Marco Bocci è Solo contro la ‘Ndrangheta.

Dal 9 novembre ‘solo’ su Canale 5, una miniserie in quattro puntate per raccontare dall’interno la più grande organizzazione criminale al mondo: la ‘Ndrangheta calabrese, grazie al talento del regista Michele Alhaique. Narcotraffico, estorsioni, traffico d’armi e di esseri umani sono solo alcune delle attività della Ndrangheta, radicata in Italia come in Germania, in Canada come in Sud America, per un giro d’affari complessivo valutato 44 miliardi di euro all’anno.

marco-bocci-marco_dp_6229Un mondo di omertà e legami di sangue indissolubili, che scopriremo attraverso gli occhi di Marco Bocci, un agente sotto copertura. La sua missione è infiltrarsi nella ‘Ndrina che controlla il porto di Gioia Tauro, il più grande snodo per i traffici illeciti nel Mediterraneo. Il suo nome in codice è SOLO.

Le scelte che farà ogni giorno per non far scoprire la sua vera identità lo condurranno in una zona d’ombra dove svanisce il confine tra bene e male, tra l’uomo dello Stato e il criminale. L’infiltrazione nella potente famiglia Corona porterà Marco in una spirale di violenza senza ritorno che metterà a rischio non solo la sua vita ma anche la sua anima. Marco infatti sarà costretto a scegliere tra la donna che ama e un nuovo legame cui non può sottrarsi per il bene della missione.

La Taodue Film, che da sempre racconta le vicende più controverse del nostro paese con un linguaggio innovativo ed emozionante, con SOLO porta nella serialità televisiva generalista un realismo mai visto.

“Cresciuta nel silenzio, oggi la ‘ndrangheta è l’organizzazione che fa più paura, quella più potente, più pervasiva – afferma Michele Alhaique -. I produttori di droga la preferiscono perché, contrariamente alle altre mafie, è affidabile: non parla, né si pente. L’asfissia familistica la rende invulnerabile: il sangue non scolora e imprigiona con i suoi obblighi”. (N. Gratteri, A. Nicaso – Fratelli di Sangue) E’ in questo mondo così feroce e complesso – afferma Michele Alhaique – che si addentra il nostro protagonista, Marco (Marco Bocci), un poliziotto che prova ad infiltrarsi nella ‘ndrina che controlla il territorio della piana di Gioia Tauro. Il suo obiettivo è quello di bloccare un gigantesco accordo tra un narcotrafficante turco e il clan capitanato dal boss Antonio Corona (Renato Carpentieri) e suo figlio Bruno (Peppino Mazzotta). Il porto di Gioia Tauro con i suoi quattro chilometri di molo è infatti un crocevia fondamentale per i corrieri della droga. Ma ottenere la fiducia del vecchio boss non è un’impresa facile. All’arrivo di Marco in Calabria scoppierà una faida tra i Corona e i Gargano, un’altra ‘ndrina che vorrebbe beneficiare dei proventi del porto fino ad ora sotto l’egemonia della famiglia rivale”.

“Marco – continua il regista – dovrà, suo malgrado, partecipare a questa guerra tra le fila dei Corona, arrivando perfino ad uccidere per loro. Ma proprio grazie ai suoi gesti estremi acquisterà sempre più fiducia e prestigio all’interno della ‘ndrina. Dove lo porterà tutto ciò? Fino a dove si spingerà? Cosa è disposto e perdere per portare a termine la sua missione? Solo è un poliziesco con una struttura narrativa apparentemente classica. Ma lo scopo del racconto è quello di esplorare le dinamiche umane di un uomo pronto a rischiare tutto per raggiungere il suo obiettivo. Un uomo ossessionato dal suo lavoro, dalla sua missione, unico scopo della sua vita. Sta in questa traccia la ragione per cui ho deciso di affrontare questi quattro film (la serie è composta da quattro puntate da cento minuti) nel tentativo di raccontare questa storia con la mia visione. Mi ha colpito da subito come gli intenti (del produttore e degli autori) fossero quelli di raccontare le vicende umane dei protagonisti di questa storia fino a rendere quasi invisibile il plot poliziesco. E in questa struttura c’è quindi lo spazio per alternare con equilibrio l’azione con la rarefazione, la tensione con la tenerezza. C’è infatti una specie di triangolo amoroso all’interno della storia che caratterizza il percorso dell’infiltrato pronto a costruirsi una nuova vita, rischiando di allontanarsi per sempre dalla sua donna (Diane Fleri) per salvare quella che ha tutte le carte in regola per diventare una vittima innocente della sua stessa famiglia: Agata, la figlia del boss (Carlotta Antonelli)”.

“Il mio obiettivo – conclude Michele Alhaique – è stato da subito quello di mettere lo spettatore nella condizione di credere a ciò che vede, senza rischiare che l’illusione filmica fosse troppo ardua da raggiungere. Gli interpreti sono ovviamente un ingranaggio fondamentale per la realizzazione di questo processo. Tutti gli attori mi hanno dato molta fiducia e si sono lasciati guidare nella direzione del realismo. Marco Bocci si è allontanato dai toni dei personaggi da lui interpretati in precedenza e ha disegnato il suo personaggio calandosi nei suoi silenzi e nelle sue inquietudini, lasciando che le paure e le tensioni implodessero come sarebbe costretto a fare un vero poliziotto infiltrato in una famiglia mafiosa. Il personaggio dell’antagonista principale è stato interpretato da Peppino Mazzotta. Era un ruolo che rischiava, come capita spesso per i cattivi, di essere bidimensionale. Ma lui è riuscito a dargli una complessità piena di sfaccettature, un villain all’altezza dell’eroe, credibile e mai fumettistico, ossessionato (anch’esso) dalla sua missione: conquistare sempre più potere sulla piana. Il punto di vista della messa in scena per me è stato chiaro da subito, avevo bisogno che lo spettatore vivesse le stesse paure e le stesse inquietudini del protagonista. E per ottenere questo scopo ho fatto uso come già nel mio film (Senza Nessuna Pietà) della macchina a mano, linguaggio che rende a mio avviso la narrazione molto asciutta e realistica. Supportato da una fotografia (il direttore della fotografia è Valerio Azzali, già operatore di macchina per esempio del documentario Lousiana di S. Minervini) che ha messo in valore i paesaggi desolati e potenti di una Calabria vista raramente in televisione, ci siamo spinti a filmare i luoghi reali in cui la ‘ndrangheta si muove. Con un importante lavoro di ricerca degli ambienti (location scoperte e arredate con cura dallo scenografo Andrea Castorina) è stato possibile girare per due mesi nelle cittadine di Palmi e di Gioia Tauro, fin dentro il porto, supportati dagli enti locali e dall’entusiasmo dei cittadini che ci hanno accolto”.

“Solo è ispirato a una storia vera che abbiamo adattato”, rivela il produttore Pietro Valsecchi a Roma per presentare la serie insieme ai protagonisti: oltre a Bocci, Peppino Mazzotta che è l’antagonista, il cattivo Bruno Corona, esponente di spicco dell’omonimo clan calabrese. diane-fler%c2%bc-barbara_dp_6438Nel cast anche Diane Fleri, Renato Carpentieri e Carlotta Antonelli. Alla conferenza anche Raffaele Grassi, questore di Reggio Calabria che ha visto la prima puntata di ‘Solo’ e la definisce “estremamente pertinente e corrispondente alla realtà. Faccio i complimenti a Bocci, l’ho trovato un agente dello Sco molto convincente. Ha saputo restituire proprio le tensioni e i conflitti che maturano in un poliziotto che opera sotto copertura”. Per il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, “è una grande gioia vedere che un prodotto di questo tipo vada in televisione. Si parla poco di ‘ndrangheta, ma perché è la stessa organizzazione criminale che non vuole che se ne parli. ‘Solo’ è una fiction molto attinente alla realtà”.

Bocci sul suo personaggio tiene a sottolineare: “E’ stato un impegno molto profondo. Mi ha fatto conoscere dinamiche reali di persone che fanno questo mestiere davvero. In questa serie viene messa in scena anche la crudeltà, senza però mitizzare i cattivi: abbiamo cercato di creare una serie che raccontasse dinamiche verosimili non mettendo in scena eroi positivi ma uomini con le loro paure e i loro difetti che convivono con la precarietà quotidiana”.

A chi chiede quale sia la differenza con serie come Gomorra o altre americane che tendono a mitizzare i cattivi il regista risponde: “Gomorra è un racconto che rientra nel crime, genere tra l’altro già affrontato dai tempi di Scorsese. ‘Solo’ è un poliziesco, qui un poliziotto entra nel mondo criminale e gli spettatori lo scoprono attraverso i suoi occhi”. Alhaique aggiunge: “E’ un poliziesco con una struttura narrativa apparentemente classica. Lo scopo del racconto è stato quello di esplorare le dinamiche umane di un uomo pronto a rischiare tutto per raggiungere il suo obiettivo. Un uomo ossessionato dalla sua missione. Abbiamo voluto approfondire le vicende umane dei protagonisti di questa storia. E’ in questa struttura quindi lo spazio per alternare con equilibrio l’azione con la rarefazione, la tensione con la tenerezza. C’è infatti una specie di triangolo amoroso all’interno della storia che caratterizza il percorso dell’infiltrato pronto a costruirsi una nuova vita, rischiando di allontanarsi per sempre dalla sua donna (Diane Fleri) per salvare quella che ha tutte le carte in regola per diventare una vittima innocente della sua stessa famiglia: Agata, la figlia del boss (Carlotta Antonelli) che vive in casa come una reclusa con regole arcaiche”.

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