Nonostante la presenza di una star mondiale di prima grandezza come Julianne Moore, Still Alice resta il più autentico, realistico e onesto film sull’Alzheimer che sia mai stato prodotto per il circuito mainstream.
Presentata in anteprima mondiale al Festival di Toronto 2014 e al Festival Internazionale del Film di Roma 2014 nella sezione Gala, questa produzione proietta direttamente la Moore nell’olimpo delle candidate all’Oscar 2015 come Miglior Attrice Protagonista dopo il recente Golden Globe come Miglior Attrice in un Film Drammatico, notoria passerella verso il plauso ufficiale dell’Academy.
L’attenta e sensibile regia di Richard Glatzer colpisce ancor più allo stomaco se si pensa che un simile prodigio di equilibrio ed eleganza, ritratto vivente (come il titolo fa intuire) di una delle più tremende condanne a morte del nostro tempo, l’Alzheimer precoce, è stata realizzata usando un iPad per comunicare con il cast e la troupe, ovviando in tal modo, a quel “piccolissimo” limite del regista chiamato sclerosi laterale amiotrofica.
Diviene, a questo punto, necessario porsi la fatidica, sanguinosa e sanguinante domanda: non avendo terza via da percorrere…preferiremmo la consapevolezza di una progressiva, irreversibile, letale immobilità preservando intatta la propria identità o l’oblio di una memoria, di una consapevolezza che svanisce senza preavviso? Possiamo ancora definirci esseri umani se privati della memoria del nostro vissuto?
Questioni dolorosamente controverse. Ciò che, infatti, coinvolge sin dall’inizio lo spettatore di fronte a Still Alice non è tanto la radiosa bellezza, l’immane talento della stellare protagonista, sul quale non v’erano dubbi o la consapevolezza dell’essere di fronte al primo film in cui Kristen Stewart recita davvero e bene (scoop inaspettato), quanto la postura del personaggio Alice che vediamo intraprendere un percorso di progressiva conservazione digitale del sé, incluso un potenzialmente tragico epilogo. E’ la self awareness di questa donna brillante che ha fatto della comprensione del linguaggio al massimo livello la propria missione professionale, ad attraversarci l’anima come una lama di coltello, resa più affilata dalla relativa gioventù di chi è forzatamente costretto a tirare le somme della propria esistenza mentre è ancora “nel bel mezzo del cammin” della sua vita (il luogo comune vuole che Alzheimer colpisca solo gli anziani ma non è così).
Assistiamo ad un’eccezionale trasposizione dell’omonimo romanzo d’esordio della neuropsichiatra e scrittrice americana Lisa Genova, uscito in USA nel 2007 per poi essere tradotto e pubblicato in Italia da Edizioni Piemme con il titolo di Perdersi…e ci sta perché questa è, davvero, un’imperdibile visione.
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