Perfetti sconosciuti, la sim è la nostra scatola nera.

Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata ed una segreta. Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio della nostra memoria, oggi nelle nostre sim. Cosa succederebbe se quella minuscola schedina si mettesse a parlare?

Dopo Immaturi e Tutta colpa di Freud, Paolo Genovese dirige una brillante commedia sull’amicizia, sull’amore e sul tradimento, che porterà tre coppie di amici a confrontarsi e a scoprire di essere “Perfetti sconosciuti”. Le tre coppie descritte, infatti, non sono propriamente da ‘Mulino Bianco’.

Il film che arriva al cinema dall’11 febbraio, prodotto da Marco Belardi di Lotus Production, società del Gruppo Leone, per Medusa Film, nasce da un soggetto originale di Paolo Genovese che ne firma anche la sceneggiatura con Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini e Rolando Ravello. Ha una trama molto originale e, soprattutto, attuale.

La parte più vera e nascosta di noi è, infatti, oltre che nella nostra memoria, nei nostri cellulari. Una scatola nera in cui c’è la nostra vita.

Sette amici, tra cui tre affiatate coppie, mettono i loro cellulari sul tavolo disposti a condividere con tutti gli altri sms, whatsapp e telefonate. Tutto si svolge in un interno romano nel corso di una cena. Siamo esattamente a casa di Eva (Kasia Smutniak), una psicologa sposata con un chirurgo plastico non troppo famoso Rocco (Marco Giallini). Ospiti di Eva e Rocco, con figlia adolescente, Cosimo (Edoardo Leo), un tassista neosposo con la mite veterinaria Bianca (Alba Rohrwacher); la coppia composta da Lele (Valerio Mastandrea) e Carlotta (Anna Foglietta). Infine con loro, Peppe (Giuseppe Battiston) insegnante di ginnastica in cerca di amore. Parte così il gioco della verità telefonica. All’inizio sembra tutto divertente, un passatempo innocente, ma, mano a mano, si scopriranno tradimenti, anche multipli, cambi di sesso, rapporti generazionali squilibrati, insomma un gioco al massacro che mostra una piccola-grande verità: nessuno conosce affatto le persone anche a lui più vicine.

“Un cellulare condiviso per raccontare il nostro presente”, dice il regista sottolineando come la battuta del personaggio di Giallini “siamo tutti frangibili”, corrisponda al vero: “fino a 20 anni fa i segreti rimanevano dentro di noi, oggi il cellulare è il nostro tallone d’Achille. Qui scopriamo le nostre vite segrete, che non sono solo amori e tradimenti”. Se Paolo Genovese rileva come “nel film non si punta il dito sui social network, ma sul modo spesso  sconsiderato con cui li usiamo”, Anna Foglietta conclude sul ‘significato’ di ‘perfetti sconosciuti’: “Più che una demonizzazione del cellulare, lo consideriamo un inno a dirsi le cose, a prendere di petto la vita”.

“L’idea era di raccontare la vita segreta delle persone, ciò che è inconfessabile – spiega il regista durante l’incontro stampa a Roma -. Il tema non è certo nuovo, ma se non si può essere originali nelle idee, dobbiamo esserlo nel modo di narrare, nel punto di vista. Il gioco del cellulare – continua – all’inizio doveva essere solo un momento della riunione, ma pian piano è diventato il protagonista”.

Al cast Paolo Genovese aveva “già pensato prima di scrivere, e nel copione i nomi dei personaggi erano quelli degli attori”. Ora si bisserà a teatro, ma probabilmente gli interpreti non saranno gli stessi. Non solo, da Spagna, Germania, Francia e due Paesi
sudamericani sono già arrivate richieste, dice l’ad di Medusa Giampaolo Letta, per girare il remake.

“L’idea era di raccontare facendo divertire, facendo riflettere, facendo emozionare lasciando un po’ un crampo alla pancia. Non abbiamo pensato a una commedia in particolare. Il film è originale: non ha un riferimento preciso – spiega Genovese -. Abbiamo fatto fatica a scrivere, a trovare i tempi giusti, le lunghezze”.

Paolo Genovese sottolinea che il suo film si rifà al genere commedia italiana dei grandi registi come Scola, Risi, Monicelli: “Bisogna considerare che la grande commedia italiana era proprio una commedia – spiega -. Oggi si è perso il senso di questa espressione perché la gente non sa più cosa voglia dire e confonde con il comico. Io ho chiaro perché la commedia italiana piaceva – aggiunge – perché raccontava qualcosa. E quei registi erano chiamati maestri perché avevano veramente qualcosa da insegnare e lo facevano raccontando storie con lo strumento più difficile e bello del mondo che è l’ironia, il sorriso. Qualunque tragedia scaturisce  dall’ironia, il dramma scaturisce dal riso – conclude -. Le grandi commedie finivano spesso in dramma: ‘La Grande Guerra’, ‘Il sorpasso’…”. 

 

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