JoJo Rabbit dalla A alla Z

jojorabbitJojo Rabbit, al cinema dal 16 gennaio 2020, è basato sull’acclamato romanzo di Christine Leunens, “Il Cielo in Gabbia”, pubblicato per la prima volta nel 2004. La storia prende il via nell’immaginaria Falkenheim. In questa pittoresca cittadina dominata dai nazisti, la fine della guerra si sta rapidamente avvicinando. Eppure, nella cameretta di Jojo Betzler, che ha dieci anni, sta montando l’attesa. Oggi per lui si presenterà finalmente l’occasione che aspettava da sempre: quella di unirsi al Jungvolk, la Gioventù Hitleriana. A Jojo, credulone e sensibile com’è alla pervasiva propaganda che lo circonda, questa sembra la sua prima occasione per fare qualcosa di grande e importante, per proteggere la madre single che ama più di ogni altra cosa, e forse anche per provare un senso di appartenenza. Per lenire le sue insicurezze, Jojo si fa accompagnare da uno sproporzionato amico immaginario: una versione clownesca e strampalata di Hitler, che, con il contorno di tutte le emozioni tipiche di un bambino, dispensa i consigli che Jojo avrebbe desiderato ricevere dal padre assente. Con Adolf in testa, Jojo si sente invincibile. Ma in realtà, per Jojo questo è solo l’inizio dei suoi problemi. Umiliato (e quasi decapitato) nel campo del Jungvolk, la sua frustrazione non fa altro che aumentare. Poi, a un certo punto, Jojo fa una scoperta che lentamente, ma radicalmente, sarà destinata a trasformare la sua visione del mondo. Inseguendo quello che crede essere una specie di fantasma, scopre invece che sua madre tiene nascosta una ragazza ebrea, con enormi rischi per tutti quanti. Lo shock quasi lo annulla: ecco il “pericolo” di cui era stato avvertito, qui in casa sua, sotto il suo naso, a pochi metri da dove ha l’abitudine di confidarsi con Hitler, il suo amico immaginario. Ma mentre Jojo cerca di tenere d’occhio la misteriosa Elsa, la sua paura e la sua attenzione si trasformano in qualcosa che nemmeno Adolf riesce a capire. Infatti, più conosce Elsa e più lei diventa una persona a cui Jojo non può immaginare che qualcuno, compresi i suoi idoli nazisti, possa fare del male. Se per un verso Jojo Rabbit è un’allegoria comica sul prezzo del predominio del fanatismo, non importa se in camera da letto o in una nazione, quello di Jojo è anche il viaggio molto realistico di un bambino che diventa grande. Perché trovando il coraggio di aprire la mente, scopre come l’amore abbia il potere di cambiare il suo percorso.

Il regista Waititi dice che la sua speranza è sempre stata quella che il film potesse portare un totale, profondo sconvolgimento. Voleva mettere in discussione la sua stessa comfort zone, ma anche la convinzione che le storie sull’era nazista fossero già state tutte raccontate, soprattutto in un momento in cui la lezione di quei tempi è ancora straordinariamente attuale. Con il nazionalismo, l’antisemitismo e altre forme di intolleranza religiosa e razziale che montano, la sfida di riuscire a catturare l’attenzione della gente era enorme.

“Sapevo di non voler realizzare un film drammatico che trattasse apertamente di odio e pregiudizio, dato che siamo già più che abituati a quello stile”, spiega Waititi. “Quando una cosa mi sembra un po’ troppo facile, mi piace farci irrompere il caos. Ho sempre pensato che la commedia fosse il modo migliore per mettere il pubblico in una buona disposizione. Così, con Jojo Rabbit, voglio conquistare il pubblico con le risate, e una volta che si è abbassata la guardia, incomincio a somministrare questi piccoli carichi drammatici con il loro peso importante”.

Per la scrittrice Christine Leunens, la ripresa del suo libro da parte di Waititi, così concentrata e dall’umorismo più tagliente, rappresenta un interessante utilizzo della commedia al servizio di una storia di enorme serietà. “Nei film di Taika le risate non sono mai fine a se stesse”, osserva la Leunens. “Hanno delle implicazioni. Anche se non le si coglie subito, se ne sentirà l’effetto nel seguito. È dopo la risata che incominciano a farsi sentire, e la coscienza viene spinta a riflettere su cose che non sono del tutto giuste, né divertenti, su emozioni più profonde e complesse, e tra queste, la percezione dell’assurdità della situazione, la tragedia e il dolore.

Sullo schermo i nazisti sono stati oggetto di parodia già negli anni ’40, quando erano ancora una minaccia globale, con il motivo ricorrente dell’ultima risata sempre riservata a loro. Come disse una volta Mel Brooks: “Se riesci a ridurre Hitler a qualcosa di ridicolo, hai vinto”.

La tradizione va da Chaplin (Il Grande Dittatore), Lubitsch (Essere o non Essere) e Brooks (The Producers), fino a John Boorman (Speranza e Gloria), Roberto Benigni (La Vita è Bella) e persino Quentin Tarantino (Bastardi Senza Gloria). Spesso ha scatenato polemiche. Si dice che il padre del comico ebreo Jack Benny sia uscito dal cinema sconvolto dall’interpretazione di suo figlio nei panni di un ufficiale della Gestapo in Essere o non Essere. Ma il film ha anche commosso generazioni e oggi è considerato un esempio magistrale di come la satira più ferocemente irriverente possa diventare un trampolino di lancio per una narrazione poliedrica e dal taglio umano.

Stephen Merchant, che in Jojo Rabbit interpreta la parte di un tetro gerarca nazista, osserva: “Sia durante la guerra, sia dopo, Hitler è stato costantemente deriso, perché per la gente era un modo di affrontare l’orrore a cui stava assistendo. Taika si inserisce nella stessa tradizione, ma con una sua voce molto moderna”.

La voce originalmente fuori dal coro di Waititi è per la prima volta venuta alla ribalta con una serie di commedie insolite e commoventi, caratterizzate da un tocco personale e per così dire artigianale, tra cui Eagle vs Shark e Boy. A seguito del successo del suo mockumentary Vita da Vampiro – What we do in the Shadows e della commedia avventurosa Vita da Selvaggi, Marvel lo ha scelto per portare la sua creatività bislacca in Thor: Ragnarok. (Ha anche interpretato Korg in quest’ultimo film, un ruolo che ha ripreso in Avengers: Endgame).

Jojo Rabbit è per molti versi candidato a rappresentare il culmine della sua carriera, con la sua mescolanza di elementi emotivamente intimi ed eccentricamente divertenti a temi epici che accendono la sua immaginazione. Ma in realtà il seme del film venne gettato dalla madre di Waititi, nativa neozelandese la cui famiglia russa di religione ebraica emigrò nel paese nei primi anni del 1900. Fu lei a leggere per la prima volta “Il Cielo in Gabbia” di Christine Leunens e a raccontare a Waititi la storia di un ragazzo la cui cieca fede in Hitler viene messa in discussione quando scopre che la sua famiglia tiene nascosta una ragazza ebrea dietro a un falso muro della soffitta.

“Gli parlò del libro, pensando che potesse avere un significato per lui”, osserva il produttore Carthew Neal. “Leggendolo, Taika si rese conto che era molto più serio di quanto immaginasse, ma aveva l’anima e la solennità richieste da una storia di questo tipo. Prese quindi le mosse da lì, aggiungendovi il suo tocco personale e trasferendo la storia all’interno del suo universo comico e variegato”.

Afferma Waititi: “Il libro è drammatico, pur avendo momenti comici. Ma ho sentito che se volevo affrontare questo argomento, avrei dovuto trattarlo con la mia personalità e il mio stile. In altre parole, più elementi fantastici e naturalmente più umorismo, una sorta di alternanza di dramma e satira”.

Waititi ha stupito la Leunens facendo del suo libro qualcosa di simile a un riff jazzistico, trasformando la struttura della storia in una buffa allegoria di come la disseminazione della paura possa mettere radici in menti ingenue, e come l’amore possa inaspettatamente fare crollare i muri che alziamo tra noi e gli altri. “Se il libro fosse un dipinto classico, il film di Taika sarebbe Guernica di Picasso”, riflette la Leunens. “Ha inserito tutte le scene più importanti, ma lo ha fatto aggiungendovi molti tocchi personali”.

In effetti, Waititi ha immesso in Jojo Rabbit la sua personale familiarità con la pervasività del fanatismo dei nostri tempi. “La maggior parte dei pregiudizi di cui sono stato vittima derivava dal colore della mia pelle”, spiega. “Tradizionalmente, in Nuova Zelanda, esiste un pregiudizio nei confronti del popolo maori. L’ho vissuto diventando grande e ho imparato a scrollarmelo di dosso. Non è un gran risultato, ma si fa quello che si può. In ogni caso, penso di essere riuscito a volgere in commedia molti di questi sentimenti. Ecco perché mi sento molto a mio agio nel ridicolizzare le persone che considerano una cosa intelligente odiare qualcuno per quello che è”.

Mentre scriveva il copione, Waititi si è lasciato conquistare soprattutto dall’idea che Elsa, la ragazza ebrea che emerge da dietro il muro, potesse trasformare Jojo, suo malgrado. “La cosa su cui ho deciso di puntare è stato il tentativo di creare un’amicizia tra due individui che, in cuor loro, si sentono nemici assoluti. Mi piace la dinamica per cui, contrariamente a quanto Jojo si aspetta, Elsa tiene tutte le carte in mano e conduce le danze”, aggiunge. “D’altra parte, si trovano in un circolo vizioso che li unisce, in quanto entrambi dovrebbero affrontare rischi terribili se il loro segreto dovesse essere svelato”.

Fondamentale per Waititi è stata anche la rappresentazione di tutti i nazisti del film come figure ridicole di cui farsi beffa, ma al contempo anche umane, con gli stessi difetti e debolezze che abbiamo tutti, il che rende la loro adesione all’ideologia fascista qualcosa di più grande di un agghiacciante ammonimento sulla facilità con cui le ideologie perverse possano attecchire su larga scala. Questo è particolarmente vero per Jojo, che inizialmente venera ciò che considera la forza di Hitler, fino a quando non riesce a cogliere in Elsa e in sua madre un potere ben più grande basato sui principi. “Per me era importante che Jojo fosse chiaramente rappresentato come un bambino di dieci anni che non sa assolutamente niente della vita”, spiega Waititi. “In pratica ama semplicemente l’idea di indossare un’uniforme e di essere accettato. Ed è così che i nazisti indottrinavano i bambini, facendoli letteralmente sentire parte di questa banda fantastica”.

Mentre nel libro della Leunens Jojo cresce, Waititi ancora per tutto il tempo il film al punto di vista di uno stupefatto bambino dell’età di dieci anni. “Mi interessava l’idea di indagare la follia della guerra e l’odio, cosa che gli adulti manifestano ampiamente, attraverso gli occhi di un bambino”, afferma. “Gli adulti dovrebbero essere coloro che guidano i bambini e li allevano per essere la versione migliore di se stessi. Eppure, quando i bambini ci guardano in tempo di guerra, penso che ai loro occhi gli adulti risultino ridicoli e insani. Così mi sono avvicinato al racconto come un bambino che fa del suo meglio per dare un senso al suo mondo, nel momento più assurdo e caotico della storia”.

D’altra parte, Waititi sapeva di dover dare al pubblico un motivo per seguire Jojo all’interno del suo mondo. “Dovevo trovare qualche modo per creare nello spettatore interesse per Jojo”, spiega. “Uno era quello di dimostrare che in realtà Jojo si sente bullizzato, spaventato e insignificante nel più ampio quadro delle cose, e, come tutti i bambini, ha grandi sogni”. Da un altro punto di vista, Waititi ha voluto porre al centro del suo film un resiliente legame tra madre e figlio. Ha trasformato Rosie Betzler non solo in una madre single, ma anche in una donna ribelle che decide che, fino a quando gli ideali di empatia e tolleranza saranno relegati ai margini, si batterà con coraggio per farli prevalere. Diversamente da Jojo, percepisce anche fin troppo chiaramente il mondo avvelenato che Hitler sta forgiando, e quindi la sua risposta immediata è quella di intervenire, “facendo quello che può”, come dice lei, il che, nelle sue modalità appassionatamente pratiche, non è poco. Ma questo significa anche nascondere a Jojo la verità che riguarda la sua vita per tenerlo al sicuro, sperando che il suo bambino si ravveda presto.

“Nella mia vita ci sono un sacco di donne forti, quindi volevo che anche questa fosse la storia di una mamma single dalla forza straordinaria che cerca di salvare suo figlio, e non soltanto da questa situazione orrenda, tentando allo stesso tempo di preservare l’innocenza di Jojo”, dice Waititi. “Il film Alice non abita più qui di Scorsese è stato per me un importante punto di riferimento. Ho sempre amato il ritratto di madre rappresentato da Ellen Burstyn in quel film, pasticciona e divertente, mi ricorda la mia, quindi era qualcosa a cui puntavo nella creazione del personaggio di Rosie”.

Se da una parte il film propone alcuni anacronismi come i brani dei The Beatles e Bowie, scrivendo il copione Waititi si è immerso in libri e documentari sulla seconda guerra mondiale. “Ho letto molto sulla psiche del popolo tedesco prima della guerra, e sulla questione di come sia stato possibile indottrinare l’intero paese, come sia stata sfruttata la disperazione della gente dopo la depressione”, spiega. “Ho guardato alcuni documentari, come La Seconda Guerra Mondiale a Colori e Hitler’s Children, The Hiltler Youth, per farmi un’idea più precisa della situazione. Volevo raggiungere la massima accuratezza, giocando solo con le musiche, la tavolozza dei colori e la lingua”.

Più Waititi andava avanti a scrivere e più il risveglio di Jojo sembrava rispecchiare il modo in cui il mondo reagì dopo la Seconda Guerra Mondiale: stordito da una perdita collettiva di innocenza, per poi essere di nuovo unito nell’affermare che non si sarebbe mai più permesso a idee tanto odiose di propagarsi in quel modo. Eppure, i tempi stanno cambiando ancora. “All’epoca in cui stavamo andando in produzione, iniziammo ad assistere a un rigurgito di questa mentalità”, osserva Waititi, “e il racconto della storia si fece ancora più urgente. Mi sento in buona compagnia con opere del tipo de Il Grande Dittatore, cerchiamo di divertire, ma tentiamo anche di fare presente quanto sia seria la situazione in questo momento. È anche un promemoria del fatto che quello di Hitler è un episodio veramente recente della storia umana e dobbiamo continuare a parlarne, perché le dinamiche che l’hanno provocato non sono affatto venute meno”.

Waititi non si è mai posto dei limiti nella scrittura del copione, sapendo che per dire ciò che voleva, doveva essere estremamente risoluto. “Da artisti ci si vuole mettere costantemente alla prova, e se non sono preoccupato del rischio che un progetto possa rivelarsi un disastro, non ci provo nemmeno”, confessa. “Mi piace che il mio lavoro risulti abbastanza pericoloso da poter essere un fallimento. Perché è allora che inizio ad attivarmi, incomincio a cercare di renderlo il migliore possibile, ed è così che crescono la mia creatività e la mia inventiva”.

Quando la sceneggiatura ha iniziato a circolare, quella forza inventiva è diventata la sua attrattiva principale. Il libero uso di un dialogo contemporaneo scelto da Waititi è molto piaciuto agli attori, che hanno apprezzato la sensazione di avere un piede saldamente radicato in una realtà molto vitale, e l’altro che si muove su un terreno molto più eccentrico. Sam Rockwell si è letteralmente innamorato della sceneggiatura. “Mi è sembrata geniale e non lo dico tanto per dire. Intendo dire, Taika ha una mente straordinaria”, sostiene Rockwell. “Ricordo di aver letto la scena in cui Rosie dice a Jojo quanto sia forte l’amore e Jojo le risponde: ‘È il metallo la cosa più forte del mondo!’. È una scrittura fresca e divertente, ma al tempo stesso piacevole e commovente”.

Rockwell continua: “Taika ha una sensibilità influenzata da Mel Brooks e dai fratelli Marx e la mescola con una narrazione incredibilmente intensa e pregnante. Sa camminare in bilico sulla corda tesa”.

Per Scarlett Johansson, che interpreta Rosie, la vivace madre di Jojo, l’interesse per la sceneggiatura risiedeva nei rischi che essa comporta: il modo in cui Waititi intreccia farsa e disastro, portando la storia dalla commedia nera alla più caotica follia, fino a uno struggente senso di meraviglia. “Ciò che di più bello ho trovato in questa storia è la speranza che si arriva a provare alla fine, del tutto inaspettata,” osserva la Johansson.

003_JR_04534_CCPer poter dare vita a Jojo Rabbit, Waititi doveva per prima cosa trovare uno Jojo in carne ed ossa. Sarebbe esistito nella realtà un ragazzo che potesse incarnare con disinvoltura la girandola di passioni cieche e di emozioni indomite del suo personaggio, riuscendo allo stesso tempo a caricarsi sulle sue piccole spalle anche i temi impegnati del film e la profonda trasformazione di Jojo? Per rispondere a questa difficile domanda, Waititi e il team del casting hanno esaminato oltre 1.000 video di provini. Hanno condotto una ricerca estenuante, dalla Nuova Zelanda e dall’Australia al Regno Unito, agli Stati Uniti, al Canada e alla Germania. Alla fine, la ricerca si è bruscamente arrestata nel momento in cui si sono imbattuti nell’undicenne britannico, Roman Griffin Davis.

Davis sembrava intuire, con una raffinatezza quasi inquietante per i suoi pochi anni, come il semplice desiderio di Jojo di essere accettato, ammirato e amato si piegasse al servizio un programma cupo e malvagio.

Neal ricorda: “Taika stava cercando qualcuno che avesse quella speciale scintilla negli occhi e il grande entusiasmo per la vita di Jojo. Roman ci è piaciuto subito, ma successivamente abbiamo anche potuto constatare che era dotato della capacità di mescolare rabbia, ansia, piacere della scoperta e altre emozioni delicate con l’umorismo. La capacità di concentrazione di Roman è impressionante per un bambino della sua età, ed è stato in grado di portare un’intensità unica in scene molto difficili”.

Davis afferma che il suo più grande momento di ispirazione è stato quello in cui ha intravisto la possibilità di ricordare alla gente la storia straziante del fanatismo, e quanto questo possa profondamente influenzare non soltanto intere società, ma in particolare i bambini.

“In un’occasione ricordo di avere parlato di una svastica a un amico, ma lui non sapeva cosa fosse. Gli dissi che è il logo nazista, ma non sapeva nemmeno che faccia avesse”, spiega Davis. “Spero quindi che questo film ricordi alla gente quello che è successo nella Germania nazista attraverso un racconto diverso e mai sentito prima. Quello che amo di più del film è che anche se si tratta di argomenti pesanti, e di argomenti davvero importanti, molti di essi sono presentati attraverso l’umorismo e la commedia”.

Nonostante fosse il suo primo ruolo sullo schermo, e pur essendo stato intensamente sostenuto da Waititi e da compagni di cast di grande esperienza, Davis era cosciente di dover affrontare un compito immane.

“Jojo è un ragazzo estremamente conflittuale, quindi è stata una grande sfida”, ammette Davis. “Quando lo si incontra per la prima volta, lui crede veramente a tutta la propaganda a cui ha assistito. Ma si capisce anche che è solo un ragazzino ingenuo che non sa realmente di cosa si parli! Nei nazisti sta cercando qualcosa che gli manca nella vita. Suo padre se n’è andato, e sua madre è occupata con faccende di cui non parla mai, quindi non ha nessuno, a parte il suo amico immaginario, e crede che l’unico che possa aiutarlo davvero sia Hitler”.

Waititi sostiene che il suo obiettivo nel lavorare con Davis era quello di lasciare trasparire tutte le sue naturali reazioni, e il suo innato carisma. “Roman è davvero un ragazzino tenero e delizioso, e quando sei in giro con lui, tendi a proteggerlo. Ha un gran buon cuore, e siamo sempre stati convinti che questo aspetto avrebbe contagiato anche i risvolti meno evidenti del personaggio. C’è molto di Roman nel Jojo che recita sullo schermo”.

Sul set, Waititi ha lasciato a Davis lo spazio necessario per la sua personale esplorazione, ma si è anche servito, in qualità di coach, della sua rodata collaboratrice Rachel House, che si era occupata anche dei due protagonisti del suo precedente film Boy e di Selvaggi in Fuga, James Rolleston e Julian Dennison.

In aggiunta, un cast di alto livello ha sommerso Davis di consigli da veterani. “Nel corso del film, Roman è diventato un attore straordinario, in parte grazie al fatto di lavorare con grandi attori come Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Rebel Wilson e Alfie Allen. Ha imparato a fare le domande giuste”, dice Waititi.

Rockwell osserva: “Taika è stato davvero bravo a far calare Roman nell’esperienza di Jojo, in un modo sempre divertente per lui. Non era una cosa semplice”.

In preparazione al suo ruolo, Davis ha studiato la Gioventù Hitleriana, l’organizzazione creata nel 1922 per indottrinare bambini e ragazzi all’ideologia nazista e addestrarli ad essere, in ultima analisi, degli strumenti di guerra. Questo gli ha fatto capire quanto fosse oscura la realtà del mondo di Jojo, al di là del fatto che lui la prendesse semplicemente come una gloriosa avventura, come è giusto che sia per un bambino di dieci anni.

“Quello che i nazisti hanno fatto ai bambini è stato davvero tremendo”, dice Davis. “Volevano avere un esercito di fanatici che li aiutasse a conquistare il mondo. Adesso so che c’erano soldati sedicenni in prima linea, ed erano terrorizzati, ma spesso erano i più coraggiosi e molti di loro sono stati uccisi”.

A completare il mondo a parte in cui vive Jojo, nel ruolo del suo adorabile migliore amico Yorki, c’è Archie Yates, che con grande partecipazione affettiva fa sua la visione molto personale del suo personaggio rispetto al mondo che lo circonda. Waititi parla di Archie, “È proprio come lo si immagina: un personaggio che ha illuminato il set e che tutti hanno amato. Ha un modo molto diverso e particolare di vedere il mondo, è molto fiducioso. In molti casi lui e Jojo sembrano i due personaggi più sani di mente del film”.

Per quanto bizzarra e inattesa fosse l’interazione con Hitler, per Davis alcune delle scene più impegnative sono state quelle in cui Jojo non sa come reagire nei confronti di Elsa, che è convinto essere dotata di poteri diabolici.

“È stato davvero difficile per me, perché all’inizio Jojo pensa tra sé e sé: ‘tutta la tua razza è inaffidabile’ e questo è completamente sbagliato”, afferma Davis. “Elsa vive sostanzialmente in un buco, affamata e tutta sola, quindi era difficile per me provare sentimenti così forti e scagliarmi contro di lei con invettive filo-naziste”.

Eppure, neanche Jojo riesce mantenere vivi a lungo i suoi sospetti nei confronti di Elsa. Se inizialmente si limita a mantenere il segreto per paura che sua madre venga arrestata, più conosce Elsa, e meno riesce a resistere a quella che sente come un’amicizia autentica e rivelatrice che scuote il suo mondo. Per molti versi, Elsa ha il coraggio e il senso di dignità che Jojo riesce solo a sognare di avere. Quando inizia a scrivere le false lettere del fidanzato di Elsa, Nathan, Jojo non può fare a meno di impregnarle della sua crescente infatuazione.

“Nonostante tutto quello che crede di dover pensare di lei, Jojo inizia ad amarla davvero”, osserva Davis. “Credo che sia abbastanza sconcertante per lui: come può provare un tale affetto per Elsa nonostante le sue radicate convinzioni? È costretto a mettere tutto in discussione, Hitler compreso.

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