Sanremo dalla A di Ayane alla Z di Zilli.

Dopo la terza serata sanremese, provo a fare un sunto valutativo dei cantanti in gara.

Gianluca Grignani
La canzone in gara: a me la canzone piace, al netto del fatto che Grignani non ce la fa più a cantare, specie dal vivo. Tra l’altro, rimane l’ultimo a credere nella potenza mediatica del codino. Il brano si apre anche molto bene, secondo la tradizione grignana giovanilistica e un po’ cazzona. Ha trascurato la tecnica, non ha mai seriamente studiato per migliorare la voce e resistere alla gioventù che se ne va. Vive, oramai vivacchia, di rendita. Con l’aggravante che tutte le sue giovani fan oramai o sono sposate con figli, o divorziate. E comunque, tutte rapite da Biagio Antonacci. Si consiglia vivamente una rheab, altrimenti finisce per diventare un Califano un po’ più sfigato. “Lo Stato come piombo si sopporta”, non è male. Pochi sene sono accorti a causa della sua pessima voce, ma è un verso della sua canzone.
La cover (Vedrai, vedrai): l’arrangiamento non lo aiuta. Poco innovativo, come invece sono stati gli arrangiamenti per altre cover. Di massima, il pezzo gli starebbe a pennello, viste anche le sue ultime vicende personali. Prova a cantarlo bene, ma fallisce. Nel farlo, non riesce neanche ad essere un “loser”. Non ci crede. Non gli credono. E questo basta.

rafRaf
La canzone in gara: solido, bello e maturo. La canzone è la solita “canzana” che nulla toglie e nulla dà. “Vorrei che fosse per sempre” canta. Ed infatti noi abbiamo “sempre” lo stesso Raf, un po’ meno cool, un po’ meno pompato. “Finché vedrò le api che si posano sui fiori e le nuvole che disegnano il cielo”. A me basta questo per dire che non mi piace.
La cover (Rose Rosse): grande grande grande tamarrata. Prende a calci un grande classico della musica italiana. Cerca di rappare alla Jovanotti, poi vira su sonorità afro-etno-mariachi-world. Che gran guazzabuglio. Non un’idea di arrangiamento, ma ben quattro messe assieme. Uccidetelo!

Chiara
La canzone in gara: “Mi chiedo spesso se tu sei felice come me” canta. No, non sono per nulla felice. Il pezzo è un unico ritornello poggiato su strofe fragilissime, come l’arrangiamento da casa di appuntamenti d’antan. Barocco, vecchio, di velluto rosso bisunto.
La cover (Il volto della vita): sarà che a me sembra sempre la solista di un coro parrocchiale e che da un momento all’atro possa chiedermi i 10 comandamenti a memoria, oppure i nomi di tutti e sette i nani. Ma a me la sua cover ha ammosciato. L’arrangiamento è stato coerente con le intenzioni interpretative. Solo che lei rende palloso tutto ciò che canta. Ha pure gran voce, ma a capacità interpretative sta a zero. Come una verginella alla prima notte di nozze. Frate Cionfoli avrebbe saputo fare di meglio.

Alex Britti
La canzone in gara: lui sembra sempre quel tizio a cui puoi chiedere, da un momento all’altro, dell’erba e lui cortese te la passa, con un sorriso di complicità. La canzone a me piace. E’ genuino e ci crede. Arrangiamento di alta qualità. Ah, un piccolo problema: al suo pezzo manca il ritornello.
La cover (Io mi fermo qui): una dei pezzi meno conosciuti dal grande pubblico. E quindi una sorta di inedito per molti. Indolore, con un grande coro da stadio che incasina tutto. Sarebbe dovuta essere più rock, meno caciarona, meno coro da stadio. Indolore dicevo, come quando sotto casa vostra passa un tir. Sentite un gran trambusto, ma dura appena un attimo. Dopo torna la quiete.

ayaneMalika Ayane
La canzone in gara: sarà che per scrivere il suo nome devo ogni volta consultare Google, ma a me lei mi risulta sempre ostica all’ascolto. Un eterno lungo sospiro, come se ogni volta dovesse pentirsi di qualcosa. Pare essere lì apposta per tutti coloro che non aspettano altro che commentare “Che classe!”. Peccato che le canzoni, oltre che essere ben impacchettate, devono arrivare. A me le sue canzoni arrivano sempre come la nenia lontana delle zampogne di Natale.
La cover (Vivere): sempre lo sguardo da ragazza interrotta, ma questa volta regala una gran bella interpretazione. A dimostrazione che se le scrivono belle canzoni, lei sa pure sconfiggere la nenia lontana di cui sopra, per scandire bene bene le parole e far apprezzare l’interpretazione. Gli attori dicono “il birignao”. Ecco Malika, e dai! Meno birignao e più autenticità, più franchezza. Che fa rima con freschezza.

Dear Jack
La canzone in gara: vabbè, basta con la storia che nessuno li conosce. Noi siamo vecchi e viva i giovani. A me la canzone piace. Un bel rock giovanilistico post-adolescenziale. “La stanza come conquista” e vorrei vederle le fan con i loro poster sui muri. Bravi tecnicamente, dritti come spade, arrangiamento onesto. Pezzo che si apre con un ritornello che ci martorierà dalle radio, mentre staremo bestemmiando fermi nel traffico. “Niente è per sempre”, loro a differenza di Grignani, pare lo abbiano capito. E si sono presentati “studiati” e preparati.
La cover (Io che amo solo te): la sparo grossa, ma grossa. Secondo me se Endrigo fosse stato in vita, sarebbe stato contento della loro interpretazione. Arrangiamento fresh-rock, pur rispettando il testo. Nel senso che la musica non copre il cantato e le parole arrivano. Anche perché il cantante le canta bene, senza strafare. A me ‘sti ragazzetti piacciono davvero tanto. Ah, ultima cosa, se riesci a cantare bene questa canzone, vuol dire che sei un solido professionista e conosci i tuoi limiti. Mo’ basta però.

Lara Fabian
La canzone in gara: pezzo che sarebbe potuto essere cantato da Ivana Spagna. E allora perché non quest’ultima, ma la copia racchia di Lorella Cuccarini? Ma poi questa chi è? Una che hanno trovato tra il Canada e Bruxelles. Ma c’è un lato positivo: la sua partecipazione a Sanremo resuscita il bel chiacchericcio sui “raccomandati”, come quando vinsero i Jalisse. Pare che alla “Sagra del mercurio e dei suoi mille usi” di Bruxelles la stiano ansiosamente aspettando. Ecco, allora mandatecela! Ma subito!
La cover (Sto male): ammetto, l’avrei stroncata anche se avesse fatto la cover di “Noi Puffi siam così”. Lei a Sanremo è un po’ come invitare Mick Jagger in un convento. Lei è il convento. Purtroppo non di clausura. Canta “Sto male” e si vede (facile questa). Dicono che sia il suo cavallo di battaglia. A volte, riguardando la clip della sua esibizione, mi chiedo se Loredana Lecciso non avrebbe saputo fare di meglio. Sul palco sembra una colf ucraina che ha appena finito di spicciare casa. L’acuto finale è da sberle in faccia. Ok, la smetto con le invettive. Ma poi che rimane da dire? Nulla. Sto male.

Nek
La canzone in gara
Vi ricordate quando andavano di moda i cellulari della Nec? Ecco, lui è rimasto a quegli anni. Però il pezzo è onesto, si fa ascoltare e c’è un bell’arrangiamento di chitarre. Lui poi è uno che ha saputo preservare la sua voce. Anzi, molto cresciuto rispetto al suo passato da teocon anti-abortista. A Nek non gli puoi voler male. Ha passato i quaranta e fa tenerezza nel suo voler rimanere giovane, giovane. Come quando compulsava gli sms sul suo Nec.
La cover (Se telefonando): dicevo delle doti canore di Nek che sono cresciute negli anni, facendone un gran bell’interprete pop. Ecco, Nek è sanamente pop. Ad aiutare la sua bella interpretazione, c’è il miglior arrangiamento della serata e forse di tutto Sanremo. Lui sa quel che vuole e lo fa. Che gli si può chiedere di più? Avete presente quei vecchi cellulari della Nec, indistruttibili ed affidabili…ok la faccio finita qui.

Grazia di Michele e Mauro Corruzzi
La canzone in gara: ogni anno a Sanremo c’è la canzone che ti accorgi sin da subito che vincerà il premio della critica. Ecco, questa è una di quelle. Ora io mi chiedo, ma se fanno partecipare Grazia Di Michele al Festival, Rossana Casale dov’è finita? Vabbè, torniamo a noi. Bel pezzo. Il classico pezzo jazzato che a Sanremo non può mancare. Un po’ per salvarsi la coscienza. Perché l’Italia continua ad essere quel p aese dove ci si vergogna un po’ ad essere sanamente pop. Eppure, non c’è nulla di male. Dicevo il pezzo…non, non riesco a scrivere nulla di più su questa canzone. Pretenziosa, come una poesia carina ad un concorso letterario per dilettanti. Ah, ultima cosa. Non so perché, ma continuo ad amare l’idea di veder cantato questo pezzo da Platinette, un po’ spettinata, un po’ struccata. Ho dei problemi?
La cover (Alghero): pezzo gay-friendly. E difatti ricompare Platinette. Quanta scontatezza. La di Michele, sembrando una zitella acida, si sposa male con l’estetica della messa in scena. Che vede in smagliante forma Platinette (battuta non voluta). La Grazia Di Michele, senza chitarra tra le braccia, appare ancor più inutile. E cosa ancor più sorprendente, Platinette ha una voce molto più interessante della sua. L’una dilettante, l’altra professionista. Insomma, Platinette avrebbe fatto meglio a presentarsi da sola sul palco di Sanremo.

Annalisa
La canzone in gara: perché i capelli rosso-menopausa ad appena 20 anni? A parte ciò, Annalisa ha grande voce e ottimo controllo dello strumento vocale. Precisa. Solo che il pezzo è vecchio, scontato, brutto. Che altro dire? KekkodeiModà fa più danni che la grandine.
La cover (Ti sento): incoscienza, follia, megalomania? Scelta azzardatissima. Uno dei pezzo più complessi dell’intero repertorio della musica italiana. Eppure, Annalisa ce la fa. Eccome se ce la fa! Con personalità, cattiveria ed entusiasmo. Sono innamorato di Annalisa. Adesso deve solo mollare KekodeiModà (che va scritto tutto attaccato). Arrangiamento bello, a tratti richiama la colonna sonora di “Mission impossible”. D’altronde, Annalisa ‘sta missione impossibile l’ha portata a casa.

Nesli
La canzone in gara: una delle cose che mi dà più fastidio è ricredermi dei miei preconcetti. Amando Fabri Fibra, odio di conseguenza suo fratello Nesli. E invece ‘sto ragazzetto ha fatto un bel pezzo. Uno di quelli che oltre ad essere mandato a manetta dalle radio, è fatto per essere suonato in spiaggia con la chitarra intorno ad un falò. L’ha scritta in cameretta diceva, e gli è venuta bene. Uno dei più bei versi di Sanremo, “Dammi l’amore in faccia”. Qualsiasi cosa voglia dire.
La cover (Mare Mare): onore alla scelta. Luca Carboni è uno dei più bravi cantautori italiani. Sempre troppo sottovalutato. L’arrangiamento inutilmente pomposo danneggia l’esibizione. Il pezzo era originariamente minimalista e questi lo rendono una tamarrata inenarrabile da rodeo americano. Così il tenue ritornello di Carboni, iper-pompato, risulta antipatico e fastidioso. Nesli manda a quel paese l’arrangiatore e torna a scrivere pezzi in cameretta! Che ti vengono bene.

65' Festival della Canzone Italiana Festival di Sanremo 2015 (Ph.Daniele Venturelli)Nina Zilli
La canzone in gara: “Le solite note, i soliti accordi” cantava il duo Rossi-Jannacci a Sanremo un decennio fa. Ecco, questo è il caso. Personalmente non sento la necessità di avere una Ninna Zilli a Sanremo, così come nel panorama canoro nazionale. Ma lei c’è e, a parte gli abiti sempre belli, non c’è nulla da segnalare. Che poi, se sei tanto innamorata degli anni ’60…tornaci e levati dai palinsesti nazionali. Ah, l’arrangiamento del pezzo è bello. E direi che sarebbe potuto essere un bel pezzo strumentale. Sono stato chiaro vero?
La cover (Se bruciasse la città): abito bellissimo! E poi? Il vuoto, la steppa, la radura fredda ed inospitale. La voce insicura, l’intonazione traballante, l’interpretazione approssimativa, ghirigori da nevrastenia. Le cose o si fanno seriamente o non si fanno. Vuole fare la ragazza bang-bang, Kill Bill style. Ma che palle! Fatto, finito. Ah, pare che Massimo Ranieri, dopo il trattamento riservatogli da Raf e Nina Zilli, abbia chiamato i suoi avvocati in piena notte.

Marco Masini
La canzone in gara: avete presente una Ritmo ben tenuta, che non perde un colpo, sempre pronta a portarvi ovunque voi vogliate, basta che non sconfinate oltre i 30 chilometri dal centro abitato? Ecco, questo è Masini. Uno su cui poter fare affidamento. Il pezzo è bello, si apre bene. Lui è credibile e non viene meno alla tradizione “masiniana”. E sì, perché Masini è uno dei pochi cantautori italiani contemporanei che può un vantare un suo stile. Che è stato pure seguito da alcune meteore (ricordate Paolo Vallesi e Alessandro Canino?). Che altro dire? Ascoltare questo pezzo è come quando si torna a casa dalla mamma e si sente il buon profumo di soffritto. Quanta pace…
La cover (Sarà per te): premetto che questo pezzo è uno di quelli che quando ascolto mi vengono le lacrime agli occhi. E questo mi accadeva ben prima che il nostro Francesco Nuti fosse colto da malore. Questo pezzo esiste oltre al suo autore. Detto ciò, Masini lo buca. L’arrangiamento è sciatto, volendo attualizzare il pezzo. Che non andava attualizzato, ma soltanto rispettato. Ad onor del vero, c’è da dire che sulle spalle di Masini gravava una grande responsabilità. Far rivivere sul palco di Sanremo un grande momento di musica che andò in scena più di 20 anni fa. E quindi, lo scuso. Ah, ricordate quando Nuti fece il segno della croce dal palco di Sanremo come a dire “Io qui non ci torno più!”? E difatti, non ci è mai più tornato.

Anna Tatangelo
La canzone in gara: tutti se l’aspettavano tamarra, come la linea di moda Coconuda. Ed invece questa ti arriva elegantissima. Anna Tatangelo ha una particolarità: sembra che abbia 40 anni sin da quando ne aveva 15. Cosa c’entra questa cosa con la canzone? Nulla, ma mi andava di dirla. Anche perché sulla canzone c’è poco da dire. Il pezzo è uguale a mille altri. Non arriva e se arriva è come il missile sparacchiato trent’anni fa da Gheddafi su Lampedusa. Un buco nell’acqua. Ammettiamolo, se non si fosse unita more uxorio con l’icona pop D’Alessio, ce la saremmo dimenticata da un bel pezzo.
La cover (Dio come ti amo): quello che non era valso per Nesli è valso per la Tatangelo. Avevo un preconcetto sulla sua esibizione e ho avuto ragione. Ossimoro sanremese, la Tatangelo che canta Modugno. Melodicamente il pezzo è bellissimo, ma non è merito di Anna. Lei lo canta come lo avrebbe cantato una shampista talentuosa su un palco di una sagra di paese. Troppo poco anche per Sanremo. Un segno di disagio: l’armonizzazione vocale che la Tatangelo fa tra la prima e la seconda strofa. Ci prova, ma poi si rende conto che sarebbe stato meglio non averlo mai fatto. “Maledetto regolamento” avrà pensato!

Il volo
La canzone in gara: maledetti nanetti melodici. Peggio dei Pokemon, questi esseri “metà uomo e metà Claudio Villa” continuano a riprodursi. E che dire di quel disagio che si prova quando, andando all’estero, ti citano, pensando di farti piacere, “Bocelli, Pavarotti!”. E ora anche “Il Volo!”. E tu gli vorresti dire che basta con ‘sta storia del pop lirico. Ci abbiamo messo così tanto, negli anni ’80, a liberarci del “Rondò Veneziano” ed ora ecco questi dall’ugola d’oro che ci strapazzano i cosiddetti. Che in Italia piace solo ai nostri nonni. E invece, eccoli. Un pezzo deprimente. Secondo solo a “Uomini soli” dei Pooh. Il titolo poi, “Grande amore”. Un po’ come i ristoranti italiani in giro per Londra “Bella Italia”. Tristezza infinita.
La cover (Ancora): che bruttezza! Che tristezza. Un bel pezzo, già reso odioso da Gigi Marzullo, adesso subisce un altro micidiale colpo. I tre del Il Volo poi hanno l’aggravante, rispetto a Bocelli e ad altri lirici-pop, che mentre cantano ammiccano. Maledetti nani melodici, pure le faccine vi permettete di fare.

Irene Grandi
La canzone in gara: Irene Grandi ha avuto un merito, rimanere in silenzio quando non aveva nulla da dire. Ed un altro ancor più grande, tornare sul palco di Sanremo con un bel pezzo. Matura, bella, misurata, coinvolgente. Arrangiamento giusto per il pezzo. La sua voce è cresciuta, sostenuta da una grande capacità interpretativa. Insomma, a me piace!
La cover (Se perdo te): sa quello che può fare e quello che non può fare. Virtù invidiabile. Tranquilla, tranquilla svolge il compitino. Anzi, una cosa sopra la media c’è: il pezzo sembra suo per quanto lo canta e lo interpreta bene. La signora sta a suo agio e a me piace così. Senza stress.

idiotiBiggio e Mandelli
La canzone in gara: quando la Tv crea mostri. Pezzo inutile, come inutili sono loro sul palco. Tanta baldanzosa e pretenziosa baldoria. A peggiorare le cose, il fatto che il duo ha dichiarato di essersi ispirato a Cochi e Renato. E solo per questo meriterebbero qualche anno in un istituto correzionale. Che altro dire? Nulla, come il nulla di questa canzone.
La cover (E la vita, la vita): maledetti due volte. Avete presente quei compagni di scuola che, forse per vincere la timidezza, si sforzavano sempre di far ridere gli altri, senza mai riuscirci? Ecco.

Lorenzo Fragola
La canzone in gara: gli archi iniziali sono inquietanti. Il piano, che entra dopo i primi 30 secondi, è inutile. La batteria arriva ad aiutare a sostenere un pezzo che, di per sé, è quanto di peggio possa offrire il pop. Lui è bravo, ma non basta. “Non scappare dagli sguardi. Non possono seguirti, non voltarti dai”. Ecco, questo è il livello della prosa.
La cover (Una città per cantare): non si capisce perché gli hanno messo un cappottino da fratino. Comunque lui porta a casa la pagnotta. Non ha strafatto ed è parso credibile. Insomma, il nuovo Pupo del nuovo millennio è servito!

Bianca Atzei
La canzone in gara: e questa chi è (come per la Fabian)? E’ una che sul palco di Sanremo ha portato un pezzo dimenticabilissimo. Una di quelle che quando canta non si capiscono le parole, perché persa nei suoi ghirigori, risulta incomprensibile ed uguale ad un altro paio di cantanti nostrane. La prima nota del ritornello rimanda a “She” di Elvis Costello. Ma è solo un attimo. E un po’ ci si illude. Almeno avessero plagiato. No, è sempre KekkodeiModà che miete vittime sul suo ininterrotto cammino verso lo status di nuovo Mogol della musica italiana. Tanti futuri italiani con un universo di metafore imbarazzanti.
La cover (Ciao, amore ciao): ha peccato di presunzione. Ha pensato di poter reinterpretare alla maniera di Giusy Ferreri il bellissimo brano di Luigi Tenco. Ma lei non è né la Giusy, né tanto meno Tenco. Lei è una povera cantante capitata per caso sul palco di Sanremo, alla quale KekkodeiModà scrive inarrivabili metafore sotto forma di canzone. Maledetti. Tutti e due.

morenoMoreno
La canzone in gara: quando la smetteranno questi nani rap di infestare Sanremo. L’anno scorso è stata la volta di Rocco Hunt nella categoria “giovani”. Questa volta tocca a Moreno. Il pezzo è brutto, piatto, inutile e poche altre cose. Il problema non è il rap, che in Italia gode di buona salute, ma del sugar-rap propinato in Tv. Che deve essere politicamente corretto e al massimo parlare di “ammmore”. Ci siamo liberati di Dj Francesco, degli Articolo 31…quanto ci metteremo a liberarci di Moreno?
La cover (Una carezza in un pugno): ma perché questo arrangiamento Reggae?!?! Perché Moreno a Sanremo?!?! Performance penosamente imbarazzante. Lui non è Giuliano Palma. E se ne sono accorti tutti. Ma proprio tutti. Pure Nina Zilli che stava in camerino.

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