La Terra è fottuta! Breve excursus nel cinema post-apocalittico

Il 14 maggio l’agente scelto Max Rockatansky tornerà a percorrere le polverose strade australiane a bordo della sua Ford Falcon XB GT Coupé Interceptor, pronto a ristabilire l’ordine esaltando la follia. In occasione dell’uscita di Mad Max: Fury Road, che riporta la saga di George Miller sul grande schermo, cerchiamo di percorrere il genere post-apocalittico alla ricerca di alcuni imperdibili film che ci raccontano la Terra dopo il “disastro”, immergendo lo spettatore in scenari desertici e polverosi, in cui a regnare è il caos e la violenza.

Ovviamente escludiamo Mad Max dalla classifica, ricordandovi che la sua prima apparizione è avvenuta nel 1979 nel capolavoro di George Miller Interceptor, a cui hanno fatto seguito Interceptor – Il guerriero della strada (1981) e Mad Max: Oltrer la sfera del tuono (1985).

La tagline di Mad Max: Fury Road recita “Il mondo è dei folli”. A scorrere questa classifica non gli si può che dar ragione!

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CODICE: GENESI

(The Book of Eli , 2010)

I fratelli Hughes di From Hell – La vera storia di Jack lo Squartatore dirigono Denzel Washington e Mila Kunis in uno scenario desertico che riproduce l’America occidentale del 2047, dopo che una guerra nucleare ha spazzato via la civiltà. Eli (Washington) viaggia alla ricerca della preziosissima acqua e si imbatte in Carneige, che ha il volto di un Gary Oldman misuratamente sopra le righe, il despota di una piccola comunità alla disperata ricerca di un libro che potrebbe portare il potere nelle sue mani. Quel libro ce l’ha proprio Eli e si tratta della Bibbia! Una parabola più intelligente di quello che potrebbe sembrare che riflette sulla strumentalizzazione della religione e su come governare puntando sulla credulità dell’uomo sia la strada più semplice e ambita. Buona azione e fotografia perennemente virata seppia.

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2019 – DOPO LA CADUTA DI NEW YORK

(id. 1983)

In un periodo che oggi tutti i veri cinefili rimpiangono, l’Italia produceva anche film interessanti e, tra i vari filoni, c’è stato anche quello del post-apocalittico di chiarissima ispirazione yankee. 2019 – Dopo la caduta di New York, che dal titolo sembra avere più di un debito con il capolavoro di John Carpenter 1997 – Fuga da New York, è uno dei più riusciti esempi di questo mini-filone tricolore. Al timone troviamo l’instancabile Sergio Martino (che qui si firma Martin Dolman per far vendere meglio il prodotto), soggetto e sceneggiatura sono del mitico Ernesto Gastaldi (qui Julian Berry, vedi sopra) e la produzione è di Luciano Martino per la sua Nuova Dania e Medusa. La storia si incentra sull’antieroe Parsifal (l’iconico Michael Sopkiw) che viene mandato alla ricerca dell’unica donna rimasta fertile dopo che un disastro nucleare ha reso sterile l’umanità. Per recuperare la speranza della continuazione della specie, Parsifal dovrà affrontare il deserto, scontrarsi con cannibali, mutanti e androidi.

Gustosissimo e con Miss Italia Anna Kanakis nel ruolo della malvagia Ania.

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 WATERWORLD

(id. 1995)

Seppure non ci sia nessun deserto e il protagonista sia, al contrario, il mare, Waterworld segue perfettamente tutte le regole del filone. Kevin Costner interpreta e produce quello che all’epoca fu un film esageratamente costoso, che non soddisfò la produzione a livello di incassi.

Costner è Mariner, un navigatore solitario che si muove sul suo trimarano in un mondo ormai sommerso dall’acqua in seguito a un disastro che ha portato allo scioglimento dei ghiacciai. Mariner è anche un mutante, dotato di branchie e quindi capace di vivere anche sott’acqua… i guai arrivano quando la sua strada si incrocia con quella di una donna e una bambina, quest’ultima con la mappa di Dryland tatuata sulla schiena. Dryland, infatti, è la leggendaria Terra Ferma, unico e ambitissimo atollo non sommerso. Quando i pirati capitanati da un gigionesco Denis Hopper intercettano la bambina, toccherà a Mariner difenderla e condurla verso Dryland.

Kolossal in tutto e per tutto, con un protagonista che si stava giocando le ultime cartucce prima di finire nella schiera dei grandi ormai incapaci di far furore al botteghino. Diverte e ha ritmo: necessita di rivalutazione!

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L’ULTIMA ODISSEA

(Damnation Alley, 1977)

Malgrado il titolo italiano sembri suggerirlo, il film di Jack Smight non ha nulla a che vedere con il seminale film di Kubrick, ma ci trasporta in un’America post disastro nucleare dove l’ambiente è diventato inospitale, desertico e popolato da animali mutanti. I pochi sopravvissuti sono rifugiati in bunker sotterranei, ma quando un messaggio radio suggerisce la presenza di un luogo che sta raccogliendo i sopravvissuti, un gruppo di persone decide di partire a bordo di auto corazzate per raggiungere la salvezza.

Il film fu un flop in casa Fox, in fin dei conti negli anni ’70 il post-apocalittico non era ancora di tendenza, ma L’ultima odissea ha il merito di introdurre molti elementi che poi diventeranno centrali nel filone, perfino il mezzo blindato (che da titolo al film in originale), che tanto ricorda proprio le vetture che renderanno famosa la saga di Mad Max. Effetti speciali già vecchi per l’epoca, ma che oggi hanno quell’irresistibile sapore vintage.

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DOOMSDAY – IL GIORNO DEL GIUDIZIO

(Doomsday, 2008)

Quello che ha fatto Neil Marshall con Doomsday è un’operazione che parla ai fan… da parte di un fan! Perché Marshall è uno cresciuto a pane e b-movies (ce lo ha dimostrato anche con i suoi precedenti e magnifici Dog Soldiers e The Descent) e conosce a perfezione i meccanismi del filone, che nel suo film diventano un affettuoso omaggio al cinema anni ’80. Citazionismo a go-go (con Mad Max e Fuga da New York in prima linea) e una storia tanto folle quanto irresistibile.

La Scozia diventa il focolaio di un virus mortale e per questo viene isolata dal resto della Gran Bretagna con un vallo che condanna a morte tutti quelli che vi sono all’interno. Trent’anni dopo, il virus comincia a manifestarsi anche nel resto del Paese e il Governo decide di mandare un team di soldati, capitanati dalla pliskiniana Eden (Rhona Mitra), dentro la zona in quarantena per cercare uno scienziato che pare abbia trovato una cura.

Tra cannibali, atolli medievali, carri blindati con scontri su strada, Doomsday è una festa per ogni cinefilo appassionato di determinato cinema e non importa se ci siano buchi di sceneggiatura perché ci si diverte come matti.

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GLI AVVENTURIERI DEL PIANETA TERRA

(The Ultimate Warrior, 1975)

Somiglia più a un western che a un post-apocalittico come li conosciamo oggi, ma Gli avventurieri del pianeta Terra è, di fatto, uno degli antesignani moderni del filone. Diretto nel 1975 dallo specialista Robert Clouse (I tre dell’Operazione Drago, Il branco), il film ci racconta la Terra del 2012, distrutta da un disastro nucleare e riportata a uno stato quasi primitivo dove la scarsità dei mezzi ha spinto i popoli a farsi guerra. È quello che accade a una piccola comunità asserragliata in un quartiere di New York e comandata dal democratico Barone (Max Von Sydow), che riesce a sopravvivere grazie alla coltivazione di preziosissimi pomodori. Quando un gruppo di nomadi scopre il loro sostentamento, decide di assaltare la comunità per portar via i semi del prezioso ortaggio. A difenderli dai predoni viene assunto Carson (Yul Brinner), mercenario dal cuore d’oro che dovrà scortare la figlia incinta del Barone verso un’isola dove fondare una nuova comunità e iniziare una coltivazione di pomodori su larga scala.

Molto classico nell’impostazione eppure ricco di idee, Gli avventurieri del Pianeta Terra è oggi poco celebrato ma porta in se i semi del filone così come la figlia del Barone, interpretata da Joanna Miles, porta quelli del pomodoro.

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THE ROAD

(Id, 2009)

Tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, vincitore del Premio Pulitzer, The Road porta la firma di John Hillcoat e entra di diritto nel filone post-apocalittico per trama e atmosfera, ma allo stesso tempo se ne discosta per ambizione. Niente più sentore di divertito e divertente b-movie, ma impostazione da film d’autore che ne fa una scheggia impazzita nel filone, capace di dimostrarci come anche quello che è il regno del divertissment può essere una “roba seria”.

Qui si racconta la Terra dopo la catastrofe. Non ci sono spiegazioni (fanta)scientifiche, ma solo la costatazione che da quattordici anni il Pianeta versa in uno stato post-apocalittico dove gli Stati Uniti sono diventati un grigio deserto, le risorse scarseggiano e la legge è andata a farsi benedire, visto che predoni e comunità di cannibali spadroneggiano in lungo e in largo. In questo scenario, un padre (Viggo Mortensen) e un figlio (Kodi Smit-McPhee) devono semplicemente sopravvivere, muovendosi di continuo.

Un film cupo, nichilista, opprimente, bellissimo. Hillcoat, che ci ricorda la sua vocazione da western-maker, realizza uno dei più riusciti e originali film del filone.

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IL PIANETA DELLE SCIMMIE

(Planet of the Apes, 1968)

Inevitabile far risalire il post-apocalittico moderno al capolavoro di Franklin Schaffner Il pianeta delle scimmie, film immortale che ha dato vita a una lunga saga (cinque film), una serie televisiva, una serie animata, tanto merchandising, un remake (diretto da Tim Burton!) e una nuova saga cinematografica prequel.

La storia è nota a tutti, ma per rinfrescarvi la memoria vi diciamo che l’astronauta George Taylor (Charlton Heston) precipita con la sua astronave su un pianeta che scopre popolato da scimmie senzienti che tengono prigionieri i pochi umani presenti. L’odissea di George nel far valere i suoi diritti contro i dispotici scimmioni lo porta a una sconvolgente verità: non ha viaggiato nello spazio ma nel tempo e quello su cui è atterrato non è altro che il Pianeta Terra del futuro, sconvolto da un virus che ha portato all’evoluzione delle scimmie e all’estinzione dell’umanità.

Per capire l’annessione al filone è necessario spoilerare il colpo di scena finale, ma solo così capiamo quanto sia fondamentale il film Schaffner nel filone post-apocalittico, segnandone indelebilmente le basi. Sociologia e politica confluiscono in questa magnifica avventura fantascientifica che si guadagnata anche l’Oscar per il trucco. Immortale.

Roberto Giacomelli

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