In attesa del 2020, anno che sarà dedicato a Federico Fellini, Paolo Fabbri, uno dei maggiori studiosi di semiologia ex direttore dell’Istituto italiano di Cultura di Parigi e della Fondazione Federico Fellini di Rimini, ha presentato alla Sala Squarzina del Teatro Argentina di Roma un’analisi di libri, fumetti, sceneggiature, disegni, fotogrammi e musiche del grande regista, sviluppata all’interno del suo volume “Sotto il segno di Federico Fellini” edito da Luca Sossella Editore.
Introdotto dal critico cinematografico Steve Della Casa e insieme allo scrittore e professore universitario Paolo Bertetto con Andrea Minuz, professore di Storia del cinema all’Università “La Sapienza” di Roma, Paolo Fabbri ha analizzato le sceneggiature dei film più importanti dell’amico riminese tramite il metodo dell’indagine semiologica tentando alcune incursioni per chiarire qualche segreto, senza togliere il mistero originario. Ospite d’onore in sala l’attrice Sandra Milo, musa scelta da Fellini per “8 e mezzo”.
Il segno, nell’occasione concessagli dal semiologo, si dimostra essere la chiave di lettura non tanto dell’opera ma la parola chiave per ricondurre le invenzioni visive di questo regista a una famiglia culturale molto più alta: “Federico Fellini è un autore che non ha mai finito di dire quello che ha da dire, il libro di Paolo Fabbri è un testo importante perché intercetta memoria, immagini e memoria delle immagini all’interno del linguaggio del regista.” – ha spiegato Andrea Minuz.
Il metodo progettuale del più importante regista italiano, Federico Fellini, lo aveva visto Deleuze: “Il suo cinema non è mezzo di riconoscimento ma di conoscenza, scienza delle impressioni visive, che ci obbliga a dimenticare la nostra logica e le abitudini retiniche”. Di questa conoscenza per strappi e lacerazioni abbiamo molte testimonianze in Fellini, dai ricordi d’infanzia agli appunti di regia. “Per Fellini tutto è presente, come diceva Freud delle pietre romane: nella stessa pietra c’è quella augustea, la medioevale, la papale e via via fino all’EUR, come nel film Roma, appunto – ha osservato Fabbri – Non c’è profondità temporale, ma il tempo-ritmo di una successione orizzontale, d’una fila di presenti.”