Invisibili psicosomatici, la dolce arte di esistere.

In un mondo in cui si suppone esista l’invisibilità psicosomatica, ovvero in cui le persone con difficoltà di relazione, in certe situazioni, diventano letteralmente invisibili, seguiamo l’incontro tra Roberta (Francesca Golia “La grande bellezza”, “La Bella Addormentata”), che ha bisogno di attenzione, altrimenti scompare, e Massimo (Pierpaolo Spollon “Terraferma”, “Leoni”), che al contrario, ansioso, scompare se sente attenzione su di sé.

Sono questi i due protagonisti di ‘La Dolcearte di esistere’ un film di Pietro Reggiani che ha curato la regia e la sceneggiatura. Un ‘falso docufilm’ sui ‘nevrotici italiani’ raccontato da una voce fuori campo che descrive i due personaggi dalla loro adolescenza fino al momento in cui si incontrano per caso a una festa.

Se ne ‘Il ragazzo invisibile’ di Gabriele Salvatores il protagonista aveva il superpotere dell’invisibilità, in questo film Roberta e Massimo sono due vittime della società e diventano ‘invisibili’ per imbarazzo, fino a estremizzare la loro condizione. Non è l’evoluzione di una storia di supereroi, ma una metamorfosi asociale.

“Mi sembrava, quella dell’invisibilità – afferma il regista -, una buona metafora di una difficoltà ad affrontare la vita. Mi piaceva aver immaginato due invisibilità; mi era venuta più immediata quella legata all’ansia, all’essere oggetto di attenzione, ma mi suonava bene anche quella opposta, legata al non ricevere alcuna attenzione. A questo punto si presentava un bivio: l’invisibilità dei protagonisti poteva o meno essere eccezionale. Nel primo caso, i due che per la prima volta nella storia dell’umanità scomparivano sarebbero divenuti celeberrimi, e in un certo senso fatalmente destinati a incontrarsi. Questa versione aveva il pregio di permettere una riflessione esplicita sull’invisibilità: i sociologi, nel film, avrebbero riflettuto su quanto l’apparire di una scomparsa per ansia fosse stata una spia dell’eccessiva pressione sulle giovani generazioni, ritenute beneficiarie di eccezionali opportunità educative e tecnologiche; e quanto l’apparizione di una scomparsa per solitudine e avvilimento non fosse, al contrario, la spia di una eccessiva indulgenza verso i giovani, lasciati liberi di sbagliare al punto da non sentirsi sostenuti nei loro sforzi quotidiani. Non sarebbe stato sottaciuto il verosimile legame che fenomeni di invisibilità apparissero in una società fortemente condizionata dall’immagine, o che queste difficoltà nei rapporti umani fossero ingigantite dal passaggio di una ampia fetta di vita relazionale alla dimensione virtuale del computer; né, infine, che in una società sempre più aperta, perfino liquida, le occasioni di riuscire ma anche di fallire sono sempre più numerose, portando a fenomeni opposti e complementari di ansia e di depressione”.

“Ma – prosegue Pietro Reggiani -, a fronte di alcune ottime scene per discettare sul fenomeno, la storia intima dei protagonisti e il loro lottare contro l’inesistenza sarebbero stati fortemente condizionati dalla loro celebrità: mentre a me piaceva l’idea che i percorsi fossero più quotidiani, che la parte di ognuno di noi che vorrebbe scomparire o che si sente invisibile trovasse in loro due campioni più a portata di mano. Di qui la decisione di optare per la seconda soluzione: l’invisibilità sarebbe stata, nel mondo del film, una sindrome già conosciuta, nota come invisibilità psicosomatica”.

“Risolversi all’invisibilità – continua il regista – sindrome già conosciuta, in effetti rendeva però impegnativo conservare il giusto tono del film: per due scomparse uniche nella storia dell’umanità, infatti, sarebbero abbondati i modelli di commedie in cui nel nostro mondo avviene un fenomeno ‘impossibile’ – basti citare l’ormai classico ‘Zelig’ o, tra i tanti recenti, i film scritti da Kaufman, come ‘Being John Malkovich’ o ‘Eternal Sunshine of the Spotless Mind’. Invece, per una commedia in cui nel nostro mondo un fenomeno ‘impossibile’ è relativamente normale, non avevo esempi precisi. E forse proprio perché un equilibrio del genere non è facile da mantenere: non si poteva soltanto ridere dell’assurdità delle scomparse, perché i due personaggi erano anche due malati. Così, occorreva stare abbastanza distanti da loro per poterne ridere, ma non troppo distanti per non ridurli a macchiette, al cui percorso intimo non avremmo prestato attenzione; al tempo stesso, bisognava stare attenti a non avvicinarsi troppo, oppure avremmo visto soltanto il loro dramma, di cui la scomparsa avrebbe finito con l’essere un mero accessorio accidentale”.

La dolce arte di esistere arriverà al cinema dal 9 aprile prodotto da Adagio Film. Nel cast oltre ai protagonisti anche Rolando Ravello, Anita Kravos e Salvatore Esposito. La voce del narratore è di Carlo Valli.

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