Afferma Andrea Carandini, presidente del Fai: “il patrimonio culturale è il valore che unifica gli uomini tramite le diversità e che ispira tramite la qualità, donando creatività, benessere e godimento. Le Giornate Fai di Primavera (24-25 marzo – https://www.fondoambiente.it/) rappresentano il maggior evento per riscoprire la Patria, in un recente passato, sfruttata o tralasciata”.
Si pensi a Roma col suo centro storico, racchiuso all’interno delle mura aureliane e gianicolensi, che comprende ben quasi trentamila punti di interesse ambientale e archeologico.
Lo sanno bene coloro che ogni giorno passeggiano e osservano quella meraviglia a cielo, aperto frutto di un’eredità millenaria. Come quelli che s’indignano per lo stato di incuria in cui, sciaguratamente, versano ampie aree artistico monumentali del Paese. E in periodi in cui, purtroppo, i limiti del budget costringono i manager culturali a fare gli equilibristi per tutelare il patrimonio e far quadrare i conti, si scopre che una soluzione facile per ovviare a tutto ciò c’è.
Abbandonare all’oblio tutto ciò che non artistically correct. La geniale intuizione da rispolverare è quella di Ruth Ben-Ghiat, professoressa di storia e studi italiani alla New York University. La prima vittima designata è quel capolavoro chiamato EUR, e questa è la sentenza: “In Italia, dove i simboli del fascismo non sono mai spariti, il rischio è diverso: visto che i monumenti fascisti sono trattati come semplici oggetti estetici non politicizzati, l’estrema destra può sfruttare la loro ideologia approfittando del fatto che tutti sono abituati a vederli. Dubito che le dipendenti di Fendi siano turbate dalle origini fasciste del Palazzo della civiltà italiana quando arrivano al lavoro, con gli stiletti e si ode il tacchettio sui pavimenti di marmo e di travertino, i materiali preferiti dal regime”.
Nel 1994 dice che Lei viveva a Roma, ma a quanto pare ha proferito parola contro l’abominevole Colonna Traiana, monumento perpetuo allo sterminio compiuto ai danni dei Daci da parte dell’Imperatore Traiano, che passeggiando per il centro era costretta a vedere.
O ancora, perché non incriminare la Library of Congress che consente a qualsivoglia cittadino americano di consultare migliaia di reperti fascisti, gelosamente preservati?
E perché non denunciare quei pericolosi fiancheggiatori fascisti del Guggenheim NY, che nel 2014 hanno avuto il coraggio con la mostra “Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe” di portare l’arte del Ventennio nel cuore della liberal Central Park?
Infine, gioverebbe ricordare alla NYU, come nel periodo di Firenze Capitale del Regno d’Italia la “Villa della Pietra”, loro sede italiana sia stata sede dell’Ambasciata di Prussia di Otto von Bismarck, il celebre “Eiserne Kanzler”. Proprio in quelle mura, si concepisce la politica espansionistica italiana che avrebbe portato alla conquista del Veneto tramite l’alleanza prussiana nella Terza guerra d’indipendenza. Ma a quanto pare alla signora questo non importa, o non è degno di citazione quando ospita gli studenti americani in visita alla sezione del college di Firenze. Forse Lei preferisce l’amenità bucolica delle dolci colline toscane al ricordo dei 50mila morti che la Bruderkrieg porta in eredità. E al tramonto tra un bicchiere di Chianti e l’altro, nella Villa si discetta amabilmente sulla architettura fascista e sul dovere morale dell’Italia di cancellare pezzi della sua storia perché eticamente riprovevoli, lì riecheggia lo stesso spirito del party tenuto nella penthouse a Manhattan di Leonard Bernstein detto “Lenny”, il 14 gennaio 1970, che porta Tom Wolfe a dire “Sono nati i radical chic”. Please make America great again.