Come acutamente sottolineato da Kevin Jagernauth, sembra che Gemma Arterton abbia una predisposizione verso l’interpretazione sul grande schermo dei personaggi creati dalla cartoonist britannica Rosemary Elizabeth “Posy” Simmonds, la quale ha pubblicato le sue strisce periodicamente su The Guardian per poi trasformarle in veri e propri libri a fumetti.
Due anni fa, Gemma ci deliziò come protagonista dell’adattamento di Stephen Frears Tamara Drewe ed ora ritorna per farci sognare con la sua semiomonima Gemma Bovery, evidente riferito a Madame Bovary (1856), immortale capolavoro di Gustave Flaubert (originario dei luoghi in cui fumetto e film sono ambientati. Rouen, in Normandia).
Presentata al Festival di Toronto 2014 nella sezione “Presentazioni speciali” ed in anteprima italiana come film di apertura di Torino 2014, questa regia della lussemburghese Anne Fontaine (Il mio migliore incubo!, presentato a Roma nel 2011 e Two Mothers, con le divine Robin Wright “ex Penn” e Naomi Watts) è infatti la trasposizione dell’omonima graphic novel realizzata da Posy Simmonds nel lontano 1999.
Impossibile non amare il grandissimo veterano del cinema francese Fabrice Luchini (adorabile in Confidenze troppo intime di Leconte del 2003 e Le donne del 6º piano di Philippe Le Guay del 2011), che era già stato diretto da Anne Fontaine nel 2008 (La fille de Monaco) nei panni del fornaio sessantenne folgorato dall’arrivo in città della dirompente Gemma dopo “10 anni di pace dei sensi che sono appena finiti”. Tema ricorrente anch’esso nella poetica in immagini della Simmonds. In Tamara Drewe, infatti, la giovane fanciulla distruggeva l’equilibrio mentale e fisico di un gruppo di intellettuali britannici che iniziavano a combattersi per conquistarla. In questo caso, il racconto prenderà una piega ben diversa, diciamo molto più coerentemente flaubertiana ma, sebbene la storia si dipani con note minori, la fascinazione resta intatta. Siamo di fronte ad un mero ed innocente divertissement e le figure di contorno sono, come è inevitabile che sia, vista la trama iperessenziale, decisamente bidimensionali ma il prodotto è confezionato in maniera sincera e genuina, proprio come il pane cotto costantemente dal protagonista, trovando nella semplicità-classicità del tema la propria forza.
Qui il racconto prenderà una piega ben diversa, diciamo molto più coerentemente flaubertiana ma, sebbene la storia si dipani con note minori, la fascinazione resta intatta. Gemma Arterton è, senza dubbio alcuno, la Sofia Loren britannica del XXI secolo. Di una bellezza globale, intercontinentale e disarmante. Ennesima prova, mai così tangibile, che il futuro del cinema è curvy e non possiamo che esserne lieti.