Arte Fiera: the golden Age

Ormai conclusa la cinquantesima edizione di Arte Fiera, rassegna tra le più longeve del panorama europeo dell’arte contemporanea. Era nata il 1974 all’interno dell’allora Fiera Campionaria come piccola sezione dedicata all’arte. Il suo successo proiettava la “Dotta” nei posti che contano nel mondo dell’arte contemporanea.

All’epoca le fiere d’arte erano neonate, come quella di Basilea del 1970, e rappresentavano occasioni essenziali di networking, aggiornamento culturale e promozione creativa. Ma non solo, conferivano alle gallerie attraverso l’allestimento dei loro spazi espositivi il ruolo assunto nel corso del tempo dai musei di arte contemporanea.
Vale la pena di ripercorre quegli anni partendo dai due allestimenti dedicati in questa edizione di Arte Fiera a quella Bologna all’avanguardia nelle arti declinate come strumenti possibili della creatività.
Il primo è legato alla mostra retrospettiva “Praticamente nulla da vendere”, a cura di Uliana Zanetti, che ha celebrato le performance ad Arte Fiera nelle prime edizioni, come quella del 1976, con le azioni di artisti come Hermann Nitsch, Franco Vaccari, Vincenzo Agnetti intese come proposta, audace e intrigante di alcune gallerie.
Allestita nel Padiglione 25 partendo da alcune fotografie inedite d‘archivio, si sono svelati materiali del programma del 1976 richiamando l’attenzione su documenti che illuminano aspetti spesso trascurati nella storia della performance. Fenomeno propiziato da alleanze, anche occasionali, tra artisti di ogni provenienza e da incontri organizzati tra critici, mecenati e collezionisti pronti a cogliere ogni nuova opportunità per promuovere la performance rivelandone la grande vitalità culturale e capire come, senza inficiare la natura propria dell’atto, presentarla al mercato.
A tal proposito, l’allestimento nel Padiglione 26 di “Numero zero – Il primo catalogo di Arte Fiera”, a cura di Clarissa Ricci, mostrava le riproduzioni delle pagine che accompagnavano lo spettatore durante il pilota di Arte Fiera. Correva l’anno 1974. Dieci pionieristiche gallerie italiane lasciavano presagire lo sviluppo della fiera mettendo in luce il loro fondamentale contributo.
Attraversando i padiglioni si riconosceva di primo acchito la bontà della direzione artistica del confermato Simone Menegoi. Il pubblico veniva accompagnato in un caleidoscopio di colori, di luci e d’arte nella scelta e nella visione della proposta curatoriale.
Nelle sezioni del percorso espositivo si snodava un cammino ideale all’insegna dell’eclettismo che passa dalle gallerie storiche a quelle emergenti. Tra i must-see di quest’anno John Giorno per Thomas Brambilla Gallery, Casper Faassen alla Mc2gallery, Carolle Bénitah per Alessia Paladini Gallery e MJ Torrecampo C+N Gallery Canepaneri.
Nella sezione “Fotografia in movimento” troneggiava lo stand di Glenda Cinquegrana Art Consulting con la trilogia: Helmut Newton, Mazaccio&Drowila e Tim White-Sobieski.
Uscendo dalla Fiera ci si rituffava nel progetto ART CITY che è ormai parte del successo di Arte Fiera. Con un cartellone nel centro di Bologna e un programma nutrito di eventi sparsi in città culminato nella Saturday ART CITY White Night, dove l’atmosfera sotto i Portici e nei Palazzi d’arte era davvero frizzante.
Nel cartellone degli eventi spiccava, al Museo Civico Archeologico, la personale di Giovanni Morbin uno dei più apprezzabili body artist italiani. “Indispensabile” questo il nome della mostra si staglia nel solco dello stravolgimento dei canoni artistici occidentali, attualizzando e trascendendo le sperimentazioni già viste in Magritte, Duchamp e Jimmie Durham per dare tramite la sensibilità dell’artista vita alla materia beffando le preconcette categorie di osservazione dello spettatore. Le sue opere soggiacciono a logiche non convenzionali, accompagnate da carica ironica, caustica ma al contempo spiazzante. La mostra traeva ispirazione dall’indagine dell’artista per alcuni dei reperti archeologici che trascendendo dal loro usuale scopo finiscono per fondersi nella sua opera con gli altri mezzi espressivi.
Bilancio dell’edizione? Se ormai sempre più spesso nei Musei di arte contemporanea si vedono logiche da manager d’affari piuttosto che da curatori d’arte dietro gli allestimenti, non si vede perché Arte Fiera debba condurre battaglie chisciottesche contro tale sistema, specie adesso che ha raggiunto l’età dell’oro.

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