Una lezione di cinema da segnare sul taccuino per la giornata di lunedì 30 giugno al festival Il Cinema Ritrovato (che la Cineteca di Bologna promuove fino al 5 luglio) è quella di Giuseppe Tornatore su Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, autore a cui Tornatore è particolarmente legato e con il quale ha scritto il libro-intervista Io lo chiamavo cinematografo (alle ore 17.15 al Cinema Lumière).
E alla sera sempre di lunedì 30 giugno, alle ore 21.45, Giuseppe Tornatore presenterà il nuovo restauro di Salvatore Giuliano al pubblico di Piazza Maggiore.
Parallelamente, spazio alla sperimentazione cinematografica di Peter Kubelka, che presenterà in Piazzetta Pasolini alle ore 22.15 Monument Film, sorta di incontro tra il suo lavoro del 1960 Arnulf Rainer e il suo “seguito” ideale, realizzato nel 2012, Antiphon. La serata è promossa dal Forum Austriaco di Cultura e si inserisce nell’omaggio che Il Cinema Ritrovato dedica ai 50 anni dell’Österreichisches Filmmuseum.
E in tema di restauro digitale, il nuovo restauro di Per un pugno di dollari, presentato dalla Cineteca di Bologna al Festival di Cannes e ora nelle sale italiane, verrà illustrato dal direttore del laboratorio L’Immagine Ritrovata Davide Pozzi lunedì 30 giugno, alle ore 12 al Cinema Lumière, a margine di un incontro con uno dei più grandi esperti internazionali del cinema di Sergio Leone: Sir Christopher Frayling.
Il mio scopo non era quello di dedicarmi al personaggio di Giuliano: era di interessarmi alla Sicilia, ai valori umani, alla tragedia umana scaturita dai rapporti tra Giuliano e gli altri siciliani, tra Giuliano e i carabinieri, tra Giuliano e la vera politica italiana di quell’epoca. Mitizzare Giuliano era inevitabile, in quanto non approfondire il personaggio voleva dire per forza mitizzarlo. È logico: dopotutto Giuliano era un mito e io ho mirato a non distruggere il mito. Poiché personalmente non mi interessava di lui, e non mi interessava neanche distruggere il suo mito. Mi interessava invece raccontare la Sicilia. Infatti, ciò che mi ha fatto più piacere è che i siciliani abbiamo riconosciuto – come ha fatto lo stesso Sciascia che stimo moltissimo – che Salvatore Giuliano era il primo film vero sulla Sicilia. […] I fatti mi davano due possibilità, anzitutto quella di far capire allo spettatore quanto era accaduto tramite l’emozione: ecco il cadavere. Poi quella di collegare tutti i fatti nello svolgimento di un processo in cui si rivivevano tutte le contraddizioni viste in precedenza. Francesco Rosi in Dossier Rosi di Michel Ciment, a cura di Lorenzo Codelli, Editrice Il Castoro, Milano 2008.
La struttura dei flash-back è assai destabilizzante per la scorrevolezza del racconto, dato che non c’è un unico presente, ma due presenti successivi (i primi tre momenti del passato sono ‘convocati’ a Castelvetrano nel 1950, il quarto a Viterbo molti anni dopo), in modo da scoraggiare l’inclinazione naturale dello spettatore a ricomporre i tasselli sparsi del puzzle partendo dal punto fermo solitamente individuato nel ritorno al presente.
Ma in Salvatore Giuliano questo tempo presente si sottrae o meglio scorre per stabilire un nuovo punto di partenza, che peraltro serve una sola volta. Inoltre, alla fine del film, l’ultimo omicidio dell’informatore Minasola costituisce una sorta di flash-forward inatteso. I vari momenti del racconto tendono così alla giustapposizione, più che alla successione o all’articolazione. Sono considerati in sé, paragonati invece che riposizionati in una possibile cronologia, perché ogni riordino presuppone una logica di concatenamento. Ora, quel che rende problematico il destino di Giuliano è proprio la sua opacità; le omissioni, le contraddizioni trasformano la sua avventura in confusione talvolta impenetrabile. Quindi, appena vi è un accenno di trama, Rosi la strappa, la fa a brandelli, la taglia, la amputa. Troncando qualsiasi filo storico o psicologico, il regista compone al contrario il suo film come se si trattasse di seguire i sobbalzi di un’inchiesta, con i suoi momenti forti e il suo brancolare nel buio, a immagine della vita stessa del protagonista, attraversata da violenza, battaglie, tensioni, e poi da errori, false piste e tiri mancini.
Ma questa negazione della dimensione cronologica a favore di relazioni ideologiche tessute tra presente e passato rende ancor più palese la natura disparata degli elementi così raccolti. […]
È evidente che l’ordine delle sequenze non è stato deciso al montaggio ma prima delle riprese, in fase di scrittura.
René Prédal, Salvatore Giuliano, poétique de la vérité, “Études cinématographiques – Francesco Rosi”, Lettres Modernes Minard, Paris – Caen 2001.
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