tempo, senza legami, senza complicazioni di alcun genere e via. Il viaggio che Katie dovrà compiere sarà proprio quello di riuscire a superare il suo istinto autodistruttivo per imparare infine ad arrendersi all’amore.

Amare è difficile, è complicato, può essere doloroso e tanto. Ma siamo tutti figli. Anche quando siamo genitori, siamo comunque figli in cerca di qualcuno che ci ami e a cui dare il nostro amore. Siamo il risultato delle nostre infanzie. A volte è bastata una semplice frase di un conoscente, durante i nostri primi anni, per segnarci per sempre. Siamo spugne viventi, gonfie del risultato di una programmazione involontaria che il nostro subconscio ha respirato nel nostro habitat primordiale, nella nostra famiglia, con i nostri amici e in virtù di tutto ciò che abbiamo vissuto, visto, ascoltato, durante quei nostri primi anni di vita.

La nostra natura e istinto ci porta poi però anche in posti sideralmente opposti a quelli ai quali approdano i nostri fratelli e sorelle cresciute con noi nei nostri stessi ambienti familiari.

E’ comunque così che diveniamo adulti, misurandoci con la proiezione di chi crediamo o desideriamo di essere e chi siamo veramente. Padri e Figlie parla fondamentalmente di crescita. Siamo, in misura non quantificabile, il risultato di ciò che abbiamo vissuto da bambini.

“Parlando più specificatamente del film dal punto di vista registico – sostiene Gabriele Muccino -, la gestione delle emozioni, la direzione degli attori e il montaggio del film, ovvero di come si dovessero intersecare tra loro le storie di Katie bambina e Katie adulta, sono state la parte più delicata dell’intero processo di realizzazione. Potevo infatti estendere le sezioni del film a mio piacimento. Ma si correva facilmente il rischio di dimenticarci di alcuni personaggi e storie laterali se non rientravo al momento giusto nel plot parallelo tenendo tutti i personaggi coesi e uniti tematicamente tra loro”.

Il livello di prestigio del cast è assolutamente straordinario. “Ho avuto a che fare con attori sublimi – conferma Muccino -, 3 premi Oscar (Russell Crowe, Jane Fonda e Octavia Spencer) e altre due splendide attrici già candidate a loro volta agli Oscar come la fantastica bambina orfana Lucy (Quvhanzanè Wallis) e la psicanalista di Katie, Janet McTeer. Tutti questi attori fenomenali hanno partecipato al film, alcuni di loro anche solo per pochissime scene, perché hanno amato sinceramente e indiscutibilmente la storia e volevano farne comunque parte”.

Amanda Seyfried porta a casa una performance potente navigando sempre su un filo invisibile in cui avrebbe potuto, col comportamento autodistruttivo del proprio personaggio, perdere facilmente la simpatia del pubblico. “Non nascondo di averla guidata e diretta – assicura il regista – ma lei è stata un autentico cigno che ha preso il volo ogni volta che le ho chiesto di volare. E infatti conquista il pubblico proprio perché la sua vulnerabilità di bambina mai cresciuta, la sua lotta con i propri demoni, crea una fortissima ed eccezionale, secondo me, empatia nei suoi confronti. Lavorare con Russell Crowe è stata un’esperienza che mi ha lasciato spesso a bocca aperta. E’ un gigante assoluto, un professionista tenace che porta sul set, e nel personaggio che incarna, una profondità, una forza attoriale, una serietà di approccio e allo stesso tempo una dolcezza che francamente non potevo aspettarmi. Ho inoltre amato davvero lavorare con Aaron Paul. Per i fans di Breaking Bad, qui, per incarnare il personaggio di Cameron, ha tirato fuori la sua vera natura, (che nella vita reale non potrebbe essere più distante da quella di Jesse Pinkman!). Il personaggio di Cameron è, e doveva essere, un ragazzo giovane ma saggio, centrato, affascinante e non ordinario ma allo stesso tempo nemmeno futilmente eccentrico. Insomma Cameron è l’uomo di cui Katie finisce per innamorarsi e rimettere in discussione la sua incessante fuga dalla “vita”. Prima di trovare chi interpretasse il personaggio di Cameron mi sono chiesto spesso cosa dovesse e potesse renderlo abbastanza speciale agli occhi di lei, in qualche modo diverso da chiunque altro lei avesse incontrato prima. Credo che il lavoro fatto da Aaron Paul e alcuni ritocchi sulla sceneggiatura, abbiano dato al personaggio di Cameron la dimensione giusta per convincerci, e convincere Katie, che non si può trascorrere la vita fuggendo. C’è un momento, nella vita (non ce ne sono tanti), in cui, se incontriamo la persona giusta e non siamo in grado di riconoscerla e fermarci con lei, la perderemo per sempre. E plausibilmente non la incontreremo più”.

Possiamo illuderci di fuggire dal dolore e dal lutto, ma prima o poi, dobbiamo fare i conti con tutta la meraviglia e la sofferenza della vita e andare comunque avanti. Perché la vita è anche capace di fare questo: di piegarci e di lasciarci a terra inermi e confusi, e se non siamo forti abbastanza da rialzarci e andare avanti senza mollare, rischiamo di non rialzarci più.

Non mollare mai è proprio quello che Jake, (Russell Crowe), racconta nel suo libro (da cui il film prende il titolo) e coincide con quello che fa il proprio personaggio durante il film. Resiste davanti ad ogni forma di ostacolo. Prima la malattia, poi i cognati Elisabeth e William, interpretati da Bruce Greenwood e Diane Kruger, che cercano di portargli via la figlia puntando proprio sulle sue debolezze umane, fisiche e artistiche.

Ultima, ma certamente non ultima, viene l’interpretazione mozzafiato della piccola Kylie Rogers, oggi già conosciuta per il suo ruolo in Whispers, una serie televisiva americana della ABC. “Ma quando io cercavo una bambina che attraversasse un arco narrativo così complesso come quello della giovane Katie e che avesse inoltre anche la somiglianza fisica con Amanda Seyfried, non sapevo davvero come sarebbe finita. In questi casi, infatti, puoi sbagliare film se non indovini un personaggio come quello della piccola Katie. Solamente due settimane prima di iniziare, ero incline a scritturare un’altra bambina. Ma non era perfetta, avrei dovuto lavorarci molto. Poi, dal nulla, è saltato all’improvviso fuori il provino di Kylie Rogers e ho fatto letteralmente un salto sulla sedia. Kylie non è semplicemente una giovane attrice. E’ un’autentica star. Ha tutta l’aura delle star e la sensibilità e profondità che solo il talento con la “T” maiuscola può donarti quando fai un mestiere difficilissimo come quello dell’attore”, sostiene il regista.

“Credo che il film – conclude Muccino – sia complesso, stratificato, ma anche semplice e lineare per raccontarsi sufficientemente da solo. Mi auguro che la mia passione verso il materiale, il cast e il supporto dei produttori nella realizzazione di questo progetto ambizioso, tocchi il cuore degli spettatori come ha toccato il mio e quello di tanti che vi hanno lavorato”.

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